NOVALIS
Novalis è lo pseudonimo di Georg Philipp Friedrich Von Hardenberg, nato il 2 maggio del 1772 ad Oberwiederstedt, in Sassonia (Germania), dove la famiglia ha un castello tramandato da generazioni. E' secondo di undici figli. Dopo studi compiuti privatamente, una precoce ed intensa presa di contatto con la letteratura, e un anno di ginnasio a Eisleben, segue corsi di giurisprudenza (in vista di una carriera in ambito forense), ma anche di filosofia a Jena, dove ha modo di seguire i corsi di Fichte e Schiller (che in futuro divennero maestri e modelli).
Nel 1781, a soli nove anni, già è costretto a letto da una grave malattia. L'inattività gli permette però di leggere parecchio, seppur con grande fatica. In seguito, frequenta l'Università a Weissenfeels-Sale, ma ad un certo punto decide di proseguire gli studi a Lipsia dove stringe amicizia con Fredrich Schlegel.
Nel 1793 vorrebbe intraprendere la carriera militare, ma la famiglia osteggia questa scelta, soprattutto per motivi di tipo economico. Novalis, infatti, avrebbe dovuto iscriversi prima all'Accademia, istituto assai costoso. Come ripiego, allora, si trasferisce a Tennstedt, dove nel novembre assume l'incarico di attuario alle dipendenze dell'amministratore distrettuale, August Just. Durante un viaggio di lavoro a Gruningen incontra la famiglia Rockentien e s'innamora della figliastra, la dodicenne Sophie Van Kuhn. Come dirà lui stesso: "furono quindici minuti che cambiarono la mia vita". Il 15 marzo 1795 si fidanza con la ragazza. In un ricevimento a casa del professor Niethammer, a Jena, conosce invece altri due sommi del pensiero e della poesia, rispettivamente il filosofo Johann Fichte e il tormentato Hölderlin, anche se questo sarà di fatto il loro unico incontro. Con Fichte, invece, la collaborazione si fa intensa, tanto che ne diventa allievo, intraprendendo fra l'altro gli studi sulla dottrina della scienza sviluppata dal filosofo. Siamo nel 1796. Sophie improvvisamente si ammala. La situazione si presenta subito grave e viene sottoposta a tre interventi chirurgici. Un anno dopo, l'amata fidanzata spira. La morte della giovane segna una svolta decisiva nella sua vita, lasciando una ferita profonda che non si rimarginerà più. Tuttavia, trova ancora la forza per studiare e per approfondire il suo pensiero. Sotto l'influsso degli scritti di Böhme, Zinzendorf e Schleiermacher, diventa l'esponente più celebre del primo romanticismo tedesco.
Novalis, infatti, vuole con la sua poesia "romanticizzare" il mondo, attraverso una prospettiva completamente diversa da quella illuminista, cercando cioè di scorgere nel particolare un valore universale e, viceversa, riconoscendo che l'universale si esprime sempre nel particolare. Ma per "romanticizzare" la realtà comune occorre guardarla con gli occhi della fantasia e dell'intuizione, più che con quelli della ragione, tanto idolatrata nel periodo illuministico. La poesia viene infatti intesa da Novalis nel suo significato etimologico di creazione (dal verbo greco "poies", fare): essa produce realtà, anzi è la realtà vera, il prodotto dello spirito. "La poesia é il reale, é la realtà assoluta. Questo é il nocciolo della mia filosofia". La poesia é dunque vera conoscenza e vera scienza. La filosofia stessa si riduce a poesia. Infatti Novalis riprende la dottrina della scienza fichtiana, interpretando però l'Io non come semplice soggetto trascendentale, ma come una fonte infinita di pensiero e di realtà.
A Novalis dobbiamo dopotutto una delle più celebri definizioni di Romanticismo: "Quando conferiamo al comune un senso più elevato, all'ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell'ignoto, al finito un'apparenza infinita allora io lo romanticizzo".
