Il romanzo Una donna (1906),
opera autobiografica di Sibilla Aleramo, inizia con il ricordo della
fanciullezza libera e spensierata della protagonista e presenta i vari
personaggi attraverso un lento e graduale crescendo delle loro singole
individualità soffermandosi su alcune figure chiave: il padre, la madre, il
marito, il figlio, il profeta, descritti nella storia sono tutte persone che
hanno interagito in modo significativo con la vita della scrittrice.
Il nodo di tutto è la
disuguaglianza costruita a partire dal sesso e il nemico è il sistema che la
civiltà ha edificato attraverso il tempo. All’età di dodici anni la Aleramo si
trasferì da Milano in una cittadina del mezzogiorno perché il padre aveva
ottenuto la direzione di un’industria chimica. Dopo pochi anni che si trovava
nel nuovo paese, la protagonista interruppe gli studi e venne impiegata
regolarmente nella fabbrica diretta dal padre. Un’epoca di grandi cambiamenti e
di crisi della famiglia borghese fa da scenario agli episodi salienti della
vita della scrittrice; il passaggio dal mondo del lavoro, al quale era stata
avviata dal padre, a un matrimonio violento e senza amore, a cui fu costretta,
la videro interpretare un ruolo che odiava, quello di donna moglie e madre in
cui era richiesto l’annientamento del proprio Io. L’esempio più vicino era
quello di sua madre vittima lei stessa di un matrimonio sbagliato che l’aveva
spinta in depressione e poi al suicidio.
Da queste vicende individuali
nasce l’esigenza della scrittrice di cercare attraverso la scrittura una sua
identità. Il combattere per trovare qualche trascendenza alla semplice volontà
di fuga e l’arrendersi di fronte al richiamo imperativo di fedeltà alla propria
legge e alla propria vita, creano un’atmosfera nella storia in cui il tempo,
che scorre monotono, fa da cornice a tutta quella serie di avvenimenti che
serviranno a rendere la giovane donna finalmente “padrona della scelta”.
Una donna è un complesso sviluppo
narrativo in cui la struttura e i personaggi, divengono parte di quel
meccanismo reale che rivela tutta la forza di una vita segnata dalla passione
per l’avventura intellettuale e artistica e che fa pensare ad una forma di
confessione minuziosa, un diario frammentato e rifuso a posteriori. In questa
opera prevale la rivendicazione sociale di un ruolo femminile paritario a
quello maschile.
In una prosa del 1911 (“Apologia
dello spirito femminista”, compresa nel volume Andando e stando), scriveva che
il femminismo come movimento sociale era stato una breve avventura, eroica
all’inizio, ma grottesca sul finire, un’avventura da adolescenti, inevitabile
ed ormai superata. Il suo carattere femminista si era riversato sul lato letterario
e spirituale, sulla rivendicazione della “diversità” femminile e della
necessità della “libera estrinsecazione dell’energia femminile”. In realtà, il
libro divise le femministe e le scrittrici, che riconoscevano la particolarità
di quella “coscienza evoluta”, ma ne prendevano le distanze, identificando il
bambino come l’unica vera vittima; la rivista femminista Vita internazionale la
giudicò come orgogliosa, egoista e priva di forza, incapace al sacrificio
estremo.
Nelle liti col marito la giovane
cercava di tenere duro, per far crescere il figlio con una mente libera e
aperta. Dalle liti però si passò alle percosse e la ragazza stremata decise di
partire, ma quando lo comunicò al marito, lui disse che avrebbe acconsentito
purché il piccolo fosse rimasto con lui. La donna, divisa tra il desiderio di
realizzare se stessa e l’istinto materno, partì e tornò a Milano dove si
trovava la sua famiglia, con la speranza che nel giro di pochi giorni avrebbe
fatto in modo che suo figlio la raggiungesse. Ma i giorni passarono così come i
mesi e gli anni e il suo piccolo a Milano non venne mai. Le lettere che la
madre gli scriveva non ebbero mai una risposta, la protagonista allora,
soffrendo in silenzio, decise di scrivere un libro per far si che le parole in esso
contenute lo raggiungessero, permettendogli di comprendere le scelte che aveva
compiuto.
