mercoledì 3 marzo 2010

Il Romanticismo italiano molto in breve




                                                                      Silvio Pellico
  
L'atto di nascita del Romanticismo in italia è in ritardo di qualche anno rispetto a quello del romanticismo tedesco ma fermenti romantici albergano in un poeta come Foscolo, di impianto neoclassico, similmente a quanto era avvenuto in Germania per i neoclassici di varia provenienza.

La polemica romantica scoppiò in Italia nel 1816 quando la scrittrice francese Madame de Staël, attiva propagandista delle idee romantiche pubblicò sulla Biblioteca Italiana di Milano un articolo: “Sulla utilità delle traduzioni”. Il testo era un attacco a fondo contro la letteratura italiana dell'epoca, considerata accademica, sterile, pedantesca, archeologica, arretrata rispetto al movimento generale delle idee e del gusto, e rivolgeva agli italiani l'invito a tradurre e studiare i poeti moderni delle grandi letterature europee. La presa di posizione della Staël suscitò la reazione di tutta l'Italia tradizionalista, accademica e classicheggiante e si attirò il consenso di numerosi letterati della nuova generazione. La reazione tradizionalista si strinse intorno al Giordani ed al Monti ed ebbe il suo organo ufficiale nella Biblioteca Italiana, mentre i giovani romantici diedero vita ad una rivista bisettimanale, Il Conciliatore, diretta da Silvio Pellico e redatta dal Di Breme, il Borsieri, il Berchet, II Visconti, il Maroncelli, il Gonfalonieri, con l'appoggio indiretto del Manzoni.

La Biblioteca Italiana era protetta dal governo austriaco che vedeva con simpatia la corrente classicista come quella che, preoccupata essenzialmente della forma non insegnava non impegnava l’artista alla conoscenza della realtà nazionale ed alla ricerca di nuovi contenuti; il “Conciliatore” invece durò poco più di un anno, dal settembre 1818 all’ottobre 1819, continuamente perseguitato dalla censura ed infine soppresso per le sue tendenze liberali ed antiaustriache. Del resto, come è noto, nel 1821 il gruppo del Conciliatore popolerà con alcuni dei suoi migliori uomini le carceri austriache.

Nel Conciliatore il legame fra Romanticismo (nei suoi aspetti più positivi) e Illuminismo risulta particolarmente evidente: e deel resto tale legame può considerarsi l’elemento caratterizzante del Romanticismo italiano. Gli scrittori del Conciliatore si richiamano spesso all’esperienza del “Caffè” e proprio dagli illuministi e dal Parini riprendono l’esigenza di un’arte utile, nutrita di ragioni morali e civili, strumento di progresso e di riscatto nazionale, capace di farsi comprendere dalel grandi masse della piccola e media borghesia.

La polemica quindi, non tocca tanto i classici, di cui non si disconosce il valore, ma si rivolge contro l’accademismo che mina tutta la poesia classicista moderna. Idee analoghe sostenne il Berchet nella sua Lettera semiseria di Grisostomo, fortunatissimo manifesto della poesia romantica in Italia.

Il Berchet individua anche il pubblico nuovo a cui la poesia si deve rivolgere: non la plebe analfabeta (gli “Ottentotti”) quasi del tutto incapace di comprendere il bello, non la ristretta cerchia dei letterati (i “Parigini”), troppo raffinati e viziati da un gusto formalistico, ma il vasto strato intermedio che si può individuare nella piccola e media borghesia e che il Berchet chiama “Popolo”; interessato quest’ultimo “al vivo delle cose nostre che ci circondano tutto dì” e non dalle regole, dai miti o da altre cose che si trovano solo nei libri.
Scheda divulgativa – Tellusfoglio-Scuola


Il Romanticismo. Con dizionarietto: Sublime, Streben, Sensucht, Genio, Infinito

 