Tornando agli episodi che contrassegnano la sua vita privata, il 14 Febbraio dello stesso anno subisce un altro colpo atroce del destino: muore il fratello Erasmus. Dal 18 del mese, per dare uno sfogo al fiume in pena che era la sua anima, incomincia un diario che si protrae fino al 6 luglio. Si rifugia nello studio (poesia, fisica, politica), e decide d'iscriversi all'Accademia mineraria di Freiberg. Inizia lo studio sull'opera di critica dell'arte dell'olandese Hemsterhuis, ed incontra per la prima volta Caroline e August Schlegel insieme a Wilhem Schelling. Nel 1798 a Freiberg entra in contatto con Abraham Werner (il noto studioso di minerali), intensificando lo studio sulle scienze naturali.
Conosce Julia von Charpentier, la figlia del consigliere dell'Amministrazione mineraria. Nel febbraio 1798 invia ad August il manoscritto delle annotazioni varie con il titolo "Bluthenstaub"("Pollini") che viene pubblicato in aprile sul primo numero dell'Athenaum con lo pseudonimo di Novalis (designazione latina di un possesso della famiglia). Segue la raccolta di brevi poesie ed epigrammi "Blumen" ("Fiori") e la raccolta di riflessioni politico-filosofiche "Glauben und Liebe" ("Fede e amore"). Insieme ad August parte per Jena per incontrarsi con Goethe e Schiller e nel corso dell'anno, con August e Schelling visita spesso la Galleria d'Arte di Dresda, rimanendo entusiasta di alcune opere. A luglio si trasferisce a Teplitz per una cura, ed immerso nel paesaggio e nella tranquillità della zona trova l'ispirazione per centocinque frammenti dedicati all'universo femminile, alla religione cattolica e alla vita quotidiana. Tornato a Freiberg nell'agosto incomincia a comporre "Gli studi sulle scienze naturali" ed il "Brogliaccio generale" nella prospettiva di realizzare un'enciclopedia di scienze naturali, matematiche, fisiche, filosofiche. Inizia la stesura del romanzo "I discepoli di Sais". Nessuno di questi studi verrà pubblicato mentre è in vita.
Nel 1799 svolge l'incarico in pianta stabile nell'amministrazione delle miniere della Sassonia. A Jena conosce Ludwig Tieck, che diverrà suo profondo amico, nonché curatore e divulgatore delle sue opere dopo la sua morte. In questo periodo compone i primi "Canti spirituali" e il saggio "La cristianità o l'Europa"; e presenterà nella città di Jena queste opere a Tieck, ai fratelli Schlegel, a Schelling e a William Ritter, tra l'11 e il 14 novembre in un convegno non programmato. Alla fine dell'anno incomincia il romanzo "Heinrich von Ofterdingen" (in cui il protagonista incarna il modello del sognatore romantico e in cui lo spirito poetico prevale di gran lunga sulla considerazione razionale della realtà), e viene nominato assessore alle saline come ricompensa per la sua serietà e per l'impegno dimostrato. Nel 1800 conclude la redazione degli "Inni alla notte" e li invia a Fredrich Schlegel, che li revisiona e li pubblica ad agosto nell'ultimo numero dell'"Athenaum". Negli "Inni alla notte" (1800), l'opera senz'altro più completa di Novalis, lo spazio notturno é il regno del sogno e della fantasia, intesi come indispensabili veicoli verso l'infinito. Novalis, in realtà, aveva iniziato a comporli nel 1797, dopo un "momento di lampeggiante estasi" percepito sulla tomba di Sophie. In quei canti l'uomo, divenuto "straniero", "entra nella notte" che è metaforicamente la notte mistica dello sposalizio, nella quale compare l'amata come "l'amabile sole notturno".
Prosegue il lavoro sull'"Enrich" e studia Jakob Bohme (1575-1624), continuando gli studi sulla geologia, medicina, religione e poesia. Da tempo però è malato di tubercolosi. In autunno le sue condizioni peggiorano gravemente. A dicembre chiede di farsi trasferire nella zona in cui è nato, in Sassonia. Nel 1801, a soli 29 anni, muore consunto dalla tisi, assistito da suo fratello Karl e da Julie.