Lo scopo che l’autrice si
prefigge è quello di mostrare per la prima volta “l’anima femminile moderna”,
capace di tramutare l’essenza di una vita in arte. E proprio attraverso ogni
forma d’arte e di libero pensiero l’Aleramo si era attivata nel movimento per
l’emancipazione della donna, collaborando a riviste e giornali, e partecipando
alle campagne più significative di sensibilizzazione, da quelle per il voto
alle donne a quelle per la pace, contro l’alcolismo, la prostituzione e la
tratta delle bianche.
SIBILLA ALERAMO (1876-1960) -
NOTA BIOGRAFICA
Scrittrice e giornalista. Prima
di quattro figli, nacque dal professore di scienze Ambrogio Faccio e da
Ernesta, una casalinga. Nel 1888, la sua famiglia si trasferì da Milano in un
piccolo paese delle Marche, dove Ambrogio diresse una fabbrica di vetro.
Impiegata come bibliotecaria, nella fabbrica, all'età di sedici anni dovette
sposare Ulderico Pierangeli, un operaio della fabbrica, che la aveva
violentata.
Risentendo sia dell'instabilità
mentale della madre, sia della costrizione di un'unione sfortunata, ad un certo
punto tentò il suicidio, e per il resto della sua lunga vita ebbe continui
sbalzi depressivi. La scrittura divenne l'unica fuga di questa donna sensibile
e brillante. Pur avendo ricevuto solo un'istruzione elementare, cominciò a
collaborare con riviste femministe, e per tutta la vita scrisse recensioni di
libri, critiche letterarie, studi sociologici e commenti sulla vita quotidiana.
Nel 1899, la sua reputazione era
così grande, che le fu offerto di dirigere una rivista femminile a Milano, dove
si era trasferita, per un breve periodo, con la famiglia di Pierangeli. Milano
le aveva offerto una finestra sul mondo, così quando il marito la costrinse a
tornare al paese, Rina prese la difficile decisione di abbandonare la sua
famiglia ed iniziare una vita che le permettesse di affermarsi come persona.
Distrutta dalla separazione dal figlio amatissimo, si trasferì a Roma nel 1902.
Ebbe una relazione con il giovane poeta valtellinese, nato a Morbegno, Felice
Damiani. Poeta che morirà giovanissimo.
A Roma conobbe Giovanni Cena,
direttore della rivista letteraria La Nuova Antologia, con il quale instaurò un
sodalizio culturale e spirituale, durato sette anni. Fu durante questo periodo
che Rina Faccio, guidata e supportata dal suo mentore (che però impose di non
citare né ricordare il suo primo amante Felice Damiani) e dagli altri
intellettuali divenuti suoi amici, pubblicò il suo primo libro: Una Donna
(1906). Con questo evento, Rina Faccio divenne Sibilla Aleramo, un nuovo nome
per una nuova vita.
Alla fine della sua storia con
Giovanni Cena, nel 1910, Sibilla iniziò un viaggio durato venti anni. In questo
periodo, continuando a scrivere ed a collaborare con diverse riviste, la
scrittrice attraversò tutta l'Italia e parte dell'Europa, alla ricerca
dell'amore perfetto, che avrebbe dato un senso assoluto alla sua vita.
Nel 1928, però, orami ridotta sul
lastrico tornò a Roma, dove finì i suoi giorni, dopo aver militato contro il
Fascismo ed essersi innamorata per l'ultima volta del giovane Franco Matacotta,
uno studente quarant'anni più giovane di lei. Leggenda del femminismo, Sibilla
Aleramo si spense nel 1960, all'età di ottantatré anni, senza mai aver smesso
di scrivere.
DONNE E LETTERATURA. DOPO SIBILLA
ALERAMO
Nel XX secolo nasce e si
intensifica sempre più la produzione letteraria e poetica ad opera delle donne.
Tale fenomeno viene generalmente inserito all’interno del quadro di
modernizzazione della civiltà italiana ed europea contemporanea, ma soprattutto
viene associato al processo dell’emancipazione femminile e al cambiamento dei
rapporti fra uomo e donna.
Nonostante non esista ancora una
storia della letteratura italiana femminile, molte rappresentanti di essa, da
Sibilla Aleramo ad Elsa Morante, da Grazia Deledda ad Anna Maria Ortese e
Natalia Ginzburg, fanno parte delle più alte e significative sfere della nostra
produzione letteraria.
