martedì 11 ottobre 2011

Novalis e l’Idealismo magico. Cenni sulla filosofia di Fichte e Schelling







NOVALIS

Novalis è lo pseudonimo di Georg Philipp Friedrich Von Hardenberg, nato il 2 maggio del 1772 ad Oberwiederstedt, in Sassonia (Germania), dove la famiglia ha un castello tramandato da generazioni. E' secondo di undici figli. Dopo studi compiuti privatamente, una precoce ed intensa presa di contatto con la letteratura, e un anno di ginnasio a Eisleben, segue corsi di giurisprudenza (in vista di una carriera in ambito forense), ma anche di filosofia a Jena, dove ha modo di seguire i corsi di Fichte e Schiller (che in futuro divennero maestri e modelli).
Nel 1781, a soli nove anni, già è costretto a letto da una grave malattia. L'inattività gli permette però di leggere parecchio, seppur con grande fatica. In seguito, frequenta l'Università a Weissenfeels-Sale, ma ad un certo punto decide di proseguire gli studi a Lipsia dove stringe amicizia con Fredrich Schlegel.
Nel 1793 vorrebbe intraprendere la carriera militare, ma la famiglia osteggia questa scelta, soprattutto per motivi di tipo economico. Novalis, infatti, avrebbe dovuto iscriversi prima all'Accademia, istituto assai costoso. Come ripiego, allora, si trasferisce a Tennstedt, dove nel novembre assume l'incarico di attuario alle dipendenze dell'amministratore distrettuale, August Just. Durante un viaggio di lavoro a Gruningen incontra la famiglia Rockentien e s'innamora della figliastra, la dodicenne Sophie Van Kuhn. Come dirà lui stesso: "furono quindici minuti che cambiarono la mia vita". Il 15 marzo 1795 si fidanza con la ragazza. In un ricevimento a casa del professor Niethammer, a Jena, conosce invece altri due sommi del pensiero e della poesia, rispettivamente il filosofo Johann Fichte e il tormentato Hölderlin, anche se questo sarà di fatto il loro unico incontro. Con Fichte, invece, la collaborazione si fa intensa, tanto che ne diventa allievo, intraprendendo fra l'altro gli studi sulla dottrina della scienza sviluppata dal filosofo. Siamo nel 1796. Sophie improvvisamente si ammala. La situazione si presenta subito grave e viene sottoposta a tre interventi chirurgici. Un anno dopo, l'amata fidanzata spira. La morte della giovane segna una svolta decisiva nella sua vita, lasciando una ferita profonda che non si rimarginerà più. Tuttavia, trova ancora la forza per studiare e per approfondire il suo pensiero. Sotto l'influsso degli scritti di Böhme, Zinzendorf e Schleiermacher, diventa l'esponente più celebre del primo romanticismo tedesco.
Novalis, infatti, vuole con la sua poesia "romanticizzare" il mondo, attraverso una prospettiva completamente diversa da quella illuminista, cercando cioè di scorgere nel particolare un valore universale e, viceversa, riconoscendo che l'universale si esprime sempre nel particolare. Ma per "romanticizzare" la realtà comune occorre guardarla con gli occhi della fantasia e dell'intuizione, più che con quelli della ragione, tanto idolatrata nel periodo illuministico. La poesia viene infatti intesa da Novalis nel suo significato etimologico di creazione (dal verbo greco "poies", fare): essa produce realtà, anzi è la realtà vera, il prodotto dello spirito. "La poesia é il reale, é la realtà assoluta. Questo é il nocciolo della mia filosofia". La poesia é dunque vera conoscenza e vera scienza. La filosofia stessa si riduce a poesia. Infatti Novalis riprende la dottrina della scienza fichtiana, interpretando però l'Io non come semplice soggetto trascendentale, ma come una fonte infinita di pensiero e di realtà.
A Novalis dobbiamo dopotutto una delle più celebri definizioni di Romanticismo: "Quando conferiamo al comune un senso più elevato, all'ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell'ignoto, al finito un'apparenza infinita allora io lo romanticizzo".
Tornando agli episodi che contrassegnano la sua vita privata, il 14 Febbraio dello stesso anno subisce un altro colpo atroce del destino: muore il fratello Erasmus. Dal 18 del mese, per dare uno sfogo al fiume in pena che era la sua anima, incomincia un diario che si protrae fino al 6 luglio. Si rifugia nello studio (poesia, fisica, politica), e decide d'iscriversi all'Accademia mineraria di Freiberg. Inizia lo studio sull'opera di critica dell'arte dell'olandese Hemsterhuis, ed incontra per la prima volta Caroline e August Schlegel insieme a Wilhem Schelling. Nel 1798 a Freiberg entra in contatto con Abraham Werner (il noto studioso di minerali), intensificando lo studio sulle scienze naturali.
Conosce Julia von Charpentier, la figlia del consigliere dell'Amministrazione mineraria. Nel febbraio 1798 invia ad August il manoscritto delle annotazioni varie con il titolo "Bluthenstaub"("Pollini") che viene pubblicato in aprile sul primo numero dell'Athenaum con lo pseudonimo di Novalis (designazione latina di un possesso della famiglia). Segue la raccolta di brevi poesie ed epigrammi "Blumen" ("Fiori") e la raccolta di riflessioni politico-filosofiche "Glauben und Liebe" ("Fede e amore"). Insieme ad August parte per Jena per incontrarsi con Goethe e Schiller e nel corso dell'anno, con August e Schelling visita spesso la Galleria d'Arte di Dresda, rimanendo entusiasta di alcune opere. A luglio si trasferisce a Teplitz per una cura, ed immerso nel paesaggio e nella tranquillità della zona trova l'ispirazione per centocinque frammenti dedicati all'universo femminile, alla religione cattolica e alla vita quotidiana. Tornato a Freiberg nell'agosto incomincia a comporre "Gli studi sulle scienze naturali" ed il "Brogliaccio generale" nella prospettiva di realizzare un'enciclopedia di scienze naturali, matematiche, fisiche, filosofiche. Inizia la stesura del romanzo "I discepoli di Sais". Nessuno di questi studi verrà pubblicato mentre è in vita.
Nel 1799 svolge l'incarico in pianta stabile nell'amministrazione delle miniere della Sassonia. A Jena conosce Ludwig Tieck, che diverrà suo profondo amico, nonché curatore e divulgatore delle sue opere dopo la sua morte. In questo periodo compone i primi "Canti spirituali" e il saggio "La cristianità o l'Europa"; e presenterà nella città di Jena queste opere a Tieck, ai fratelli Schlegel, a Schelling e a William Ritter, tra l'11 e il 14 novembre in un convegno non programmato. Alla fine dell'anno incomincia il romanzo "Heinrich von Ofterdingen" (in cui il protagonista incarna il modello del sognatore romantico e in cui lo spirito poetico prevale di gran lunga sulla considerazione razionale della realtà), e viene nominato assessore alle saline come ricompensa per la sua serietà e per l'impegno dimostrato. Nel 1800 conclude la redazione degli "Inni alla notte" e li invia a Fredrich Schlegel, che li revisiona e li pubblica ad agosto nell'ultimo numero dell'"Athenaum". Negli "Inni alla notte" (1800), l'opera senz'altro più completa di Novalis, lo spazio notturno é il regno del sogno e della fantasia, intesi come indispensabili veicoli verso l'infinito. Novalis, in realtà, aveva iniziato a comporli nel 1797, dopo un "momento di lampeggiante estasi" percepito sulla tomba di Sophie. In quei canti l'uomo, divenuto "straniero", "entra nella notte" che è metaforicamente la notte mistica dello sposalizio, nella quale compare l'amata come "l'amabile sole notturno".
Prosegue il lavoro sull'"Enrich" e studia Jakob Bohme (1575-1624), continuando gli studi sulla geologia, medicina, religione e poesia. Da tempo però è malato di tubercolosi. In autunno le sue condizioni peggiorano gravemente. A dicembre chiede di farsi trasferire nella zona in cui è nato, in Sassonia. Nel 1801, a soli 29 anni, muore consunto dalla tisi, assistito da suo fratello Karl e da Julie.