L'IDEALISMO MAGICO
L'intima unione tra poesia e filosofia, che risulta essere uno dei tratti più tipici del Romanticismo tedesco, trova piena rappresentazione nella riflessione di Novalis. Il suo pensiero prende le mosse dallo studio della filosofia fichtiana i cui apporti si riconoscono negli scritti filosofici pubblicati negli anni 1795-1797, anche se si rifiuterà sempre di riconoscere al non-io un qualsiasi potere sull'io.
Novalis fu educato in un severo ambiente pietistico e negli studi scientifici-applicativi e questo contribuì, in un certo senso, a dare uno slancio autonomo agli studi naturalistici che sebbene lo avvicinassero alla concezione della natura dell'età idealistico-romantica,(abitualmente indicata con il termine Naturphilosophie "filosofia della natura") dall'altro, lo portarono a differenziarsi rispetto agli altri autori romantici. Egli aspirò ad una concezione spiritualizzata della natura, di ascendenze mistiche e gnostiche, diversa da quella pagana e panteistica di Goethe e Schelling. A Novalis si deve poi l'introduzione nel Circolo jenense di opere e temi propri di corrente irrazionalistica e teosofica vicini a schemi metafisici rinascimentali e neoplatonici.
Poesia e filosofia appaiono a Novalis come a Schlegel e a Schelling, unite nei tempi, primitive e identiche alla religione, destinate a rifluire in una nuova unità in futuro, per opera della stessa poesia. Novalis vede alla radice del mondo la forza creatrice della volontà divina, e l'uomo può e deve coincidere con essa attraverso la fede. Ogni credenza, dice il poeta è meravigliosa e miracolosa, con la credenza l'uomo può operare il miracolo della creazione. I sensi, intesi come modificazione dell'organo del pensiero, sono il mezzo attraverso cui il miracolo si compie. Così il pittore ha in suo potere l'occhio, il musicista l'orecchio, il poeta l'immaginazione, il filosofo il pensiero. Ma affinchè la forza creatrice di un mondo spirituale, attraverso la genesi di un senso interno dell'anima e il completo dominio spirituale sul proprio corpo compia il suo percorso, i geni particolari devono unificarsi: il genio deve diventare totale divenendo padrone del proprio corpo e del mondo. Strumento di tale trasformazione, in cui la volontà si mostra davvero creatrice è l'amore. Esso consente di superare ogni limite. In questa trasvalutazione magica e "miracolistica", viene meno la distinzione tra poeta e filosofo, accumunati dalla figura del mago-genio che domina sullo spirito. Questo dilatarsi dell'uomo sino all'infinito, questo suo trasformarsi in volontà infinita creatrice della natura e onnipotente, è il fondamento dell'idealismo magico di Novalis. Le moderne filosofie kantiana e fichtiana paiono, a Novalis, far rivivere il sogno magico del Rinascimento, che aveva tra i temi caratterizzanti l'idea di un'universale simpatia tra l'interno e l'esterno, tra la parte e il tutto della natura. Il mago è colui che sa dominare la natura e la sue leggi, è l'evocatore di mondi, creatore e annientatore di realtà e lo fa mediante la poesia che è considerata arte creatrice senza limiti. La filosofia stessa non è altro, che la teoria della poesia stessa. Queste riflessioni si ritovano nell raccolte di frammenti pubblicati sulla rivista "Athenaum". Entrambi i romanzi Heinrich von Hofterdingen (pubblicato postumo nel 1802) e I discepoli di Sais (rimasto incompiuto) celebrano con parole entusiastiche, il potere dell'uomo sul mondo. Trattare la storia del mondo come storia di uomini, trovare ovunque e solo avvenimenti e rapporti umani, è un'idea che non venne mai meno nella poetica di Novalis. Poi, a questo punto, nella poesia, la spiritualità della natura, appare nella sua maggiore chiarezza.
IL MONDO SI FA SOGNO, IL SOGNO MONDO...