   
Il Romanticismo nasce ufficialmente nel 1798, quando a Berlino esce il primo numero della rivista Atheneum che annovera tra i suoi collaboratori i fratelli Schlegel, Novalis, Tiek, Goethe, Schiller. Naturalmente, come è avvenuto per ogni altro movimento di cultura, anche il Romanticismo non nasceva dal nulla, ma era stato preparato in Germania dal movimento dello Sturm Und Drang, Tempesta e assalto, (1770-1775). Il trionfo della scuola ebbe luogo nel 1774 con la pubblicazione de “ I dolori del giovane Werther” di Goethe. Nello Sturm und Drang già tro­viamo aspetti che saranno unici del Romanticismo: il disprezzo per la forma e l’armonia dell’arte classica, l’esigenza di una poesia immediata, l’esaltazione del genio, ribelle ad ogni regola e ad ogni legge, l’ammirazione per il medioevo come culla delle caratteristiche nazionali del popolo tedesco. Va ricordato inoltre anche il mo­vimento romantico inglese che con Coleridge, Keats, Shelley e Byron produsse grandi opere in posia e in una innovativa prosa poetica. Valgano come minimali esempi i brevi versi riportati sui di seguito del tedesco Novalis (Dagli Inni alla Notte) e dell’inglese Keats (da Sonno e Poesia).

Custode della mia fede / porto di giorno il mio coraggio / ma di notte oh di notte / io muoio d’amore/nel lo fuoco dentro di me /

Quando poi sento, amica di un momento, / che non potrò più rivederti, e ancora / che mai saprò godere dell’amore / senza problemi - allora... / Sulla spiaggia del mondo io sto solo e penso / finché Amore e fama affondano nel nulla.

Il Romanticismo ha, come aspetto più evidente, l’opposizione alla civiltà che l’aveva preceduto, la civiltà illuministica: ma, se si guarda bene, si vedrà che è l’opposizione del figlio verso il padre, del figlio che si sente diverso e si nutre di nuove esigenze e che tuttavia e legato - nei suoi tratti fondamentali - alle caratteristi­che paterne. In sostanza l’illuminismo era stato messo in crisi dalla Rivoluzione Francese, che pure era uscita dal suo seno. Per tre motivi: perché essa aveva rivelato l’esistenza accanto alla Ragione di una carica passionale che quanto e forse più della Ragione aveva alimentato il fervore rivoluzionario; perché aveva rivelato l’affacciarsi sul piano sul piano della Storia di masse non ancora “illuminate”, che avevano rotto i limiti del paternalismo riformistico, avevano rifiutato di essere semplice oggetto delle riforme illuministiche e avevano rivendicato il diritto di esserne protagoniste: il soggetto; perché aveva messo in chiaro che le idee dell’Illuminismo risultavano astratte nella loro pura razionalità e nel loro cosmopolitismo e che bisognava invece verificarlo, adattarle, renderle concrete a confronto con la realtà storica delle singole nazioni.

La scoperta del valore e della dimensione del sentimento sul piano psicologico, del popolo sul piano sociologico, della nazione sul piano politico, della storia sul piano filosofico: ecco l’elemento caratterizzante della nuova sensibilità, la quale comporta - nel campo più strettamente artistico e letterario - la concezione dell’arte come espressione immediata del sentimento e quindi della concreta individualità dell’artista (la ragione è comune a tutti gli uomini, mentre il sentimento caratterizza i singoli individui), la conseguente battaglia contro tutte le regole, ivi compresa la mitologia classica che essendo vuota ripetizione di miti sorti in una società del tutto diversa dalla moderna, era sentita anch’essa come un fascio di regole fisse e immutabili; la rivendicazione del carattere ingenuo, irrazionale, della poesia e quindi l’ammirazione per la poesia primitiva, per la poesia popolare e per il popolo come fonte schietta di poesia immediata e come custode delle caratteristiche più profonde della nazione. Di qui l’attenzione rivolta al periodo in cui si spezzò la comunità creata dall’impero romano e cominciarono a definirsi le varie nazioni europee, cioè l’attenzione rivolta al medioevo invece che all’antichità classica; di qui anche gli studi sul folclore e sulla poesia popolare; di qui soprattutto, il duplice aspetto della poesia romantica; l’irrazionalismo da una parte (e quindi il lirismo individualistico) e l’apertura verso la realtà nazionale dall’altra (e quindi il realismo storicistico e patriottico). Al primo aspetto si ricollegano quindi quegli elementi, anche di costume, che ormai sono tradizionalmente definiti romantici: la rappresentazione del dolore individuale e cosmico, l’effusione sentimentale, il pessimismo, il contrasto fra illusione e realtà, la nostalgia di cose e persone lontane nel tempo e nello spazio, e quindi l’esotismo, l’estetismo ed il sogno, l’amore per il vago, l’indefinito, l’indistinto.