L'IDEALISMO MAGICO

L'intima unione tra poesia e filosofia, che risulta essere uno dei tratti più tipici del Romanticismo tedesco, trova piena rappresentazione nella riflessione di Novalis. Il suo pensiero prende le mosse dallo studio della filosofia fichtiana i cui apporti si riconoscono negli scritti filosofici pubblicati negli anni 1795-1797, anche se si rifiuterà sempre di riconoscere al non-io un qualsiasi potere sull'io.
Novalis fu educato in un severo ambiente pietistico e negli studi scientifici-applicativi e questo contribuì, in un certo senso, a dare uno slancio autonomo agli studi naturalistici che sebbene lo avvicinassero alla concezione della natura dell'età idealistico-romantica,(abitualmente indicata con il termine Naturphilosophie "filosofia della natura") dall'altro, lo portarono a differenziarsi rispetto agli altri autori romantici. Egli aspirò ad una concezione spiritualizzata della natura, di ascendenze mistiche e gnostiche, diversa da quella pagana e panteistica di Goethe e Schelling. A Novalis si deve poi l'introduzione nel Circolo jenense di opere e temi propri di corrente irrazionalistica e teosofica vicini a schemi metafisici rinascimentali e neoplatonici.
Poesia e filosofia appaiono a Novalis come a Schlegel e a Schelling, unite nei tempi, primitive e identiche alla religione, destinate a rifluire in una nuova unità in futuro, per opera della stessa poesia. Novalis vede alla radice del mondo la forza creatrice della volontà divina, e l'uomo può e deve coincidere con essa attraverso la fede. Ogni credenza, dice il poeta è meravigliosa e miracolosa, con la credenza l'uomo può operare il miracolo della creazione. I sensi, intesi come modificazione dell'organo del pensiero, sono il mezzo attraverso cui il miracolo si compie. Così il pittore ha in suo potere l'occhio, il musicista l'orecchio, il poeta l'immaginazione, il filosofo il pensiero. Ma affinchè la forza creatrice di un mondo spirituale, attraverso la genesi di un senso interno dell'anima e il completo dominio spirituale sul proprio corpo compia il suo percorso, i geni particolari devono unificarsi: il genio deve diventare totale divenendo padrone del proprio corpo e del mondo. Strumento di tale trasformazione, in cui la volontà si mostra davvero creatrice è l'amore. Esso consente di superare ogni limite. In questa trasvalutazione magica e "miracolistica", viene meno la distinzione tra poeta e filosofo, accumunati dalla figura del mago-genio che domina sullo spirito. Questo dilatarsi dell'uomo sino all'infinito, questo suo trasformarsi in volontà infinita creatrice della natura e onnipotente, è il fondamento dell'idealismo magico di Novalis. Le moderne filosofie kantiana e fichtiana paiono, a Novalis, far rivivere il sogno magico del Rinascimento, che aveva tra i temi caratterizzanti l'idea di un'universale simpatia tra l'interno e l'esterno, tra la parte e il tutto della natura. Il mago è colui che sa dominare la natura e la sue leggi, è l'evocatore di mondi, creatore e annientatore di realtà e lo fa mediante la poesia che è considerata arte creatrice senza limiti. La filosofia stessa non è altro, che la teoria della poesia stessa. Queste riflessioni si ritovano nell raccolte di frammenti pubblicati sulla rivista "Athenaum". Entrambi i romanzi Heinrich von Hofterdingen (pubblicato postumo nel 1802) e I discepoli di Sais (rimasto incompiuto) celebrano con parole entusiastiche, il potere dell'uomo sul mondo. Trattare la storia del mondo come storia di uomini, trovare ovunque e solo avvenimenti e rapporti umani, è un'idea che non venne mai meno nella poetica di Novalis. Poi, a questo punto, nella poesia, la spiritualità della natura, appare nella sua maggiore chiarezza.

IL MONDO SI FA SOGNO, IL SOGNO MONDO...

L’ultimo scorcio del secolo XVIII e i primi anni del secolo XIX (tra il 1798 e il 1804) videro germogliare, preceduto e avviato dallo Sturm und Drang, il pensiero romantico tedesco: reazione al razionalismo illuministico, rappresentò il sentimento della Sehnsucht “l’eterna irrequietezza” in contrapposizione alla Stille “l’imperturbata serenità dell’anima”.
Il Romanticismo tedesco fu teorizzato dal cosiddetto «gruppo di Jena» che si raccoglieva intorno alla rivista «Athenäum» dei fratelli Schlegel, con la collaborazione di esponenti di spicco del salotto culturale tedesco quali Schelling, Novalis e Tieck.
Il barone Friedrich von Hardenberg inviò a F. Schlegel, nel febbraio del 1798, il manoscritto delle Osservazioni miste che, con il titolo di Blütenstaub (Pòllini) datogli dallo stesso editore, vide la luce sul primo numero della rivista. In questa occasione Hardenberg assunse lo pseudonimo di Novalis “terreno nuovo da arare, da dissodare”, già nome di un possedimento di famiglia, eppure così compenetrato al suo stato di homo novus da anticiparne lo spirito di appartenenza/superamento ai principi più intimi e connaturati del sentire romantico.
Novalis trovò nel frammento, “forma filosofico-poetica di un sapere istantaneo”, terreno fertile sul quale seminare «un’unica, grande idea […] che modifica tutto»: solo collegando l’attività poetica a quella filosofica si ottiene nella sua compiutezza la sua «arte morale».
È proprio nel superamento dell’antitesi fichtiana “Io – non-Io” e nella rilettura dei passaggi ricavati dalla traduzione-commento all’Alexis, o dell’età dell’oro, del filosofo olandese Hemsterhuis che l’uomo può ritrovarsi nella natura attraverso un contatto diretto che solo la poesia può perpetratre, in quanto spirito permeante dell’idealismo magico.
Non deve assolutamente sfuggire il fatto che qui «poesia» non significa, in primo luogo, l’attività «poetica» di un soggetto singolo; il termine richiama invece direttamente l’intima vita dell’anima nella sua appartenenza alla vita del cosmo, ed è proprio perciò che Novalis può parlare di una moralità della poesia e non, invece, della filosofia”.
Il non-Io “natura” e l’Io finito “pensiero” teorizzati da Fiche vengono rivisitati da Novalis e denudati della loro relazione di limiti reciproci, empirici e individuali, divenendo insieme corpo di un Io infinito “anima” assopito: si tratta di superare l’attuale debolezza del nostro organo dell’interiorità, che si è atrofizzato, insiste Novalis.
Se è nel frammento che l’estetica della poesia novalisiana «…mescola tutto per il suo fine dei fini – elevare l’uomo oltre se stesso», che afferma che il «Poetare è generare. Tutto quanto viene poetato dev’essere un individuo vivente», è nella fiaba che il genio poetico di Novalis concretizza l’apoteosi dell’essenza della poiesis, sublimata dal contemporaneo Hölderlin in una frase-emblema del suo celebre Iperione: “Oh, un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette…” . Sia Novalis che Hölderlin furono ascritti alla cerchia del circolo dei romantici, abbracciandone contenuti ideali e concettuali, entrambi furono accomunati dal travagliato sentimento di appartenenza all’uno-tutto, espressione di quell’Infinito che è senso e radice del finito. Simbolo del viscerale anelito di Novalis verso l’Assoluto è il frammento 1190, eco indistinta tra frammento e fiaba, dove , evidenziando l’inscindibilità tra l’elemento estraneo (Befremdende) e l’elemento familiare (Befreundete).
Quale è, dunque, l’espressione dell’altro nell’identico? Dove l’idealismo magico si è elevato oltre l’uomo romantico? Nel sogno!
È nel sogno che la concretezza si mescola alla fantasia, che “L’anima diviene la sede della poesia come comprensione profonda dell’universo. A tal fine, l’anima si compenetra ancor più con il corpo…” Nella fiaba di Giacinto e Fiordirosa, Giacinto “Si addormenta in un soffio di profumi celestiali, poiché solo un sogno poteva condurlo nel sacrario: e il sogno lo guidò prodigiosamente […] Sollevò il velo leggero e scintillante e Fiordirosa gli si gettò tra le braccia.”
Nell’atto di sollevare il velo, di assistere alla Rivelazione risiede la Sehnsucht, l’eterna irrequietezza, nel magico manifestarsi del “fiore azzurro” che ne è la rappresentazione visiva e che già dalla prima pagina appare in sogno al giovane protagonista dell’ Heinrich von Ofterdinden.
La poesia che apre il primo capitolo (incompiuto) della seconda parte dell’ Heinrich von Ofterdingen, l’opera più pregna dello spirito novalisiano, reca il nome di Astralis, frutto dell’amore di Enrico e Matilde, della realtà e del sogno:“Non eravate testimoni quando io, ancora
sonnambulo, incontrai me stesso per la prima volta,
in quella lieta sera? Non vi sfiorò forse
un dolce brivido di febbre?/ […] Il mondo si fa sogno, il sogno mondo,
e ciò che si crede sia avvenuto,
si può vederlo giungere solo da lontano.”