L’ultimo scorcio del secolo XVIII e i primi anni del secolo XIX (tra il 1798 e il 1804) videro germogliare, preceduto e avviato dallo Sturm und Drang, il pensiero romantico tedesco: reazione al razionalismo illuministico, rappresentò il sentimento della Sehnsucht “l’eterna irrequietezza” in contrapposizione alla Stille “l’imperturbata serenità dell’anima”.
Il Romanticismo tedesco fu teorizzato dal cosiddetto «gruppo di Jena» che si raccoglieva intorno alla rivista «Athenäum» dei fratelli Schlegel, con la collaborazione di esponenti di spicco del salotto culturale tedesco quali Schelling, Novalis e Tieck.
Il barone Friedrich von Hardenberg inviò a F. Schlegel, nel febbraio del 1798, il manoscritto delle Osservazioni miste che, con il titolo di Blütenstaub (Pòllini) datogli dallo stesso editore, vide la luce sul primo numero della rivista. In questa occasione Hardenberg assunse lo pseudonimo di Novalis “terreno nuovo da arare, da dissodare”, già nome di un possedimento di famiglia, eppure così compenetrato al suo stato di homo novus da anticiparne lo spirito di appartenenza/superamento ai principi più intimi e connaturati del sentire romantico.
Novalis trovò nel frammento, “forma filosofico-poetica di un sapere istantaneo”, terreno fertile sul quale seminare «un’unica, grande idea […] che modifica tutto»: solo collegando l’attività poetica a quella filosofica si ottiene nella sua compiutezza la sua «arte morale».
È proprio nel superamento dell’antitesi fichtiana “Io – non-Io” e nella rilettura dei passaggi ricavati dalla traduzione-commento all’Alexis, o dell’età dell’oro, del filosofo olandese Hemsterhuis che l’uomo può ritrovarsi nella natura attraverso un contatto diretto che solo la poesia può perpetratre, in quanto spirito permeante dell’idealismo magico.
Non deve assolutamente sfuggire il fatto che qui «poesia» non significa, in primo luogo, l’attività «poetica» di un soggetto singolo; il termine richiama invece direttamente l’intima vita dell’anima nella sua appartenenza alla vita del cosmo, ed è proprio perciò che Novalis può parlare di una moralità della poesia e non, invece, della filosofia”.
Il non-Io “natura” e l’Io finito “pensiero” teorizzati da Fiche vengono rivisitati da Novalis e denudati della loro relazione di limiti reciproci, empirici e individuali, divenendo insieme corpo di un Io infinito “anima” assopito: si tratta di superare l’attuale debolezza del nostro organo dell’interiorità, che si è atrofizzato, insiste Novalis.
Se è nel frammento che l’estetica della poesia novalisiana «…mescola tutto per il suo fine dei fini – elevare l’uomo oltre se stesso», che afferma che il «Poetare è generare. Tutto quanto viene poetato dev’essere un individuo vivente», è nella fiaba che il genio poetico di Novalis concretizza l’apoteosi dell’essenza della poiesis, sublimata dal contemporaneo Hölderlin in una frase-emblema del suo celebre Iperione: “Oh, un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette…” . Sia Novalis che Hölderlin furono ascritti alla cerchia del circolo dei romantici, abbracciandone contenuti ideali e concettuali, entrambi furono accomunati dal travagliato sentimento di appartenenza all’uno-tutto, espressione di quell’Infinito che è senso e radice del finito. Simbolo del viscerale anelito di Novalis verso l’Assoluto è il frammento 1190, eco indistinta tra frammento e fiaba, dove , evidenziando l’inscindibilità tra l’elemento estraneo (Befremdende) e l’elemento familiare (Befreundete).
Quale è, dunque, l’espressione dell’altro nell’identico? Dove l’idealismo magico si è elevato oltre l’uomo romantico? Nel sogno!
È nel sogno che la concretezza si mescola alla fantasia, che “L’anima diviene la sede della poesia come comprensione profonda dell’universo. A tal fine, l’anima si compenetra ancor più con il corpo…” Nella fiaba di Giacinto e Fiordirosa, Giacinto “Si addormenta in un soffio di profumi celestiali, poiché solo un sogno poteva condurlo nel sacrario: e il sogno lo guidò prodigiosamente […] Sollevò il velo leggero e scintillante e Fiordirosa gli si gettò tra le braccia.”