Al secondo aspetto, l’impegno patriottico, l’esaltazione del popolo, l’amore per la libertà, il gusto della ricostruzione realistica della tradizione storica, e soprattutto la concezione della poesia intesa non come fine a se stessa, ma come strumento al servizio dei grandi ideali di libertà, di indipendenza, di riscatto nazionale.

In sostanza l’opposizione dialettica del romanticismo all’illuminismo si può così sintetizzare: Al culto della ragione si oppone il valore del sentimento, all’antistoricismo, lo storicismo, al deismo il teismo e un bisogno di religiosità che assume a volte le forme anche di un ritorno conservatore alla religione tradizionale e altre volte uno slancio verso nuove forme di religione; al cosmopolitismo viene opposto il senso di nazionalità.

Per quanto riguarda l’aspetto morale e letterario del Romanticismo si può brevemente sintetizzare che nel suo aspetto morale il Romanticismo indica una condizione di squilibrio e di insoddisfazione in un continuo contrasto fra ideale e reale. L’ideale è sentito come qualcosa di irraggiungibile, che si può talvolta affermare solo con la negazione di se stessi. La vita è sentita come lotta e come dramma e l’uomo romantico, come è stato detto, è l’uomo delle due anime perennemente incatenate e perennemente in lotta tra loro. Nel suo aspetto letterario la nuova concezione della poesia ebbe come canoni la libertà di fantasia, la liberazione da ogni impaccio di regole e di contenuti prefissati (come quelli mitologici), la popolarità dell’arte. Del resto tutto ciò è stato già sottolineato sopra, e va solo aggiunto che nei vari paesi il romanticismo assume aspetti diversi secondo l’ambiente storico e le tradizioni locali.