PICCOLISSIMA ANTOLOGIA DI FRAMMENTI



L'acume geniale è l'uso acuto dell'acume.
Anche il caso ha le sue regole.
Il filosofo vive di problemi come l'uomo di cibi. Un problema insolubile è un cibo indigesto.
Il poeta comprende la natura meglio dello scienziato.
L'amore ha sempre svolto romanzi, ossia l’arte di amare è sempre stata romantica.
La vita non deve essere un romanzo impostoci, bensì un romanzo fatto da noi.
Non ci comprenderemo mai del tutto, ma potremo assai più che comprenderci.
Non dovrebbe esistere che un unico bisogno assoluto: l'amore, la vita in comune con le persone amate.
Ogni oggetto amato è il centro di un paradiso.
Per conoscere bene una verità bisogna averla combattuta.
Per l'uomo profondamente religioso, nulla è peccato
Quando sogniamo di sognare, siamo prossimi a destarci.
Nulla per lo spirito è più raggiungibile che l'infinito.
Strano che la vera e propria origine della crudeltà sia la voluttà.
Di tutti i veleni l’anima è il più forte.
Si è soli con tutto ciò che si ama.
La poesia sana le ferite inferte dall'intelletto. Essa è appunto formata da elementi contrastanti – da una verità sublime e da un piacevole inganno.
Quando conferiamo al comune un senso più elevato, all'ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell'ignoto, al finito un'apparenza infinita allora io lo romanticizzo.
L'astrazione indebolisce, la riflessione rinforza.
L'uomo è un sole, i sensi sono i suoi pianeti.
Dove ci sono bambini c'è un'età dell'oro.
Poetare è generare. Ogni produzione poetica deve essere un individuo vivente.
Vera comunicazione ha luogo soltanto fra persone di uguale sentimento, di uguale pensiero.
Io posso amare come ogni essere su questa terra.
La filosofia è propriamente nostalgia, il desiderio di essere a casa.
Le poesie, finora esistenti agiscono per lo più dinamicamente, la futura poesia trascendentale potrebbe definirsi poesia organica. Quando sarà inventata si vedrà che finora tutti veri poeti, senza che lo sapessero, poetavano organicamente e che però la mancanza di consapevolezza di ciò che facevano esercitava un influsso essenziale sulla totalità delle loro opere.
Il senso per la poesia ha molto in comune col senso per il misticismo. è il senso dell' originale, del personale, dell' ignoto, dell' arcano, di ciò che deve essere rivelato, del fortuito - necessario. Rappresenta l' irrapresentabile, vede l' invisibile, sente il non sensibile, ecc.


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Novalis, Opere, Guanda, 1982.
Torino 1991. Novalis, Enrico di Ofterdingen, traduzione di Tommaso Landolfi, Guanda, 1978
Milano 1995. Novalis, Inni alla notte. Canti spirituali, Guanda,1979
Novalis, Frammenti, traduzione di Ervino Pocar, Milano 1996.
Novalis, I discepli di Sais, Rusconi, 1998
Novalis: Cristianità o Europa, Rusconi, 1995


JOHANN GOTTLIEB FICHTE

Di umili origini, nasce nel 1762 a Rammenau, in Sassonia. Riesce a compiere studi liceali e universitari grazie agli aiuti economici del barone von Militz, quando questi vengono meno è costretto a fare il precettore presso una famiglia di Zurigo. Tornato in Germania nel 1790 si appassiona alla filosofia kantiana al punto di sentire la necessità di recarsi a Königsberg nel 1791 per incontrare Kant che gli fa pubblicare, erroneamente in forma anonima, il Saggio di una critica di ogni rivelazione nel 1793. Essendo composto in totale accordo con il kantismo, lo scritto viene attribuito inizialmente a Kant, quando questi rivela il nome del vero autore, Fichte ottiene notorietà immediata, che gli vale la cattedra presso l'università di Jena nel 1794. Nello stesso anno Fichte pubblica Sul concetto della dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia e l'opera fondamentale Fondamenti dell'intera dottrina della scienza, che segnano il suo distacco dal Criticismo kantiano, per fondare l'Idealismo.
Il problema fondamentale è quello del fondamento (il Grundsatz) di tutto il sapere, fondamento che deve essere certo. Esso non può essere, come pensava Aristotele e la metafisica classica il principio di identità, che è a suo parere un principio formale (puramente logico: A=A). Infatti tale principio di identità non dice se A sia. Occorre invece un contenuto certo, che sia implicato in ogni giudizio. Questo contenuto è l'Io giudicante stesso, che per Fichte costituisce una evidenza immediata. Partendo dalle riflessioni di Reinhold, Schulze e Maimon, il pensiero fichtiano giunge a trasformare l'Io penso kantiano in Io puro, inteso come intuizione pura che liberamente si autopone (si autocrea), e, autoponendosi, crea tutta la realtà.
Fichte formula così i tre principi del sistema della ragione umana:

Io sono, ossia l'Io pone l'Io.

L'Io, in quanto attività libera, originaria e infinita, si autocrea mediante la propria immaginazione produttiva.

Questo è il momento corrispondente alla libertà e alla tesi.

 L'Io si oppone al non-Io, ossia l'Io oppone a sé un non-Io.

L'autoporsi comporta necessariamente la limitazione e la determinazione dell'Io, che viene identificata con tutto ciò che non è Io.

Questo è il momento della necessità e dell'antitesi.

Nell'Io assoluto, l'Io divisibile si oppone ad un non-Io divisibile.

Tanto l'Io divisibile, cioè finito, limitato, ovvero empirico, il soggetto individuale che ognuno di noi è, quanto il non-Io divisibile, cioè la natura, l'oggettività materiale, vengono ricompresi e sintetizzati nell'Io indivisibile, cioè Infinito, ovvero trascendentale.