Nell’atto di sollevare il velo, di assistere alla Rivelazione risiede la Sehnsucht, l’eterna irrequietezza, nel magico manifestarsi del “fiore azzurro” che ne è la rappresentazione visiva e che già dalla prima pagina appare in sogno al giovane protagonista dell’ Heinrich von Ofterdinden.
La poesia che apre il primo capitolo (incompiuto) della seconda parte dell’ Heinrich von Ofterdingen, l’opera più pregna dello spirito novalisiano, reca il nome di Astralis, frutto dell’amore di Enrico e Matilde, della realtà e del sogno:“Non eravate testimoni quando io, ancora
sonnambulo, incontrai me stesso per la prima volta,
in quella lieta sera? Non vi sfiorò forse
un dolce brivido di febbre?/ […] Il mondo si fa sogno, il sogno mondo,
e ciò che si crede sia avvenuto,
si può vederlo giungere solo da lontano.”
PICCOLISSIMA ANTOLOGIA DI FRAMMENTI
L'acume geniale è l'uso acuto dell'acume.
Anche il caso ha le sue regole.
Il filosofo vive di problemi come l'uomo di cibi. Un problema insolubile è un cibo indigesto.
Il poeta comprende la natura meglio dello scienziato.
L'amore ha sempre svolto romanzi, ossia l’arte di amare è sempre stata romantica.
La vita non deve essere un romanzo impostoci, bensì un romanzo fatto da noi.
Non ci comprenderemo mai del tutto, ma potremo assai più che comprenderci.
Non dovrebbe esistere che un unico bisogno assoluto: l'amore, la vita in comune con le persone amate.
Ogni oggetto amato è il centro di un paradiso.
Per conoscere bene una verità bisogna averla combattuta.
Per l'uomo profondamente religioso, nulla è peccato
Quando sogniamo di sognare, siamo prossimi a destarci.
Nulla per lo spirito è più raggiungibile che l'infinito.
Strano che la vera e propria origine della crudeltà sia la voluttà.
Di tutti i veleni l’anima è il più forte.
Si è soli con tutto ciò che si ama.
La poesia sana le ferite inferte dall'intelletto. Essa è appunto formata da elementi contrastanti – da una verità sublime e da un piacevole inganno.
Quando conferiamo al comune un senso più elevato, all'ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell'ignoto, al finito un'apparenza infinita allora io lo romanticizzo.
L'astrazione indebolisce, la riflessione rinforza.
L'uomo è un sole, i sensi sono i suoi pianeti.
Dove ci sono bambini c'è un'età dell'oro.
Poetare è generare. Ogni produzione poetica deve essere un individuo vivente.
Vera comunicazione ha luogo soltanto fra persone di uguale sentimento, di uguale pensiero.
Io posso amare come ogni essere su questa terra.
La filosofia è propriamente nostalgia, il desiderio di essere a casa.
Le poesie, finora esistenti agiscono per lo più dinamicamente, la futura poesia trascendentale potrebbe definirsi poesia organica. Quando sarà inventata si vedrà che finora tutti veri poeti, senza che lo sapessero, poetavano organicamente e che però la mancanza di consapevolezza di ciò che facevano esercitava un influsso essenziale sulla totalità delle loro opere.
Il senso per la poesia ha molto in comune col senso per il misticismo. è il senso dell' originale, del personale, dell' ignoto, dell' arcano, di ciò che deve essere rivelato, del fortuito - necessario. Rappresenta l' irrapresentabile, vede l' invisibile, sente il non sensibile, ecc.
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Novalis, Opere, Guanda, 1982.
Torino 1991. Novalis, Enrico di Ofterdingen, traduzione di Tommaso Landolfi, Guanda, 1978
Milano 1995. Novalis, Inni alla notte. Canti spirituali, Guanda,1979
Novalis, Frammenti, traduzione di Ervino Pocar, Milano 1996.