SUBLIME

Quello di sublime un concetto che l’estetica distingue nettamente dal concetto di bello. Elaborato per la prima volta a metà del Settecento da E. Burke (Ricerca filosofica sull’origine delle idee del bello e del sublime, 1756), acquistò importanza soprattutto con la trattazione di Kant Critica dei Giudizio,1790.
Mentre bello è ciò che è armonico. misurato, composto “a regola d’arte”, sublime è l’eccessivo, il disordinato, ciò che non è a misura d’uomo ma a sua dismisura per esempio il vuoto, gli abissi, gli spazi immensi, il silenzio assoluto, l’oscurità, le montagne gigantesche... belle, afferma Kant, le aiuole di un giardino, sublimi le alte querce; bello il giorno, sublime la notte. Secondo Kant esi ste un sublime matematico, che nasce dallo sgomento per l’immensamente grande: la serie senza limite dei numeri, il pensiero dell’infinità cosmica o dell’eternità temporale.
Dalla contemplazione della potenza della natura nasce invece il sublime dinamico: i grandi fenomeni naturali (temporali, terremoti...), le castrofi causate dalle forze scatenate che spaventano, ma nello stesso tempo attraggono e affascinano. E’ possibile trovare attrazione persino per ciò che è brutto, purché sia “tremendamente brutto”. Il sublime nasce quindi non dalle qualità dell’oggetto contemplato, ma dalla disposizione d’animo del soggetto. Mentre la bellezza sviluppa un sentimento di semplice piacere (soddisfazione, appagamento), la sublimità provoca un’emozione ambivalente, un “orrore dilettevole”, uno stato d’animo in cui al piacere si unisce la paura.
La trattazione di Kant proseguì mettendo in luce la diversa origine del sublime e del bello. Il giudizio di bellezza nasce da un accordo fra la sensibilità e la ragione, perché il soggetto ritrova in ciò che contempla gli stessi criteri, gli stessi valori di misura e di proporzione che regolano la sua attività mentale. Al contrario il senso di sublime deriva da un conflitto fra sensibilità e ragione. Ci fa sentire piccoli rispetto all’immensità della natura e indifesi verso la potenza delle sue forze scatenate, ma questo dispiacere dell’immaginazione si accompagna a un piacere della ragione: lo spettacolo delle montagne più alte e degli strapiombi più scoscesi risveglia il sentimento dell’Infinito, induce a riflessioni sulla natura dell’uomo e del mondo. Scalando, magari soltanto con l’immaginazione, le vette più alte, l’uomo diventa più filosofo, più consapevole che la sua dignità di essere razionale lo rende libero anche se debole, spiritualmente superiore a ogni realtà sensibile. Per la capacità di produrre questi effetti il sublime si pone per conseguenza ai confini fra l’etica e l’estetica.
Resta da aggiungere che dopo la morte di Kant, e con l’affermarsi della sensibilità romantica, il concetto di sublime artistico venne esteso anche alle opere dell’antichità greca e soprattutto romana, spesso altrettanto smisurate e ciclopiche di uno scenario naturale. Per questa via la nozione di sublime venne a significare per gli artisti preromantici o romantici qualcosa di irraggiungibile, perfetto, e infinito. Celebre a questo proposito è il dipinto di J. H. Füssli: L’artista disperato di fronte alla grandezza delle rovine antiche del 1780.

STREBEN

La sensibilità dell’uomo romantico è definita dal termine tedesco Streben (in italiano “tensione”, ma anche strug­gimento, anelito, inquietudine), con cui si esprime una concezione della vita come sforzo incessante, tentativo con­tinuo di superare qualsivoglia ostacolo sia materiale sia spirituale. Nello stre­ben, ansia o sentimento dell’infinito, si manifesta l’insofferenza per ogni tipo di vincolo, assieme al desiderio di trascen­dere la realtà quotidiana, tipici della cul­tura letteraria e filosofica del primo Ot­tocento. Così come al centro della ri­flessione di Kant stava il concetto di limite, il Romanticismo si propose, in modo simmetricamente contrario, il su­peramento di ogni limite certo: l’infi­nito non è mai raggiungibile; ma è tut­tavia avvicinabile in ciò che tende all’in­finità; nelle sue derivazioni può essere l’illimitato, l’immenso, l’incommensura­bile, l’interminabile, l’inesauribile, lo smisurato, lo sterminato, l’innumerevo­le, l’eterno, il trascendente, l’indefinito, lo sconfinato.
Spetta al filosofo Johann Gottlieb Fichte il merito di aver teoriz­zato filosoficamente il concetto di stre­ben sino a farne un’organica proposta etica. L’intera sua trattazione dell’asso­luto, definito come soggettività infinita, costituisce una premessa metafisica ne­cessaria per fondare su basi solide l’idea di una totale libertà umana (punto di partenza necessario per ogni sforzo ver­so l’infinità). Il significato ultimo del complesso ragionamento metafisico di Fichte, condotto con un linguaggio for­temente tecnico (“l’Io pone il non-Io”) è che la natura (il ‘non-lo’ per il singolo individuo) non contiene alcun insuperabile condizionamento oggettivo. Il mondo materiale non può essere un ostacolo per una volontà umana (un ‘Io’) veramente determinata, per la semplice ragione che tutta la realtà ènel suo complesso un prodotto dell’attività dei soggetto stesso (Soggettivismo assoluto).
La prova di questo principio tanto lontano dal senso comune sta nella con­statazione, empiricamente verificabile, che ogni tipo di uomo si costruisce un’i­dea del mondo a propria immagine: un corrotto tende a vedere in ogni episodio di malaffare una conferma della propria tesi, scarta come eccezioni i casi di one­stà e seleziona (inconsciamente) tutti gli stimoli esterni per ribadire la propria concezione della vita, In definitiva il corrotto vive in un mondo corrotto, co­sì come l’idealista sperimenta una realtà in cui domina lo spirito, e il dogmatico si lascia condizionare da ogni apparente necessità.
Sostenendo la superiorità dello spiritua­le sulla finitezza della corporeità, Ficthe fu il filosofo dell’infinità dell’Io, unico principio e fonte della conoscenza, spi­rito sconfinato, capacità creativa assolu­tamente libera. Certo la ricerca dell’infi­nito è per definizione destinata a rima­nere per sempre insoddisfatta, ma ciò che conta non e il raggiungimento di un qualsivoglia risultato, sempre parziale e superabile. La cosa importante, afferma Fichte, “non è essere liberi, ma diventare, farsi liberi”.