Questo è il momento della sintesi, che attesta il primato della ragion pratica sulla ragion pura, in virtù del fatto che la ragione umana concreta esiste sempre in rapporto a contenuti reali che ne sono l'oggetto (non-Io). Se l'attività del non-Io costituisce la conoscenza in generale, l'attività dell'Io sul non-Io costituisce l'azione morale. L'Io, per realizzarsi nella sua infinità deve opporsi all'oggetto, questo sforzo che tende a ricondurre l'oggetto alla pura attività dell'Io è opera dell'attività morale, la ragion pratica, appunto.

In tal modo Fichte ha riconosciuto nell'esigenza morale il vero significato dell'infinità dell'Io.

Queste tesi di fondo vengono approfondite nelle lezioni su La missione del dotto del 1794 e riprese anche in opere successive, soprattutto in Sistema della dottrina morale del 1798. La vita associata implica il sorgere del diritto, perché in comunità l'uomo deve limitare la propria libertà con il riconoscimento della libertà altrui. Il diritto fondamentale dell'uomo è dunque quello alla libertà, il secondo è il diritto alla proprietà. Accanto alla chiesa e allo stato Fichte ammette la comunità dei dotti, con il compito sociale di sorvegliare e sollecitare il progresso dell'umanità.
Nel 1799 scoppia la polemica sull'ateismo a seguito della pubblicazione, sul «Giornale filosofico» di Jena, dell'articolo Sul fondamento della nostra credenza nel governo divino nel mondo che identificava Dio con l'ordine morale del mondo. Il governo di Jena, con il parere favorevole di Goethe, invita Fichte a dare le dimissioni, nonostante una petizione degli studenti in suo favore.

A partire dal 1800 è in atto una frattura e una crisi del sistema fichtiano che tende sempre più verso una maggiore considerazione della vita religiosa. Nelle rielaborazioni della Dottrina della scienza a partire dal 1801 e in Introduzione alla vita beata, del 1806, Fichte passa dall'idea di infinito nell'uomo all'idea che l'Io sia immagine di Dio. Si rivolge ad un orientamento mistico che tende a negare ogni valore al mondo e allo stesso sapere umano.

È del 1800 lo scritto Stato commerciale chiuso in cui Fichte chiarisce come lo stato nasca da un contratto sociale, da un consenso delle volontà degli individui. Esso deve pertanto garantire il lavoro a tutti, impedendo che vi siano i poveri e, per raggiungere questo obiettivo, lo stato può, se necessario, chiudere il commercio con l'estero e divenire autarchico.

Tali posizioni socialistiche, ispirate dagli ideali della Rivoluzione Francese, mutano sotto il precipitare degli eventi storici: la battaglia di Jena e l'occupazione napoleonica della Prussia. La filosofia politica di Fichte si evolve in senso nazionalistico. Nei Discorsi alla nazione tedesca, che risalgono agli anni 1807-1808, Fichte ritiene che solo dal popolo tedesco, militarmente sconfitto e politicamente oppresso e diviso, può venire la spinta per il progresso dell'umanità: solo il popolo tedesco riunificato avrebbe potuto compiere tale missione.

Dopo la nomina a professore e rettore dell'Università di Berlino, muore il 29 gennaio del 1814 per una febbre infettiva.


WILHELM JOSEPH SCHELLING

Friedrich W. J. Schelling nasce a Leonberg, piccola città del Wüttemberg, il 27 gennaio del 1775. Si interessa, fin dalla piccola età, agli studi biblici e alla conoscenza del mondo antico, greco, romano e orientale, sotto la guida del padre che è un dotto pastore protestante. Nel 1790 compie gli studi allo Stift di Tubinga (la scuola di teologia della città), dove è ammesso a quindici anni con ben tre anni di anticipo rispetto alla normalità; qui conosce ed è compagno di camera, ma non di studi, di Hegel e Hölderlin.

Termina i primi due anni di studio filosofico con la dissertazione Antiquissimi de prima malorum humanorum origine philosophematis Genes. III explicandi tentamen criticum et philosophicum dove è evidente un approccio razionale al testo biblico.

I successivi tre anni studia teologia e li conclude con la dissertazione De Marcione Paullinarumepistolarum emendatore. Compiuti gli studi scolastici si avvia alla carriera scientifica frequentando le università di Lipsia e di Dresda e facendo il precettore; scrive le prime opere di ispirazione criticistico-fichtiana tra cui Sull'Io come principio della filosofia.Nel 1798 si trasferisce a Jena dove sostituisce Fichte, che si era appena dimesso per la polemica sull'ateismo. Entra in contatto con il circolo romantico e inizia un periodo di intensa attività culturale che lo porta alla pubblicazione di quasi tutti i suoi testi, tra cui Primo progetto di un sistema della filosofia dellanatura (1799), Sistema dell'idealismo trascendentale (1800), L'esposizione del mio sistema filosofico (1801). Nel 1803 conosce e sposa Carolina Michaelis, già sposa di August Wilhelm Schlegel. La morte di Carolina nell'autunno del 1809 segnerà profondamente il pensatore e, secondo molti interpreti, darà avvio a una fase del suo pensiero in cui l'elemento negativo e il lato oscuro dell'uomo saranno sempre più presenti.

Il 1809 è una data significativa anche perché pubblica le Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana e gli oggetti che ne sono connessi che evidenzia la fine delle speculazioni sulla filosofia della natura e l'inizio di una filosofia matura che lo avvicina al pensiero mistico, alla teosofia e alle indagini sul mito che occuperanno gli anni successivi della vita del filosofo tedesco. Dal 1806 al 1820 lavora come segretario all'Accademia di Monaco, pubblica Le lezioni private diStoccarda e si allontana sempre più dalla vita accademica anche per la crescente influenza di Hegel, con il quale i rapporti si sono deteriorati a seguito delgiudizio negativo espresso da Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito su di lui.

Nel 1820 si trasferisce a Erlangen dove tiene conferenze e discorsi e dove rimane per sette anni occupandosi sempre più di filosofia della mitologia. Dopo il 1809 le pubblicazioni di Schelling diventano molto rare anche se continua a scrivere, a fare conferenze e a tenere lezioni accademiche. Nel 1827 ritorna a Monaco dove tiene un corso di lezioni all'università sull' "empirismo filosofico" come nuovo metodo della filosofia che egli chiama "positiva". Nel 1841 viene chiamato a Berlino a ricoprire la cattedra, lasciata dieci anni prima da Hegel per la sua morte. Gli scritti di questo periodo rimarranno a lungo inediti e verranno pubblicati postumi nella Filosofia della rivelazione. La sera del 20 agosto 1854 muore nella cittadina svizzera di Bad Ragaz.

Schelling deve essere considerato uno dei massimi esponenti dell'idealismo tedesco insieme a Hegel e Fichte.

La sua filosofia giovanile della natura è influenzata da due posizioni: dal criticismo kantiano, più precisamente dall'interpretazione che Fichte fa della filosofia di Kant dal naturalismo di Hume connesso alla filosofia del sentimento di Jacobi. Schelling tenta di costruire un sistema che sia una sintesi tra elementi apparentemente inconciliabili: natura e spirito, fenomeno e idea, libertà e necessità. Il testo che esprime in modo completo questo tentativo è il Sistema dell'idealismot rascendentale che nasce come allargamento dei principi dell'idealismo a tutto il sapere, sia quello dello spirito che quello naturale. L'intento della riflessione schellinghiana è principalmente quello di accentuare il carattere produttivo dell'attività conoscitiva umana, radicalizzando sia la spontaneità sintetica dell'intelletto di Kant che l'autoposizione dell'io e l'immaginazione produttiva di Fichte. Compito della filosofia della natura è far vedere come dall'oggetto (natura) si perviene, attraverso esso, al soggetto, alla coscienza e all'autocoscienza, invece compito della filosofia trascendentale è mostrare come dalla soggettività si passa, attraverso essa, all'oggetto e alla natura.