Novalis, I discepli di Sais, Rusconi, 1998
Novalis: Cristianità o Europa, Rusconi, 1995
JOHANN GOTTLIEB FICHTE
Di umili origini, nasce nel 1762 a Rammenau, in Sassonia. Riesce a compiere studi liceali e universitari grazie agli aiuti economici del barone von Militz, quando questi vengono meno è costretto a fare il precettore presso una famiglia di Zurigo. Tornato in Germania nel 1790 si appassiona alla filosofia kantiana al punto di sentire la necessità di recarsi a Königsberg nel 1791 per incontrare Kant che gli fa pubblicare, erroneamente in forma anonima, il Saggio di una critica di ogni rivelazione nel 1793. Essendo composto in totale accordo con il kantismo, lo scritto viene attribuito inizialmente a Kant, quando questi rivela il nome del vero autore, Fichte ottiene notorietà immediata, che gli vale la cattedra presso l'università di Jena nel 1794. Nello stesso anno Fichte pubblica Sul concetto della dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia e l'opera fondamentale Fondamenti dell'intera dottrina della scienza, che segnano il suo distacco dal Criticismo kantiano, per fondare l'Idealismo.
Il problema fondamentale è quello del fondamento (il Grundsatz) di tutto il sapere, fondamento che deve essere certo. Esso non può essere, come pensava Aristotele e la metafisica classica il principio di identità, che è a suo parere un principio formale (puramente logico: A=A). Infatti tale principio di identità non dice se A sia. Occorre invece un contenuto certo, che sia implicato in ogni giudizio. Questo contenuto è l'Io giudicante stesso, che per Fichte costituisce una evidenza immediata. Partendo dalle riflessioni di Reinhold, Schulze e Maimon, il pensiero fichtiano giunge a trasformare l'Io penso kantiano in Io puro, inteso come intuizione pura che liberamente si autopone (si autocrea), e, autoponendosi, crea tutta la realtà.
Fichte formula così i tre principi del sistema della ragione umana:
Io sono, ossia l'Io pone l'Io.
L'Io, in quanto attività libera, originaria e infinita, si autocrea mediante la propria immaginazione produttiva.
Questo è il momento corrispondente alla libertà e alla tesi.
L'Io si oppone al non-Io, ossia l'Io oppone a sé un non-Io.
L'autoporsi comporta necessariamente la limitazione e la determinazione dell'Io, che viene identificata con tutto ciò che non è Io.
Questo è il momento della necessità e dell'antitesi.
Nell'Io assoluto, l'Io divisibile si oppone ad un non-Io divisibile.
Tanto l'Io divisibile, cioè finito, limitato, ovvero empirico, il soggetto individuale che ognuno di noi è, quanto il non-Io divisibile, cioè la natura, l'oggettività materiale, vengono ricompresi e sintetizzati nell'Io indivisibile, cioè Infinito, ovvero trascendentale.
Questo è il momento della sintesi, che attesta il primato della ragion pratica sulla ragion pura, in virtù del fatto che la ragione umana concreta esiste sempre in rapporto a contenuti reali che ne sono l'oggetto (non-Io). Se l'attività del non-Io costituisce la conoscenza in generale, l'attività dell'Io sul non-Io costituisce l'azione morale. L'Io, per realizzarsi nella sua infinità deve opporsi all'oggetto, questo sforzo che tende a ricondurre l'oggetto alla pura attività dell'Io è opera dell'attività morale, la ragion pratica, appunto.
In tal modo Fichte ha riconosciuto nell'esigenza morale il vero significato dell'infinità dell'Io.
Queste tesi di fondo vengono approfondite nelle lezioni su La missione del dotto del 1794 e riprese anche in opere successive, soprattutto in Sistema della dottrina morale del 1798. La vita associata implica il sorgere del diritto, perché in comunità l'uomo deve limitare la propria libertà con il riconoscimento della libertà altrui. Il diritto fondamentale dell'uomo è dunque quello alla libertà, il secondo è il diritto alla proprietà. Accanto alla chiesa e allo stato Fichte ammette la comunità dei dotti, con il compito sociale di sorvegliare e sollecitare il progresso dell'umanità.