Il filone letterario “al
femminile” si apre, nel nuovo secolo, con l’opera di una scrittrice che nel
panorama generale spicca per la sua scrittura innovativa, per la sua vita
intensa e per le sue molte storie sentimentali. Sibilla Aleramo, al secolo Rina
Faccio: bella, intelligente, modello di donna nuova libera da schemi e
pregiudizi, autrice di un’opera stimata da tanti come la “bibbia del
femminismo”, Sibilla Aleramo viene così giustamente considerata una delle
figure più originali ed anticonformiste della letteratura del Novecento.
Il suo primo romanzo,
l’autobiografia Una donna, pubblicato nel 1906, è considerato una testimonianza
della condizione femminile dell’epoca ed è il primo libro femminista apparso in
Italia. Una donna è la prima opera firmata con lo pseudonimo di Sibilla Aleramo
ed è anche quella che le ha donato da subito la notorietà, delineando la sua
immagine pubblica e privata. Il romanzo infatti riscosse successo e la sua
pubblicazione suscitò l’interesse della società dell’epoca: il testo,
commovente e provocatorio allo stesso tempo, animò per più di un anno il
dibattito culturale italiano.
L’opera, che racconta la vicenda
umana della scrittrice, non è una semplice autobiografia né un diario, ma è
considerata una riflessione spietata e acuta sul proprio passato, una sorta di
“autoanalisi” letteraria. In ventidue brevi capitoli la protagonista, partendo
dagli anni spensierati della sua infanzia, arriva al tempo della prima stesura
del romanzo, quando cioè avrà già lasciato suo marito e suo figlio.
Rina infatti, dopo aver subito
uno stupro da parte di uno dei dipendenti che lavorano nella fabbrica del
padre, viene costretta a sposare quest’uomo con un matrimonio “riparatore”, un
matrimonio senza amore da cui nascerà il suo unico figlio che per molto tempo
rappresenterà la sua unica salvezza.
La solitudine, il disprezzo per
il marito, l’atmosfera chiusa e gretta della provincia la spingeranno, dopo un
tentato suicidio, a ritrovare conforto nella scrittura. L’autobiografia si
trasforma così in un percorso di formazione che, nell’arco di dieci anni,
porterà la scrittrice ad una maturazione: deciderà infatti di lasciare
definitivamente la famiglia e il suo adorato figlio.
Nel 1902 Rina lascia il marito e
il figlio e si trasferisce a Roma per inseguire la sua vocazione letteraria ma
soprattutto la sua libertà e indipendenza. Per l’abbandono del tetto coniugale
Sibilla, secondo la legge, perde ogni diritto sul bambino e per questo il
distacco diventa ancora più doloroso e drammatico, un allontanamento che per
lei risulta essere però necessario. In realtà questo romanzo viene scritto
dalla Aleramo proprio per il suo amato figlio, perché un giorno possa leggere
la storia di sua madre e capire fino in fondo le sue tormentate scelte. Tema
centrale del libro rimane perciò la maternità che nel romanzo viene ampiamente
trattato.
Scrivendo la sua storia Sibilla
definisce di nuovo anche la sua immagine, riportando in superficie il valore
profondo del suo percorso. Una donna è, come la stessa autrice spesso lo ha
definito, il libro del suo passato che rappresenta dunque allo stesso tempo la
nascita ad una nuova vita, è l’annuncio del futuro: la donna Rina lascia il
posto alla scrittrice Sibilla. Lo stesso pseudonimo che Rina sceglierà e con
cui firmerà questa e tutte le sue successive opere, cancellerà d’ora in avanti
e per sempre il suo nome e il cognome del padre e del marito.
La perdita del nome rappresenta
una cesura netta con il suo passato e coincide con la nascita della sua
“seconda vita”, come lei stessa amava definirla, una nascita di certo violenta
e non naturale costellata da abbandoni dolorosi. Il libro va dunque letto per
la vicenda che narra ma soprattutto per il modello di donna nuova che cerca di
proporre.
La scrittura è la via che
l’autrice ha scelto per affermare se stessa e la sua identità di donna e il
romanzo, esito finale di un’esperienza di vita, diviene un modello universale
di riscatto. L’itinerario intellettuale e privato di una sola donna assume in
questo modo, come già rivela il carattere generale del titolo stesso, Una
donna, il ruolo di testimonianza e di documento di denuncia.
Nel romanzo infatti, specchio
della società italiana a cavallo dei due secoli, la Aleramo, con occhio
critico, analizza buona parte dei problemi delle donne della sua epoca. E il
valore di “romanzo femminista”, intuito già alla sua pubblicazione, favorì
probabilmente il grande successo di pubblico e di critica.
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