La filosofia della natura di Schelling è una critica continua ai sistemi meccanicisti che vedevano nelle scoperte di Newton la loro massima consacrazione. Schelling si rifà all'interpretazione di Goethe che concepisce la natura, non come sistema meccanico e causale, ma come un organismo, un continuo e fluido divenire dominato da forze e polarità che determinano forme. Lo strumento che ci permette di cogliere l'insieme di natura e spirito, ossia l'assoluto è la produzione artistica che riunisce in sé il carattere conscio e quello inconscio dell'Io.

La produzione estetica è affidata al genio che è colui che riesce, intuendo l'assoluto, a unificare l'aspetto inconscio della spiritualità alla mentalità lucida della realizzazione dell'opera d'arte. Negli ultimi quaranta anni di vita il filosofo tedesco non pubblica nulla se non il breve opuscolo Le divinità di Samotracia, ma espone nelle lezioni di Monaco, Erlangen e poi di Berlino quello che Pareyson definirà un "sistema in movimento" occupandosi di empirismo filosofico, teoria dell'assoluto, filosofia della mitologia, filosofia dellarivelazione, storia critica della filosofia moderna e tentando di costruire un collegamento tra mitologia, cristianesimo e filosofia.


venerdì 18 marzo 2011

MANUALE TELLUS (2005-2009) di Claudio Di Scalzo. "Il piccolo bucato" di Attilio Pratella/Giovanni Pascoli. 2

                   




Il piccolo bucato, 1892. Progetto di illustrazione per Myricae, tempera e biacca su cartoncino, 32 x 36,5, Castelvecchio di Barga, Casa Pascoli. Inedito.
Il pittore interpreta i richiami pascoliani alla vita quotidiana e ai suoi gesti in campagna: il bucato.








mercoledì 16 marzo 2011

MANUALE TELLUS (2005-2009) di Claudio Di Scalzo. "Ida e Maria" di Attilio Pratella. 1

                                                
                                                          Attilio Pratella: Ida e Maria



Ida e Maria, 1893-1894. Illustrazione per Myricae, Livorno, Giusti. Matita e acquarello su cartoncino, 63,5 x 45,5. Castelvecchio di Barga, Casa Pascoli. Inedito.

Pratella conobbe il giovane Pascoli nella "Brigata carducciana". Anni dopo il poeta gli chiederà, e siamo nel '92, di collaborare all'allestimento grafico della terza edizione di Myricae.

Pratella interpreta l'intimismo di casa Pascoli e come il poeta "vede" le sorelle.







MANUALE TELLUS di Claudio Di Scalzo (2005-2009). Gauguin, Tre tahitiani

 

                                                                              Tre tahitiani, 1897


Tre tahitiani, 1898, Edimburgo, National Gallery of Scotland

Gauguin scrive che fu la classica bellezza della figura umana nell’elementare verginità della natura dei mari del sud, a fargli trovare i suoi colori e le sue forme. Affascinato dalla placidità, dai movimenti, dai gesti espressivi e dalla vita di questi uomini trovò «floridezza, fede, natura contro aridità, costrizione, artificiosità» (Noa-Noa). Egli vede i corpi del colore del bronzo bagnati dalla luce dorata, e cerca di fissare l’espressione dei loro grandi, semplici gesti e dei loro movimenti. In questo e in altri quadri che rappresentano la gente di Tahiti, gli si rivela una tacita musica, il suono dei pochi, forti colori. Una grande, serena pace emana dallo sguardo e dalle mani che reggono fiori e frutti; è più che esotico romanticismo ciò che Gauguin riesce qui ad afferrare. L’incanto dell’umanità primitiva riceve, per mezzo suo, figura artistica, «ancora una volta, prima che essa sparisca definitivamente dal mondo».

Gauguin, nei primi quadri del mare del sud, è sopraffatto dalla ricchezza delle forme e dei colori di questa natura esuberante nelle opere più mature, come in questa riprodotta, tutta l’atmosfera viene afferrata ed espressa solo dalla mossa cromaticità dello sfondo: un giallo oro assoluto e caldo, di mitica profondità, leggermente sfiorato da un velo violetto, sul quale le belle figure appaiono, per contrasto, scultoree e monumentali. (Claudio Di Scalzo)

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Il dipinto, pittura ad olio su tela, prima di arrivare alla National Gallery of Scotland di Edimburgo appartenne alla collezione di madame d’Andoque. A volte viene presentato nei cataloghi con il titolo “Conversazione” oppure come “Conversazione a Tahiti”. (cds)




VITA DI GAUGUIN


Nato nel 1848 a Parigi, Gauguin, dopo gli anni di scuola entra nella Marina, e, dopo molti viaggi all’estero resta per 12 anni, impiegato ben pagato, in un istituto bancario. Sono anni sereni, trascorsi insieme con la moglie, danese, e cinque bambini. Poi, nel 1883, esplode la passione della pittura, che rivela il suo grande talento, distrug­gendo però il patrimonio e la famiglia. I nuovi problemi della superficie, delle forme semplici, dei colori forti e interi, lo pon­gono fin dall’inizio in una posizione di contrasto con gli impres­sionisti. Nella Bretagna nascono le prime di queste opere che cercano di risolvere problema della superficie e del colore (vedi nelle immagini allegate il “Cristo giallo”). A Panama e sull’isola di Martinique egli trova colori che corrispondono ancor più alla sua immaginazione, una natura elementare, che lo entusiasma; forse risorgono in lui impressioni dell’infanzia, di quando, con la madre e i fratelli, visse nel Perù dal terzo al settimo anno di vita. Il tem­peramento imperioso e la sua aggressività in questioni artistiche, lo portano a contrasti con gli amici, fino alla tragedia con Van Gogh ad Arles, nell’autunno del 1888. Nella primavera di questo stesso anno egli aveva formulato il suo credo artistico; il successo di una vendita di suoi quadri gli offre, nel 1891, la possibilità di iniziare una vita del tutto diversa nelle regioni dei mari del sud. Dopo alcune delusioni iniziali egli trova ciò che veramente aveva sempre cercato: bellezza, natura intatta, purezza dell’essere. Egli dipinge fino all’esaurimento di tutti i suoi mezzi e di tutte le sue forze, torna, dopo una pausa a Parigi, (un’eredità, che riceve in quegli anni, è presto consumata, i quadri non hanno il successo sperato) va di nuovo nelle isole dei mari del sud, scrive (Noa-Noa) e dipinge vita e mito; crea, fino alla morte, avvenuta nel 1903, sculture e disegni, in mezzo a grandi difficoltà spirituali e materiali, alle quali sa ancora strappare veri capolavori.


Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it


NOTIZIE SUL MANUALE SCOLASTICO TELLUS DI CLAUDIO DI SCALZO
     
Inserii nel giornale telematico da me fondato e diretto TELLUSfolio (2005-2009) il MANUALE TELLUS (che riprende nome e testata della rivista/annuario di Marco Baldino-Claudio Di Scalzo, 1990-2009), manuale scolastico per il biennio e il triennio delle superiori, con la sezione LABORATORIO dove vengono esplicate unità didattiche, percorsi per gli esami, tesine. In parallelo nella sezione TELLUSmostre, sempre sullo stesso giornale, ho inserito collegamenti con "ARTE e SCUOLA" ed anche questo manuale visuale verrà ri-pubblicato e ampliato sul MANUALE TELLUS/MANUALE DI CLASSE. I recenti sviluppi della manualistica on line confermano la novità di questa mia intuizione sei anni fa! Il MANUALE TELLUS verrà ri-pubblicato su questo weblog in quanto quello presente, attualmente su TELLUSFOLIO è stato snaturato e tenuto on line contro la mia volontà di autore e docente dall'Editrice Labos-Cooperativa Labos di Morbegno. Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it  






sabato 12 marzo 2011

Ludwig van Beethoven: Vita e Testamento di Heiligenstadt

   




Ludwig van Beethoven fu battezzato il 17 dicembre 1770 a Bonn. La sua famiglia era originaria del Brabante, in Belgio. Suo padre era musicista, alla Corte di Bonn, con una spiccata inclinazione per il bere. Sua madre è sempre stata descritta come una donna dolce, modesta e premurosa. Beethoven diceva di lei che era «la sua migliore amica». La famiglia Beethoven ebbe sette bambini, ma solo tre ragazzi sopravvivranno; Ludwig sarà il maggiore dei fratelli.