Nel 1799 scoppia la polemica sull'ateismo a seguito della pubblicazione, sul «Giornale filosofico» di Jena, dell'articolo Sul fondamento della nostra credenza nel governo divino nel mondo che identificava Dio con l'ordine morale del mondo. Il governo di Jena, con il parere favorevole di Goethe, invita Fichte a dare le dimissioni, nonostante una petizione degli studenti in suo favore.
A partire dal 1800 è in atto una frattura e una crisi del sistema fichtiano che tende sempre più verso una maggiore considerazione della vita religiosa. Nelle rielaborazioni della Dottrina della scienza a partire dal 1801 e in Introduzione alla vita beata, del 1806, Fichte passa dall'idea di infinito nell'uomo all'idea che l'Io sia immagine di Dio. Si rivolge ad un orientamento mistico che tende a negare ogni valore al mondo e allo stesso sapere umano.
È del 1800 lo scritto Stato commerciale chiuso in cui Fichte chiarisce come lo stato nasca da un contratto sociale, da un consenso delle volontà degli individui. Esso deve pertanto garantire il lavoro a tutti, impedendo che vi siano i poveri e, per raggiungere questo obiettivo, lo stato può, se necessario, chiudere il commercio con l'estero e divenire autarchico.
Tali posizioni socialistiche, ispirate dagli ideali della Rivoluzione Francese, mutano sotto il precipitare degli eventi storici: la battaglia di Jena e l'occupazione napoleonica della Prussia. La filosofia politica di Fichte si evolve in senso nazionalistico. Nei Discorsi alla nazione tedesca, che risalgono agli anni 1807-1808, Fichte ritiene che solo dal popolo tedesco, militarmente sconfitto e politicamente oppresso e diviso, può venire la spinta per il progresso dell'umanità: solo il popolo tedesco riunificato avrebbe potuto compiere tale missione.
Dopo la nomina a professore e rettore dell'Università di Berlino, muore il 29 gennaio del 1814 per una febbre infettiva.
WILHELM JOSEPH SCHELLING
Friedrich W. J. Schelling nasce a Leonberg, piccola città del Wüttemberg, il 27 gennaio del 1775. Si interessa, fin dalla piccola età, agli studi biblici e alla conoscenza del mondo antico, greco, romano e orientale, sotto la guida del padre che è un dotto pastore protestante. Nel 1790 compie gli studi allo Stift di Tubinga (la scuola di teologia della città), dove è ammesso a quindici anni con ben tre anni di anticipo rispetto alla normalità; qui conosce ed è compagno di camera, ma non di studi, di Hegel e Hölderlin.
Termina i primi due anni di studio filosofico con la dissertazione Antiquissimi de prima malorum humanorum origine philosophematis Genes. III explicandi tentamen criticum et philosophicum dove è evidente un approccio razionale al testo biblico.
I successivi tre anni studia teologia e li conclude con la dissertazione De Marcione Paullinarumepistolarum emendatore. Compiuti gli studi scolastici si avvia alla carriera scientifica frequentando le università di Lipsia e di Dresda e facendo il precettore; scrive le prime opere di ispirazione criticistico-fichtiana tra cui Sull'Io come principio della filosofia.Nel 1798 si trasferisce a Jena dove sostituisce Fichte, che si era appena dimesso per la polemica sull'ateismo. Entra in contatto con il circolo romantico e inizia un periodo di intensa attività culturale che lo porta alla pubblicazione di quasi tutti i suoi testi, tra cui Primo progetto di un sistema della filosofia dellanatura (1799), Sistema dell'idealismo trascendentale (1800), L'esposizione del mio sistema filosofico (1801). Nel 1803 conosce e sposa Carolina Michaelis, già sposa di August Wilhelm Schlegel. La morte di Carolina nell'autunno del 1809 segnerà profondamente il pensatore e, secondo molti interpreti, darà avvio a una fase del suo pensiero in cui l'elemento negativo e il lato oscuro dell'uomo saranno sempre più presenti.
