Il Romanticismo nasce ufficialmente nel 1798, quando a Berlino esce il primo numero della rivista Atheneum che annovera tra i suoi collaboratori i fratelli Schlegel, Novalis, Tiek, Goethe, Schiller. Naturalmente, come è avvenuto per ogni altro movimento di cultura, anche il Romanticismo non nasceva dal nulla, ma era stato preparato in Germania dal movimento dello Sturm Und Drang, Tempesta e assalto, (1770-1775). Il trionfo della scuola ebbe luogo nel 1774 con la pubblicazione de “ I dolori del giovane Werther” di Goethe. Nello Sturm und Drang già troviamo aspetti che saranno unici del Romanticismo: il disprezzo per la forma e l’armonia dell’arte classica, l’esigenza di una poesia immediata, l’esaltazione del genio, ribelle ad ogni regola e ad ogni legge, l’ammirazione per il medioevo come culla delle caratteristiche nazionali del popolo tedesco. Va ricordato inoltre anche il movimento romantico inglese che con Coleridge, Keats, Shelley e Byron produsse grandi opere in posia e in una innovativa prosa poetica. Valgano come minimali esempi i brevi versi riportati sui di seguito del tedesco Novalis (Dagli Inni alla Notte) e dell’inglese Keats (da Sonno e Poesia).
Custode della mia fede / porto di giorno il mio coraggio / ma di notte oh di notte / io muoio d’amore/nel lo fuoco dentro di me /
Quando poi sento, amica di un momento, / che non potrò più rivederti, e ancora / che mai saprò godere dell’amore / senza problemi - allora... / Sulla spiaggia del mondo io sto solo e penso / finché Amore e fama affondano nel nulla.
Il Romanticismo ha, come aspetto più evidente, l’opposizione alla civiltà che l’aveva preceduto, la civiltà illuministica: ma, se si guarda bene, si vedrà che è l’opposizione del figlio verso il padre, del figlio che si sente diverso e si nutre di nuove esigenze e che tuttavia e legato - nei suoi tratti fondamentali - alle caratteristiche paterne. In sostanza l’illuminismo era stato messo in crisi dalla Rivoluzione Francese, che pure era uscita dal suo seno. Per tre motivi: perché essa aveva rivelato l’esistenza accanto alla Ragione di una carica passionale che quanto e forse più della Ragione aveva alimentato il fervore rivoluzionario; perché aveva rivelato l’affacciarsi sul piano sul piano della Storia di masse non ancora “illuminate”, che avevano rotto i limiti del paternalismo riformistico, avevano rifiutato di essere semplice oggetto delle riforme illuministiche e avevano rivendicato il diritto di esserne protagoniste: il soggetto; perché aveva messo in chiaro che le idee dell’Illuminismo risultavano astratte nella loro pura razionalità e nel loro cosmopolitismo e che bisognava invece verificarlo, adattarle, renderle concrete a confronto con la realtà storica delle singole nazioni.
La scoperta del valore e della dimensione del sentimento sul piano psicologico, del popolo sul piano sociologico, della nazione sul piano politico, della storia sul piano filosofico: ecco l’elemento caratterizzante della nuova sensibilità, la quale comporta - nel campo più strettamente artistico e letterario - la concezione dell’arte come espressione immediata del sentimento e quindi della concreta individualità dell’artista (la ragione è comune a tutti gli uomini, mentre il sentimento caratterizza i singoli individui), la conseguente battaglia contro tutte le regole, ivi compresa la mitologia classica che essendo vuota ripetizione di miti sorti in una società del tutto diversa dalla moderna, era sentita anch’essa come un fascio di regole fisse e immutabili; la rivendicazione del carattere ingenuo, irrazionale, della poesia e quindi l’ammirazione per la poesia primitiva, per la poesia popolare e per il popolo come fonte schietta di poesia immediata e come custode delle caratteristiche più profonde della nazione. Di qui l’attenzione rivolta al periodo in cui si spezzò la comunità creata dall’impero romano e cominciarono a definirsi le varie nazioni europee, cioè l’attenzione rivolta al medioevo invece che all’antichità classica; di qui anche gli studi sul folclore e sulla poesia popolare; di qui soprattutto, il duplice aspetto della poesia romantica; l’irrazionalismo da una parte (e quindi il lirismo individualistico) e l’apertura verso la realtà nazionale dall’altra (e quindi il realismo storicistico e patriottico). Al primo aspetto si ricollegano quindi quegli elementi, anche di costume, che ormai sono tradizionalmente definiti romantici: la rappresentazione del dolore individuale e cosmico, l’effusione sentimentale, il pessimismo, il contrasto fra illusione e realtà, la nostalgia di cose e persone lontane nel tempo e nello spazio, e quindi l’esotismo, l’estetismo ed il sogno, l’amore per il vago, l’indefinito, l’indistinto.