Molto presto, Ludwig si interessò alla musica, e suo padre Jhoann lo istruì ai fondamenti della sublime arte giorno e notte, quando ritornava a casa, dopo le ripetizioni o la taverna. Che il bambino manifestasse il dono della musica non lasciava nessun dubbio, e suo padre Johann pensò di farne un bambino prodigio, come fosse un novello Mozart.

Il 26 marzo 1778, all'età di 8 anni, Beethoven si presentò per la sua prima esibizione pubblica conosciuta, a Colonia. Per la circostanza suo padre dichiarò che il giovanetto non aveva che sei anni. A causa di ciò, lo stesso Beethoven pensò sempre di avere due anni in meno della sua effettiva età; difatti, molti anni più tardi, quando riceverà a Vienna una copia del suo atto di battesimo, pensò che si trattasse dell'atto di battesimo di suo fratello Ludwig Maria, nato due anni prima di lui e deceduto in tenera età.

Ma le capacità pedagogiche e musicali del padre erano limitate. Ben presto Ludwig apprenderà la musica, in modo particolare organo e composizione, grazie a musicisti famosi come Gottlob Neefe. Quest'ultimo, particolarmente, si renderà conto delle capacità straordinarie di Beethoven. Facendogli conoscere, inoltre, grandi filosofi, antichi e moderni, Neefe introdurrà il giovane Beethoven allo spirito illuministico moderno.

Solamente nel 1782, a dodici anni, Beethoven pubblicò la sua prima opera: le 9 variazioni, in do minore per piano, su una marcia di Ernst Christoph Dressler (WoO 63). L' anno seguente, nel 1783 Neefe scrisse, nella Rivista della musica a proposito del suo alunno: «Se continua così, sarà sicuramente un nuovo Mozart».

Nel giugno 1784, grazie alle raccomandazioni di Neefe, Ludwig è chiamato in qualità di organista, alla corte di Maximilian Franz, principe elettore di Colonia. Il compositore ha allora 14 anni. Questo posizione gli permette di frequentare membri dell' aristocrazia Bonnense ed amici del padre. Incontra allora persone con cui avrà relazioni per tutta la durata della sua vita: il famiglia Ries, la famiglia von Breuning e l'affascinante Éléonore, Karl Amenda, il violinista Franz Gerhard Wegeler, amico medico che andrà anche a Vienna.

Nella propria famiglia, poco a poco, Ludwig sostituisce suo padre. Finanziariamente, innanzitutto, perché Johann, spesso ubriaco, è sempre meno capace di assumere il suo posto al focolare e la sua funzione di musicista di Corte. Il giovane Beethoven si sentirà responsabile dei suoi due fratelli, ed egli assumerà questa responsabilità tutta la sua vita, talvolta fino all'eccesso.

Cosciente anch'egli della predisposizione alla musica di Beethoven, Principe Maximilian Franz lo manda a Vienna a sue spese, nel 1787, per incontrare Mozart e rifinire la sua educazione musicale. Vienna in quel tempo è la città faro della cultura musicale. Per quanto riguarda l'incontro tra Mozart e Beethoven, esistono solamente dei testi di veridicità incerta. Mozart avrebbe detto «non dimenticate questo nome, ne sentirete parlare».

Ma una lettera richiamò Beethoven a Bonn: sua madre è morente. L'unica persona della sua famiglia con la quale era riuscito a creare dei legami affettuosi si spegne il 17 luglio 1787.

Cinque anni più tardi, nel 1792, Beethoven riparte per Vienna, beneficiando di una rendita, assicurata dal Principe Elettore che sarebbe dovuta durare per due anni per rifinire la sua erudizione musicale. Non rivedrà mai più la sua città natale. Il suo amico Waldstein gli scrive queste parole: «..ricevete dalle mani di Haydn lo spirito di Mozart»...

A Vienna, il giovane musicista prende delle lezioni con Haydn, poi con Albrechtsberger e Salieri. Stupisce e seduce Vienna per la sua virtuosità e le sue improvvisazioni al pianoforte. Nel 1794, Beethoven compone la sua opus 1, i tre trii per Pianoforte, violino e violocello. L'anno seguente, Beethoven organizza la sua prima rappresentazione pubblica a Vienna (una “Accademia”) durante la quale dirige le sue stesse opere. Seguirà un tour: Praga, Dresda, Lipsia e Berlino prima di partire per un concerto a Budapest.

Gli incontri che Beethoven ha a Vienna sono numerosi. Tutti gli esponenti della vita musicale e dell'aristocrazia ammirano il giovane compositore. Questi melomani saranno i più grandi mecenati e sostenitori di Beethoven. Il “Gran Mogol”, come lo definirà Haydn, si arrabbierà regolarmente con gli uni e gli altri, salvo fare poi autocritica e porgere le scuse a tutti. Il suo talento e la sua bontà d' animo scuseranno il suo comportamento eccessivo ed impulsivo.

Nel 1800, Beethoven organizza un nuovo concerto a Vienna che comprende, in particolar modo, l'esecuzione della sua prima sinfonia. Sebbene oggi consideriamo l'opus 21 classica, nella sua concezione e vicina alle sinfonie di Mozart e di Haydn, all'epoca molti ascoltatori trovarono questa composizione strana, ostentata ed eccessiva. Il genio di Beethoven che non è ancora pienamente espresso, tuttavia i bagliori del genio futuro spaventano ed inorridiscono i critici del tempo.

Solo nel 1801 Beethoven confessa ai suoi amici di Bonn il timore di diventare sordo. A Heiligenstadt, nel 1802, redige un testo celebre dove spiega la sua ribellione al dramma che vive: lui, un musicista, sta per diventare sordo! Ecco una fatalità alla quale non si augura di sopravvivere. Ma la musica lo richiama al lavoro. Ed egli scrive che dovrà esplorare, scoprire e tramandare molti altri campi musicali. Beethoven non si suiciderà, farà conoscere poco a poco il suo handicap crescente, ed si getterà nella composizione di opere grandiose: dalle eccezionali sonate per pianoforte (in particolar modo la Tempesta e la Caccia, opus 31), la seconda e la terza sinfonia-Eroica e molte altre opere ancora.

Beethoven scrive la terza sinfonia in omaggio di un grande uomo, Bonaparte. Quest'uomo è considerato allora come il liberatore dei popoli, generato dalla Rivoluzione francese portatrice di speranza. Quando il Primo Console si dichiarerà Imperatore, Beethoven cancellerà rabbiosamente il nome di Bonaparte dalla dedica di questa sinfonia.

La prima interpretazione pubblica della sinfonia Eroica si terrà il 7 aprile 1805, a Vienna.

Beethoven ha peraltro finito in questo fecondo periodo la sua unica opera lirica, Leonore. La correggerà e scriverà per essa quattro ouvertures differenti. Il nome dell'opera diventerà allora Fidelio, contro la volontà del compositore. Il 20 novembre 1805 si svolgerà la prima… davanti ad un pubblico diradato di ufficiali francesi, poiché Napoleone, alla testa del suo esercito, è entrato in Vienna per la prima volta. Tutto ciò si ripeterà nel 1809.