Il 1809 è una data significativa anche perché pubblica le Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana e gli oggetti che ne sono connessi che evidenzia la fine delle speculazioni sulla filosofia della natura e l'inizio di una filosofia matura che lo avvicina al pensiero mistico, alla teosofia e alle indagini sul mito che occuperanno gli anni successivi della vita del filosofo tedesco. Dal 1806 al 1820 lavora come segretario all'Accademia di Monaco, pubblica Le lezioni private diStoccarda e si allontana sempre più dalla vita accademica anche per la crescente influenza di Hegel, con il quale i rapporti si sono deteriorati a seguito delgiudizio negativo espresso da Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito su di lui.
Nel 1820 si trasferisce a Erlangen dove tiene conferenze e discorsi e dove rimane per sette anni occupandosi sempre più di filosofia della mitologia. Dopo il 1809 le pubblicazioni di Schelling diventano molto rare anche se continua a scrivere, a fare conferenze e a tenere lezioni accademiche. Nel 1827 ritorna a Monaco dove tiene un corso di lezioni all'università sull' "empirismo filosofico" come nuovo metodo della filosofia che egli chiama "positiva". Nel 1841 viene chiamato a Berlino a ricoprire la cattedra, lasciata dieci anni prima da Hegel per la sua morte. Gli scritti di questo periodo rimarranno a lungo inediti e verranno pubblicati postumi nella Filosofia della rivelazione. La sera del 20 agosto 1854 muore nella cittadina svizzera di Bad Ragaz.
Schelling deve essere considerato uno dei massimi esponenti dell'idealismo tedesco insieme a Hegel e Fichte.
La sua filosofia giovanile della natura è influenzata da due posizioni: dal criticismo kantiano, più precisamente dall'interpretazione che Fichte fa della filosofia di Kant dal naturalismo di Hume connesso alla filosofia del sentimento di Jacobi. Schelling tenta di costruire un sistema che sia una sintesi tra elementi apparentemente inconciliabili: natura e spirito, fenomeno e idea, libertà e necessità. Il testo che esprime in modo completo questo tentativo è il Sistema dell'idealismot rascendentale che nasce come allargamento dei principi dell'idealismo a tutto il sapere, sia quello dello spirito che quello naturale. L'intento della riflessione schellinghiana è principalmente quello di accentuare il carattere produttivo dell'attività conoscitiva umana, radicalizzando sia la spontaneità sintetica dell'intelletto di Kant che l'autoposizione dell'io e l'immaginazione produttiva di Fichte. Compito della filosofia della natura è far vedere come dall'oggetto (natura) si perviene, attraverso esso, al soggetto, alla coscienza e all'autocoscienza, invece compito della filosofia trascendentale è mostrare come dalla soggettività si passa, attraverso essa, all'oggetto e alla natura.
La filosofia della natura di Schelling è una critica continua ai sistemi meccanicisti che vedevano nelle scoperte di Newton la loro massima consacrazione. Schelling si rifà all'interpretazione di Goethe che concepisce la natura, non come sistema meccanico e causale, ma come un organismo, un continuo e fluido divenire dominato da forze e polarità che determinano forme. Lo strumento che ci permette di cogliere l'insieme di natura e spirito, ossia l'assoluto è la produzione artistica che riunisce in sé il carattere conscio e quello inconscio dell'Io.
La produzione estetica è affidata al genio che è colui che riesce, intuendo l'assoluto, a unificare l'aspetto inconscio della spiritualità alla mentalità lucida della realizzazione dell'opera d'arte. Negli ultimi quaranta anni di vita il filosofo tedesco non pubblica nulla se non il breve opuscolo Le divinità di Samotracia, ma espone nelle lezioni di Monaco, Erlangen e poi di Berlino quello che Pareyson definirà un "sistema in movimento" occupandosi di empirismo filosofico, teoria dell'assoluto, filosofia della mitologia, filosofia dellarivelazione, storia critica della filosofia moderna e tentando di costruire un collegamento tra mitologia, cristianesimo e filosofia.
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