Connessa allo Streben è la Sensucht (letteralmente “desiderare il proprio desiderio”), il sentimento penoso che nasce dalla consapevolezza dell’irraggiungibilità dell’infinito. La Sensucht, nostalgia per ciò che non si avrà mai, aspirazione per ciò che è oltre, senso acuto di una mancanza (felicità, amore) è ben visibile nell’intensa atmosfera introspettiva (grandi occhi sognanti che guardano lontano, pieghe malinconiche agli angoli della bocca) degli autoritratti dei pittori romantici, a conferma del nuovo ruolo intellettuale raggiunto dagli artisti.

GENIO

La nozione di genialità, dopo essere stata elaborata per la prima volta in epoca romantica, è entrata a far parte del linguaggio moderno. Essa designa la condizione di alcuni uomini dotati di un innato ed eccezionale talento creativo, capaci di opere che vanno oltre la comune prevedibilità, tanto da superare spesso la comprensione dei contemporanei. In ambito romantico l’incarnazione stessa del genio fu Michelangelo, la cui fortuna critica crebbe agli inizi dell’ottocento al punto da rendere necessario un termine specifico: Michelangiolismo, per designare i tentativi di emularne la grandezza, la natura titanica, sovrumana e potente.

FINITO / INFINITO

L’ansia di infinitoche connotò il Romanticismo,assieme al deside­rio dei filosofi idealisti di individuare un principio assoluto, portarono a un’originale riflessione sui legami che sussistono fra il finito (ciò che è con­creto, individuale) e l’infinità. Il poeta tedesco Novalis sintetizzò la nuova sensibilità in questi versi (Enrico di Afterdingen, 1802): “L’uno nel tutto e il tutto nell’uno/l’immagine di Dio nel­l’erba e nelle pietre/lo spirito di Dio ne­gli uomini e negli animali/di questo dobbiamo compenetrarci”. Ciò che Novalis intende dire è che uno spirito sensibile può cogliere l’infinità in qual­siasi cosa, in ogni particolare del mon­do, perché l’infinito si manifesta nelle forme della finitezza. E un’idea che l’e­poca romantica recepì fino in fondo, percependo ovunque la presenza di qualcosa di ulteriore e misterioso.
D’altra parte, se ogni particolare può es­sere visto come frammento dell’univer­sale, qualsiasi evento diventa espressio­ne di un valore superiore. Tutta la cul­tura del primo Ottocento è dominata da questo schema mentale: in base a esso Schelling e Goethe formularono una fi­losofia della natura (Naturphilo­sophie)di tipo vitalista e organicista: i fenomeni vitali non sono spiegabili con le leggi della chimica, perché la na­tura è tutta viva, anche nelle sue parti minime; in un semplice stelo d’erba è possibile vedere l’azione di forze cosmiche che, tramite un’interna polarità di forze (di contrazione e di espansione), producono la complessità della natura e la sua progressiva evoluzione. Affermando di essere ‘panteista’ come scien­ziato e ‘politeista’ come poeta, Goethe vide nella natura una forza vivente, di­namica, animata e finalizzata; un com­plesso organico talmente strutturato che ogni cosa (gli individui, le specie) ha senso solo come parte della globa­lità. Vide anche che su questo punto si poteva registrare una confluenza fra l’arte e la filosofia: infatti sia questa sia la pittura, oppure la musica, o la poesia. tendono sempre a cogliere il nesso che lega la finitezza all’infinità. (CDS)


martedì 2 marzo 2010

Eugenio Montale, vita illustrata con il Diario del '71 e del '72

 