Negli anni seguenti, l'attività creatrice del compositore è intensa. Compone parecchie sinfonie, fra cui la Pastorale, l'ouverture Coriolano, la famosa bagatella "Per Elisa”. Ha alcuni allievi, ed anche delle allieve, che troveranno affascinante il rude maestro. Diventa inoltre suo allievo l' arciduca Rodolfo, fratello dell'imperatore, il quale diverrà ben presto anche suo amico e ben presto uno dei suoi protettori.

Nel 1809, Beethoven pensa a lasciare Vienna, seguendo l' invito di Girolamo Bonaparte. La sua amica di sempre, la Contessa Anna Marie Erdödy, lo trattiene, con l'aiuto dei suoi più fedeli ammiratori: l'arciduca Rodolfo, il principe Lobkowitz ed il principe Kinsky. Questi ultimi si impegnano a versare a Beethoven una rendita annua di 4.000 fiorini, permettendogli di vivere senza alcuna costrizione finanziaria. L'unica condizione è che il compositore dovrà non lasciare Vienna. Beethoven accetta. Questa rendita farà di lui il primo compositore indipendente. Prima di questo contratto musicisti e compositori erano dei servitori in seno ad una casa di un ricco aristocratico, sia che si chiamassero Bach, Mozart od Haydn. Domestici senza nessun diritto più degli altri, ma con il dovere di comporre e di rappresentare musica. Nasce così una nuova era per la musica: il compositore è libero di scrivere quando vuole, ciò che vuole, su ordinazione oppure seguendo la propria ispirazione.

Nel 1812, Beethoven segue delle cure termali Teplitz, e redige una ardente lettera all'«Immortale Amata». Questa lettera, che fu ritrovata in un cassetto segreto, dopo la morte del musicista, assieme al testamento di Heiligenstadt, non ha tuttora finito di suscitare dibattiti, ricerche e supposizioni dei biografi del musicista. A turno, quasi tutte le sue amiche ed allieve sono state proposte come destinatarie di questa lettera, ma, a meno che non si trovi un nuovo documento, così come talvolta succede talvolta nelle aste o una collezione privata, è molto probabile che l' amore di Beethoven rimanga un giusto segreto per sempre.

Alla fine del luglio 1812, Beethoven incontrerà Goethe, per iniziativa di Bettina Brentano. I due grandi uomini si ammirano ma non si comprendono. Il compositore trova il poeta-consigliare troppo servile, e questo ultimo disse che Beethoven è «persona completamente indomabile». Beethoven ammira Goethe, e metterà in musica parecchie sue poesie. Beethoven penserà sempre con rammarico di non essersi compreso con Goethe.

Purtroppo, uno dei suoi protettori, il principe Lobkowitz, ebbe in quel periodo gravi difficoltà finanziarie, il Principe Kinski morì a causa di una caduta di cavallo ed i discendenti tentarono di disfarsi dell'obbligo finanziario contratto a favore di Beethoven. Sarà l'inizio di parecchi processi che il compositore intraprenderà, per salvaguardare la sua indipendenza finanziaria.

Inventore geniale, probabile inventore del metronomo, Maelzel aveva incontrato già Beethoven e creato diversi apparecchi acustici per Beethoven, per aiutarlo nel suo udito sempre più debole: dai cornetti acustici, ad un sistema di ascolto collegato al pianoforte. Nel 1813, Beethoven compone La vittoria di Wellington, opera realizzata per un strumento meccanico di Maelzel detto “panharmonica” (o “panharmonicon”). Ma è soprattutto l'invenzione del metronomo che farà evolvere la musica, e Beethoven, che ne ha subito afferrato l'importanza, annoterà scrupolosamente il tempo metronomico sulle sue partiture affinché le sue opere siano interpretate secondo i suoi precisi desideri.

L'Accademia del 1814 raggrupperà La Vittoria di Wellington, così come la settima e l'ottava sinfonia. Il 1814 sarà anche l'anno della riscrittura di Leonora in Fidelio, la sola opera lirica di Beethoven. Questa opera, così rivista, otterrà infine il successo del pubblico. Il Congresso di Vienna, che si tenne in quella città lo stesso anno, sarà il momento di massima gloria e di riconoscimenti per Beethoven. Mentre Re ed Imperatori discutono i destini dell'Europa, il compositore sarà invitato a suonare più volte davanti agli uomini più potenti del tempo, e di questo ne sarà fiero per tutta la vita.

Il 15 novembre 1815, morì Kaspar Karl, il fratello di Beethoven. Lasciò una moglie che il compositore soprannominerà “La regina della notte”, parafrasando Il Flauto magico di Mozart, a causa della scarsa dirittura morale della vedova, così come un figlio, Karl, di solo 9 anni.

La vita di Beethoven cambiò radicalmente, dal momento che suo fratello aveva scritto sul suo testamento «che la tutela di suo figlio fosse esercitata congiuntamente da sua moglie e da Ludwig, suo fratello». Quest'ultimo prenderà molto sul serio il suo ruolo, ma il celibe di 45 anni, sordo ed ammalato, troverà problemi insormontabili a capire il bene del bambino prima e del giovane poi. Questo triste periodo condizionerà gli anni seguenti della vita del compositore, sempre alle prese con problemi giudiziari per la tutela del minore.

Nel 1816, Carl Czerny (futuro maestro di Franz Liszt), allievo di Beethoven, diventerà il professore di musica di Karl, ma senza incontrare alcun successo. In questo periodo il compositore finisce il ciclo di lieder All'amata lontana opus 98 ed abbozza il primo tema per la nona sinfonia.

Due anni più tardi, l'arciduca Rodolphe diviene cardinale e Beethoven comincia la composizione della Missa Solemnis opus 123. L'opera non sarà pronta per la cerimonia cui era stata destinata, ma l'occasione donò all'umanità il capolavoro che conosciamo.

Gioachino Rossini si recò a Vienna nel 1822, in un trionfale tour, ed incontrerà Beethoven. La barriera, imposta dalla lingua e la sordità di Beethoven, permetteranno solamente una breve visita. Il compositore viennese apprezzava molto poco l'opera italiana, che considerava frivola.

La nona sinfonia sarà praticamente terminata nel 1823, lo stesso anno della Missa solemnis. Liszt, che aveva allora 11 anni, incontrerà Beethoven. Forse il sommo maestro assisterà al concerto del giovinetto del 13 aprile. Egli si congratulerà calorosamente col piccolo virtuoso che, degli anni più tardi, trascriverà interamente sinfonie e lieder di Beethoven per piano.

Il 7 maggio 1824 sarà la data della prima interpretazione della nona sinfonia e, malgrado le difficoltà di esecuzione e soprattutto delle parti cantate, sarà un successo. Purtroppo senza ricadute finanziarie. Questi problemi finanziari continueranno a tormentare il compositore fino agli ultimi giorni della sua vita, sebbene, dopo la sua morte, verranno trovati alcuni titoli di credito, che Ludwig aveva custodito per il nipote.

La grande stagione compositiva continuò ancora con i grandi ultimi quartetti per archi, Opus 127, 130, 131, 132, 133, 135. Opere difficili per i contemporanei, ed ancora pregne di lati oscuri. Tuttavia la vena del maestro sembra inesauribile; anche una ipotetica decima sinfonia viene pensata ed abbozzata.

Nel dicembre 1826, ritornando a Vienna su di un carro scoperto, dopo che aveva avuto una ennesima lite con suo fratello, Beethoven prese una terribile infreddatura. La malattia complicherà la sua situazione di salute, già molto precaria. Si spegnerà lentamente circondato dai suoi più cari amici, il 26 marzo 1827, nel bel mezzo di un furioso temporale; ma il caso volle che, al momento del decesso fossero presenti presso il suo letto di morte solamente l'odiata cognata, Therese Obermayer e il musicista Anselm Huettenbrenner, quasi un estraneo.