Al secondo aspetto, l’impegno patriottico, l’esaltazione del popolo, l’amore per la libertà, il gusto della ricostruzione realistica della tradizione storica, e soprattutto la concezione della poesia intesa non come fine a se stessa, ma come strumento al servizio dei grandi ideali di libertà, di indipendenza, di riscatto nazionale.
In sostanza l’opposizione dialettica del romanticismo all’illuminismo si può così sintetizzare: Al culto della ragione si oppone il valore del sentimento, all’antistoricismo, lo storicismo, al deismo il teismo e un bisogno di religiosità che assume a volte le forme anche di un ritorno conservatore alla religione tradizionale e altre volte uno slancio verso nuove forme di religione; al cosmopolitismo viene opposto il senso di nazionalità.
Per quanto riguarda l’aspetto morale e letterario del Romanticismo si può brevemente sintetizzare che nel suo aspetto morale il Romanticismo indica una condizione di squilibrio e di insoddisfazione in un continuo contrasto fra ideale e reale. L’ideale è sentito come qualcosa di irraggiungibile, che si può talvolta affermare solo con la negazione di se stessi. La vita è sentita come lotta e come dramma e l’uomo romantico, come è stato detto, è l’uomo delle due anime perennemente incatenate e perennemente in lotta tra loro. Nel suo aspetto letterario la nuova concezione della poesia ebbe come canoni la libertà di fantasia, la liberazione da ogni impaccio di regole e di contenuti prefissati (come quelli mitologici), la popolarità dell’arte. Del resto tutto ciò è stato già sottolineato sopra, e va solo aggiunto che nei vari paesi il romanticismo assume aspetti diversi secondo l’ambiente storico e le tradizioni locali.
SUBLIME
Quello di sublime un concetto che l’estetica distingue nettamente dal concetto di bello. Elaborato per la prima volta a metà del Settecento da E. Burke (Ricerca filosofica sull’origine delle idee del bello e del sublime, 1756), acquistò importanza soprattutto con la trattazione di Kant Critica dei Giudizio,1790.
Mentre bello è ciò che è armonico. misurato, composto “a regola d’arte”, sublime è l’eccessivo, il disordinato, ciò che non è a misura d’uomo ma a sua dismisura per esempio il vuoto, gli abissi, gli spazi immensi, il silenzio assoluto, l’oscurità, le montagne gigantesche... belle, afferma Kant, le aiuole di un giardino, sublimi le alte querce; bello il giorno, sublime la notte. Secondo Kant esi ste un sublime matematico, che nasce dallo sgomento per l’immensamente grande: la serie senza limite dei numeri, il pensiero dell’infinità cosmica o dell’eternità temporale.
Dalla contemplazione della potenza della natura nasce invece il sublime dinamico: i grandi fenomeni naturali (temporali, terremoti...), le castrofi causate dalle forze scatenate che spaventano, ma nello stesso tempo attraggono e affascinano. E’ possibile trovare attrazione persino per ciò che è brutto, purché sia “tremendamente brutto”. Il sublime nasce quindi non dalle qualità dell’oggetto contemplato, ma dalla disposizione d’animo del soggetto. Mentre la bellezza sviluppa un sentimento di semplice piacere (soddisfazione, appagamento), la sublimità provoca un’emozione ambivalente, un “orrore dilettevole”, uno stato d’animo in cui al piacere si unisce la paura.