RAGIONIERE E CANTANTE. Eugenio Montale nacque a Genova il 12 ottobre del 1896 in una ricca famiglia borghese: suo padre importava prodotti chimici. Si diplomò in ragioneria con difficoltà e senza avervi alcuna attitudine, e studiò canto. Aveva 21 anni nel 1917, quando fu arruolato: a Parma, in un corso per allievi ufficiali, conobbe il critico e poeta Sergio Solmi; combatté a Vallarsa, nel Trentino. Già aveva scritto le prime poesie, e teneva un diario (venne pubblicato nel 1983: Quaderno genovese).

GLI INTELLETTUALI DI GENOVA E DI TORINO. A 24 anni, quando venne congedato, ricominciò a frequentare i letterati che si riunivano presso il Caffé Diana della Galleria Mazzini: Camillo Sbarbaro, Angelo Barile, Adriano Grande, Oscar Saccarotti. Solmi lo introdusse nell’ambiente intellettuale torinese.

A 29 ANNI. A Torino Gobetti pubblicò la prima raccolta di versi di Montale: Ossi di seppia. Nello stesso anno, il 1925, Montale pubblicò sulla rivista di Gobetti Il Baretti il primo di una serie di saggi: “Stile e tradizione” e sulla rivista L’Esame il saggio “Omaggio a Italo Svevo”, con il quale terminava finalmente - a soli tre anni dalla morte - il totale silenzio della critica su quello che era l’unico scrittore italiano di respiro europeo. Nel 1925 Montale firmò anche il manifesto antifascista di Croce.

A Montale i romanzi di Svevo li aveva fatti leggere Bobi Bazlen (1900-1965), intellettuale triestino che ebbe un ruolo importante nella cultura e nell’editoria italiana di primo Novecento attraverso i suoi contatti personali e la sua attività di consulente editoriale.


Lettera a Bobi

A forza di esclusioni
t’era rimasto tanto che tu potevi
stringere tra le mani; e quello era
di chi se n’accorgeva. T’ho seguito
più volte a tua insaputa. Ho percorso
più volte via Cecilia de Rittmeyer
dove avevo incontrato la tua vecchia madre,
constatato de visu il suo terrificante amore.
Del padre era rimasto il piegabaffi e forse
una bibbia evangelica. Ho assaggiato
la pleiade dei tuoi amici, oggetto
dei tuoi esperimenti più o meno falliti
di creare o distruggere felicità coniugali.
Erano i primi tuoi amici, altri
ne seguirono che non ho mai conosciuto.
S’è formata così una tua leggenda
cartacea, inattendibile. Ora dicono
ch’eri un maestro inascoltato, tu
che n’hai avuto troppi a orecchie aperte
e non ne hai diffidato. Confessore
inconfessato non potevi dare
nulla a chi già non fosse sulla tua strada.
A modo tuo hai già vinto anche se hanno perduto
tutto gli ascoltatori. Con questa lettera
che mai tu potrai leggere ti dico
addio e non aufwiedersehen e questo
in una lingua che non amavi, priva
com’è di Stimmung.
(da Diario del ’71 e del ’72)


LA VITA INTELLETTUALE FIORENTINA. Nel 1926 Montale conobbe il poeta e critico americano Ezra Pound (1885-1972): la letteratura anglosassone fu sempre per lui un importante punto di riferimento. Nel 1927 iniziò a lavorare presso l’editore Bernporad a Firenze, dove sarebbe rimasto per venti anni; nel 1929 venne nominato direttore del Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux, carica che dovette abbandonare nel 1938 perché privo della tessera del partito fascista. In quegli anni partecipò attivamente alla vita intellettuale fiorentina (conobbe Vittorini, Gadda, Quasimodo, Luzi, Bo, Nello Rosselli e molti altri, collaborò a Solaria, a Letteratura e ad altre riviste, lavorò come traduttore.