La cerimonia funebre si svolse alla chiesa della Santa Trinità. Si stima che tra 10.000 a 30.000 persone si riunirono per accompagnare Ludwig van Beethoven alla sua ultima casa. Franz Schubert, timido ammiratore del grande compositore, e che non ebbe mai il coraggio di avvicinarlo, sarà uno dei portatori delle fiaccole funebri, assieme a numerosi altri musicisti. Schubert morì l'anno seguente e sarà seppellito vicino a Beethoven. Heinrich Anschütz, attore lesse l'orazione funebre, scritta da Franz Grillparzer, grande letterato, davanti alle porte del cimitero di Währing (oggi, Schubert Park).



TESTAMENTO di Heiligenstadt


Nel maggio 1802, su consiglio di Johann Adam Schmidt, Beethoven si recò ad Heiligenstadt per riposarsi. Questo comune era allora distinto da quello di Vienna: per spostarsi dall'uno all'altro era necessaria una carrozza.



Depresso, non potendo più tener nascosta la sua crescente infermità, Beethoven scrisse il 6 ottobre 1802 un documento che custodì preziosamente, conosciuto con il nome di Testamento di Heiligenstadt. Nello scritto Beethoven svela la sua sordità. Una seconda parte del testamento fu redatta alcuni giorni dopo, il 10 ottobre 1802.
È a notarsi che per tre volte il compositore non scrisse mai il nome del suo secondo fratello, Johann.
Beethoven redasse in seguito due altri testamenti: nel 1824 ed infine poco prima la sua morte, nel 1827.

Per i miei fratelli Carl e Beethowen

O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me, non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un'apparenza, il mio cuore e la mia mente erano sin dall'infanzia inclini al tenero sentimento della benevolenza, e avrei anche sempre voluto compiere grandi azioni, ma pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, reso più grave da medici insensati che mi hanno ingannato anno dopo anno facendomi sperare in un miglioramento illusorio, con la prospettiva finale di una menomazione permanente (la cui guarigione durerà magari anni se non è addirittura impossibile). Nato con un temperamento ardente e vivace, persino aperto alle distrazioni della vita sociale, ho dovuto presto isolarmi, vivere in solitudine, ogni tanto ho ben cercato di superare tutto ciò, ma l'esperienza doppiamente mortificante del mio cattivo udito mi ha duramente richiamato alla realtà, come avrei infatti potuto dire agli uomini: parlate più forte, gridate, perché sono sordo, come poter confessare la debolezza di un senso che dovrei possedere molto più degli altri, un senso che un tempo possedevo in realtà al più alto grado di perfezione, come pochi altri del mio mestiere possiedono o hanno mai posseduto - no, non lo posso fare, perdonatemi quindi se mi vedrete stare in disparte là dove invece mi mescolerei così volentieri con voi, la mia disgrazia mi fa doppiamente male perché vengo inoltre malgiudicato, per me il piacere di stare in mezzo alla gente, di partecipare a conversazioni intelligenti, a proficui scambi di vedute, non esiste, e quando è veramente indispensabile avere a che fare con la società, devo restare quasi completamente solo, vivere come un esiliato, se mi avvicino a qualcuno, sono subito terrorizzato al pensiero che possa in qualche modo accorgersi della mia condizione - così è stato negli ultimi sei mesi che ho trascorso in campagna seguendo il consiglio del mio bravo medico di affaticare i miei orecchi il meno possibile, egli veniva così incontro alle mie attuali inclinazioni, anche se di tanto in tanto mi sono lasciato sviare dal mio istinto socievole, ma che umiliazione quando qualcuno accanto a me udiva di lontano il suono di un flauto e io nulla o qualcuno udiva un pastore cantare e io sempre nulla, questi fatti mi portavano al limite della disperazione e poco ci mancò che non mi togliessi la vita solo l'arte mi ha trattenuto dal farlo; mi è parso impossibile lasciare questo mondo prima di avere pienamente realizzato ciò di cui mi sentivo capace, così ho prolungato questa vita miserabile -veramente miserabile, un corpo così sensibile che qualsiasi cambiamento un po' brusco può trasformare il mio stato di salute da ottimo a pessimo - pazienza -proprio così, devo sceglierla come guida, così ho fatto, spero che questa mia risoluzione resista finché le inesorabili parche vorranno spezzare il filo, forse andrà meglio, forse no, sono preparato - a ventott'anni essere costretto a diventare filosofo non è facile, per un artista è ancora più duro che per qualsiasi altro uomo.

Divinità tu vedi dall'alto il fondo della mia anima, sai che amo gli uomini e desidero fare il bene, o uomini, se mai un giorno leggerete questo scritto, pensate al torto che mi avete fatto, e l'infelice si consoli di aver trovato qualcuno simile a lui, qualcuno che, malgrado tutti gli ostacoli della natura, ha fatto tutto il possibile per essere ammesso nella schiera degli artisti e uomini di valore - voi, miei fratelli Carl e..., non appena sarò morto e se il Professor Schmid sarà ancora in vita, pregatelo a mio nome di descrivere la mia malattia, e aggiungete a questa storia della mia malattia il presente scritto, in modo che almeno il mondo possa quanto più riconciliarsi con me contemporaneamente vi dichiaro entrambi eredi del mio piccolo patrimonio (se così lo si può definire), dividetevelo onestamente e sopportatevi e aiutatevi l'un l'altro, ciò che avete fatto contro di me, lo sapete, ve l'ho già da molto tempo perdonato; a te mio fratello Karl, un grazie particolare per l'attaccamento che mi hai dimostrato in questi ultimi tempi; vi auguro una vita migliore e meno carica di affanni della mia, raccomandate ai vostri figli la virtù, essa sola può rendere felici, non il denaro, lo dico per esperienza; essa mi ha recato sollievo nella sofferenza, a lei, oltre che alla mia arte, debbo se non mi sono tolta la vita- addio e vogliatevi bene-; ringrazio tutti gli amici, in particolare il principe Lichnowski e il P[rofessorj Schmidt - gli strumenti del principe L. desidero che siano possibilmente conservati da uno di voi, beninteso senza che per questo vi disputiate; se peraltro potessero servirvi per altri scopi, vendeteli pure; sarei molto felice di potervi essere utile anche nella tomba - così fosse - con gioia vado incontro alla morte - ma se essa mi coglierà prima che abbia avuto occasione di sviluppare interamente i miei talenti artistici, sarebbe per me, malgrado il mio duro destino, troppo presto e vorrei che venisse più tardi - e tuttavia sarei contento lo stesso, non meriterebbe forse da uno stato di infinita sofferenza? - Vieni quando vuoi, ti vado intrepidamente incontro - addio, non dimenticatemi completamente quando sarò morto, me lo sono meritato perché nella mia vita ho spesso pensato di rendervi felici, siatelo.

Heiglnstadt, 6 ottobre 1802
Ludwig van Beethowen

Per i miei fratelli Carl e
Da leggersi ed eseguirsi dopo la mia morte -

-Heiglnstadt, 10 ottobre 1802 - prendo così congedo da te - e con quanta tristezza - da te amata speranza - con la quale sono qui venuto, nella prospettiva di una almeno parziale guarigione, ora mi deve abbandonare completamente, come cadono appassite le foglie d'autunno, così anch'essa si è per me disseccata, me ne vado - quasi nello stato in cui ero al mio arrivo - persino il coraggio superbo - che spesso mi sosteneva nelle belle giornate estive -è svanito - o Provvidenza, concedimi una volta un puro giorno di gioia - è da tanto tempo che la mia anima non ode più l'intima eco della vera gioia - o quando, o Divinità - quando proverò di nuovo la gioia nel tempio della natura e degli uomini - Mai? - no - oh, sarebbe troppo duro.