La trattazione di Kant proseguì mettendo in luce la diversa origine del sublime e del bello. Il giudizio di bellezza nasce da un accordo fra la sensibilità e la ragione, perché il soggetto ritrova in ciò che contempla gli stessi criteri, gli stessi valori di misura e di proporzione che regolano la sua attività mentale. Al contrario il senso di sublime deriva da un conflitto fra sensibilità e ragione. Ci fa sentire piccoli rispetto all’immensità della natura e indifesi verso la potenza delle sue forze scatenate, ma questo dispiacere dell’immaginazione si accompagna a un piacere della ragione: lo spettacolo delle montagne più alte e degli strapiombi più scoscesi risveglia il sentimento dell’Infinito, induce a riflessioni sulla natura dell’uomo e del mondo. Scalando, magari soltanto con l’immaginazione, le vette più alte, l’uomo diventa più filosofo, più consapevole che la sua dignità di essere razionale lo rende libero anche se debole, spiritualmente superiore a ogni realtà sensibile. Per la capacità di produrre questi effetti il sublime si pone per conseguenza ai confini fra l’etica e l’estetica.
Resta da aggiungere che dopo la morte di Kant, e con l’affermarsi della sensibilità romantica, il concetto di sublime artistico venne esteso anche alle opere dell’antichità greca e soprattutto romana, spesso altrettanto smisurate e ciclopiche di uno scenario naturale. Per questa via la nozione di sublime venne a significare per gli artisti preromantici o romantici qualcosa di irraggiungibile, perfetto, e infinito. Celebre a questo proposito è il dipinto di J. H. Füssli: L’artista disperato di fronte alla grandezza delle rovine antiche del 1780.
STREBEN
La sensibilità dell’uomo romantico è definita dal termine tedesco Streben (in italiano “tensione”, ma anche struggimento, anelito, inquietudine), con cui si esprime una concezione della vita come sforzo incessante, tentativo continuo di superare qualsivoglia ostacolo sia materiale sia spirituale. Nello streben, ansia o sentimento dell’infinito, si manifesta l’insofferenza per ogni tipo di vincolo, assieme al desiderio di trascendere la realtà quotidiana, tipici della cultura letteraria e filosofica del primo Ottocento. Così come al centro della riflessione di Kant stava il concetto di limite, il Romanticismo si propose, in modo simmetricamente contrario, il superamento di ogni limite certo: l’infinito non è mai raggiungibile; ma è tuttavia avvicinabile in ciò che tende all’infinità; nelle sue derivazioni può essere l’illimitato, l’immenso, l’incommensurabile, l’interminabile, l’inesauribile, lo smisurato, lo sterminato, l’innumerevole, l’eterno, il trascendente, l’indefinito, lo sconfinato.
Spetta al filosofo Johann Gottlieb Fichte il merito di aver teorizzato filosoficamente il concetto di streben sino a farne un’organica proposta etica. L’intera sua trattazione dell’assoluto, definito come soggettività infinita, costituisce una premessa metafisica necessaria per fondare su basi solide l’idea di una totale libertà umana (punto di partenza necessario per ogni sforzo verso l’infinità). Il significato ultimo del complesso ragionamento metafisico di Fichte, condotto con un linguaggio fortemente tecnico (“l’Io pone il non-Io”) è che la natura (il ‘non-lo’ per il singolo individuo) non contiene alcun insuperabile condizionamento oggettivo. Il mondo materiale non può essere un ostacolo per una volontà umana (un ‘Io’) veramente determinata, per la semplice ragione che tutta la realtà ènel suo complesso un prodotto dell’attività dei soggetto stesso (Soggettivismo assoluto).
La prova di questo principio tanto lontano dal senso comune sta nella constatazione, empiricamente verificabile, che ogni tipo di uomo si costruisce un’idea del mondo a propria immagine: un corrotto tende a vedere in ogni episodio di malaffare una conferma della propria tesi, scarta come eccezioni i casi di onestà e seleziona (inconsciamente) tutti gli stimoli esterni per ribadire la propria concezione della vita, In definitiva il corrotto vive in un mondo corrotto, così come l’idealista sperimenta una realtà in cui domina lo spirito, e il dogmatico si lascia condizionare da ogni apparente necessità.