LE ISPIRATRICI DI MONTALE. A Firenze conobbe nel 1927 Drusilla tanzi, che più tardi sarebbe diventata sua compagna e moglie (morì nel 1963); e nel 1933 Jrma Brandeis, americana, studiosa di Dante (era ebrea, e nel 1938 fu costretta a causa delle leggi razziali a ritornare in America). Altre donne furono importanti nella sua vita e nella sua poesia e tra queste Anna degli Uberti, conosciuta tra il 1920 e il 1923 durante le vacanze estive passate a Monterosso, in Liguria, dove suo padre aveva costruito una villa.

LA SECONDA RACCOLTA. Nel 1939 pubblicò il volume di versi Le occasioni. Nel 1943 il critico Gianfranco Contini gli fece stampare in Svizzera Finisterre, primo nucleo della raccolta di poesie La bufera e altro (1956).

LA GUERRA E IL DOPOGUERRA. Durante l’occupazione nazista Montale ospitò nella sua casa a Firenze diversi amici costretti alla clandestinità, tra i quali Carlo Levi e Umberto Saba. Dopo la liberazione della città, nel 1945, si iscrisse al Partito d’Azione, che riuniva chi non si riconosceva nella sinistra stalinista, ma guardava a una sinistra liberale di respiro europeo. Appartenne al Comitato per la cultura e l’arte nominato dal Comitato Nazionale di Liberazione. Dopo una grave malattia di sua moglie cominciò a dipingere.

L’ATTIVITÀ GIORNALISTICA. Nel 1948 fu assunto come giornalista dal Corriere della Sera: divideva la stanza con Indro Montanelli. Dal 1955 fu anche critico musicale del Corriere d’informazione. I suoi articoli di critica musicale vennero raccolti in Prime alla Scala (1983); i reportages che aveva scritto come inviato di viaggio in Fuori di casa (1969); gli articoli di costume e altre prose in Auto dafé (1966) e Nel nostro tempo (1972); i saggi letterari in Sulla poesia (1976); le traduzioni poetiche (da Shakespeare, Emily Dickinson, Hopkins, Melville, Thomas Hardy, Maragall, Joyce, Milosz, Yeats, Djuna Barnes, Pound, Eliot, Guillén, Leonie Adams, Dylan Thomas, Kavafis) in Quaderno di tradu­zioni (1948).

LE ALTRE RACCOLTE DI VERSI. Nel 1956 uscì la sua terza raccolta di poesie, La guerra e altro. Nel 1958 pubblicò una raccolta di brevi racconti: Farfalla di Dinard. Alla moglie morta nel 1963 dedicò Xenia, che costituì la prima parte della raccolta Satura, pubblicata nel 1971, quando aveva 75 anni. Altre raccolte di versi pubblicate in seguito furono Diario del ‘71 e del ‘72 (1973), Quaderno di quattro anni (1977), Altri versi (1980).

SENATORE A VITA E NOBEL. Nel 1967 il presidente della repubblica Giuseppe Saragat lo nominò senatore a vita «per aver illustrato la Patria nel campo letterario e artistico». Nel 1975 gli venne conferito il premio Nobel per la letteratura. Passò la vecchiaia a Milano, assistito dalla governante Gina Tiossi, che era con lui già a Firenze. Morì a 85 anni, il 12 settembre 1981.


Per finire

Raccomando ai miei posteri
(se ne saranno) in sede letteraria,
il che resta improbabile, di fare
un bel falò di tutto che riguardi
la mia vita, i miei fatti, i miei nonfatti.
Non sono un Leopardi, lascio poco da ardere
ed è già troppo vivere in percentuale.
Vissi al cinque per cento, non aumentate
la dose. Troppo spesso invece piove sul bagnato
(da Diario del ‘71 e del ‘72)