Sostenendo la superiorità dello spirituale sulla finitezza della corporeità, Ficthe fu il filosofo dell’infinità dell’Io, unico principio e fonte della conoscenza, spirito sconfinato, capacità creativa assolutamente libera. Certo la ricerca dell’infinito è per definizione destinata a rimanere per sempre insoddisfatta, ma ciò che conta non e il raggiungimento di un qualsivoglia risultato, sempre parziale e superabile. La cosa importante, afferma Fichte, “non è essere liberi, ma diventare, farsi liberi”.
Connessa allo Streben è la Sensucht (letteralmente “desiderare il proprio desiderio”), il sentimento penoso che nasce dalla consapevolezza dell’irraggiungibilità dell’infinito. La Sensucht, nostalgia per ciò che non si avrà mai, aspirazione per ciò che è oltre, senso acuto di una mancanza (felicità, amore) è ben visibile nell’intensa atmosfera introspettiva (grandi occhi sognanti che guardano lontano, pieghe malinconiche agli angoli della bocca) degli autoritratti dei pittori romantici, a conferma del nuovo ruolo intellettuale raggiunto dagli artisti.
GENIO
La nozione di genialità, dopo essere stata elaborata per la prima volta in epoca romantica, è entrata a far parte del linguaggio moderno. Essa designa la condizione di alcuni uomini dotati di un innato ed eccezionale talento creativo, capaci di opere che vanno oltre la comune prevedibilità, tanto da superare spesso la comprensione dei contemporanei. In ambito romantico l’incarnazione stessa del genio fu Michelangelo, la cui fortuna critica crebbe agli inizi dell’ottocento al punto da rendere necessario un termine specifico: Michelangiolismo, per designare i tentativi di emularne la grandezza, la natura titanica, sovrumana e potente.
FINITO / INFINITO
L’ansia di infinitoche connotò il Romanticismo,assieme al desiderio dei filosofi idealisti di individuare un principio assoluto, portarono a un’originale riflessione sui legami che sussistono fra il finito (ciò che è concreto, individuale) e l’infinità. Il poeta tedesco Novalis sintetizzò la nuova sensibilità in questi versi (Enrico di Afterdingen, 1802): “L’uno nel tutto e il tutto nell’uno/l’immagine di Dio nell’erba e nelle pietre/lo spirito di Dio negli uomini e negli animali/di questo dobbiamo compenetrarci”. Ciò che Novalis intende dire è che uno spirito sensibile può cogliere l’infinità in qualsiasi cosa, in ogni particolare del mondo, perché l’infinito si manifesta nelle forme della finitezza. E un’idea che l’epoca romantica recepì fino in fondo, percependo ovunque la presenza di qualcosa di ulteriore e misterioso.
D’altra parte, se ogni particolare può essere visto come frammento dell’universale, qualsiasi evento diventa espressione di un valore superiore. Tutta la cultura del primo Ottocento è dominata da questo schema mentale: in base a esso Schelling e Goethe formularono una filosofia della natura (Naturphilosophie)di tipo vitalista e organicista: i fenomeni vitali non sono spiegabili con le leggi della chimica, perché la natura è tutta viva, anche nelle sue parti minime; in un semplice stelo d’erba è possibile vedere l’azione di forze cosmiche che, tramite un’interna polarità di forze (di contrazione e di espansione), producono la complessità della natura e la sua progressiva evoluzione. Affermando di essere ‘panteista’ come scienziato e ‘politeista’ come poeta, Goethe vide nella natura una forza vivente, dinamica, animata e finalizzata; un complesso organico talmente strutturato che ogni cosa (gli individui, le specie) ha senso solo come parte della globalità. Vide anche che su questo punto si poteva registrare una confluenza fra l’arte e la filosofia: infatti sia questa sia la pittura, oppure la musica, o la poesia. tendono sempre a cogliere il nesso che lega la finitezza all’infinità. (CDS)
Nessun commento:
Posta un commento