sabato 15 ottobre 2016

Luigi Pirandello: Vita con percorso letterario - Manuale Tellus di Claudio Di Scalzo







Luigi Pirandello

VITA CON PERCORSO LETTERARIO


Di origini borghesi, dopo aver frequentato le università di Palermo e Roma, Luigi Pirandello (Agrigento, 1867 - Roma, 1936), completò gli studi a Bonn, in Germania. Stabilitosi a Roma e sposata una conterranea proprietaria di alcune zolfare, fu introdotto nell’ambiente letterario romano da Luigi Capuana. Pirandello aveva già esordito come poeta, ma a questo punto si avviò alla narrativa con alcuni romanzi di impianto ancora verista, nei quali però affioravano già quei motivi originali che egli avrebbe sviluppato nei romanzi successivi e nel teatro. La prima opera importante è del 1904: il romanzo Il fu Mania Pascal. In quel tempo lo scrittore era già travagliato da gravi problemi economici e familiari: era avvenuto un tracollo economico, in se­guito al quale la moglie aveva cominciato a dare segni di squilibrio mentale. Divenuto insegnante e collaboratore di vari giornali, Pirandello continuò l’attività letteraria, scrivendo dapprima drammi in dialetto siciliano e quindi in lingua italiana. Dopo Così è (se vi pare) del 1917, che iniziò la fase più creativa del suo teatro, Pirandello proseguì con un’attività molto intensa, ma non sempre assecondato dal successo di pubblico. Negli anni del primo dopoguerra ottenne molti consensi all’estero e di rimbalzo la sua fama si diffuse anche in Italia. Dopo aver aderito al fascismo, più per desiderio di affermazione che per intima convinzione, fu nominato Accademico d’Italia. Nel 1934 ricevette il premio Nobel per la letteratura.

Delle opere teatrali di Pirandello (una quarantina) ricordiamo alcuni capolavori: Il berretto a sonagli, Enrico IV, Sei personaggi in cerca d’autore, Questa sera si recita a soggetto.
L’opera narrativa è segnata da un’abbondante serie di novelle raccolte sotto il titolo Novelle per un anno, e da alcuni romanzi, come il già citato Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e centomila.





Il tema centrale dell’opera di Pirandello – tanto nei romanzi e nelle novel­le, quanto nel teatro – è la condizione di smarrimento, solitudine ed estraneità dell’uomo moderno.
Dopo il crollo della fiducia nella ragione e nel progresso senza limiti di cui si è nutrita la borghesia ottocentesca, l’uomo moderno, privo ormai di sicuri punti di riferimento, «si vede vivere» in preda al caso e al caos. Secondo Pirandello, l’uomo è divenuto vittima della società che egli stesso ha creato e sviluppato in forme sempre più complesse, e nessuna ideolo­gia è capace di rivelargli la sua intima essenza e di fornirgli un filo d’Arian­na che lo aiuti a stabilire un ordine qualsiasi nel caos degli avvenimenti e nei molteplici e contraddittori atteggiamenti che costituiscono la vita quoti­diana di ciascuno.
Pirandello prende atto di questa situazione di crisi senza propositi di alternativa o di denuncia, ma soltanto con la volontà di analizzarne luci­damente le manifestazioni in personaggi sconfitti, disillusi e alienati. La sua analisi è fondata sui seguenti motivi, tipici della visione pirandelliana della vita e dello spirito umano. Schematizziamo.

Contrasto tra “vita” e “forma”. Mentre gli altri esseri vivono senza avere la percezione della loro vita, ad esempio, «l’albero vive e non si sente», l’uomo ha «il triste privilegio di sentirsi vivere», dal momento che avverte il continuo mutamento che avviene in sé e fuori di sé. L’inces­sante cambiamento che costituisce la vita non obbedisce a ritmi e regole catalogabili ma soltanto al caso. L’uomo che tende a fissare in forme precise (cioè in concetti, ideali, valori morali, categorie sociali) il flusso casuale e caotico della vita, non fa altro che procurarsi gravi disil­lusioni. Il contrasto tra ideale e reale, tra la tendenza a ottenere delle certezze e la disillusa constatazione che la vita non si lascia afferrare in alcun modo, si evidenzia drammaticamente nella coscienza dei personaggi pirandelliani nel momento in cui, indotti dal“caso” a riflettere, avverto­no in sé stessi l’insanabile contrapposizione tra le molteplici possibilità di vita, che sembrano esistere in loro, e la forma – cioè quel tipo di vita, quel ruolo sociale, quel carattere – che la società impone a ciascuno come una “maschera”. Ogni uomo, dunque, parafrasando il titolo di un celebre romanzo pirandelliano, è «uno» la società che gl’impone una data “forma” senza la quale non gli sarebbe consentito di avere una vita di relazione; è «centomila» sia per le innumerevoli potenzialità che la vita in movimento sembrerebbe offrigli, sia per i difformi giudizi che di lui si potrebbero esprimere; è «nessuno» per l’impossibilità di dare una qualsiasi definizione della realtà. L’unica possibilità di vivere liberamente le proprie infinite forme strappandosi la maschera imposta dagli altri, è data dalla scelta della solitudine o dalla condizione di pazzia, reale o presunta (come avviene, ad esempio, per il protagonista dell’Enrico IV o per Vitangelo Moscarda di Uno, nessuno e centomila).

Relatività della conoscenza. Dal contrasto irrisolvibile tra “vita” e “forma” deriva in Pirandello la consapevolezza che né l’uomo né la real­tà sono conoscibili. Non è possibile neppure la comunicazione tra gli uo­mini:ciascuno, infatti, giudica necessariamente. dal proprio punto di vista secondo ciò che “ appare”o che sembra apparire, non secondo ciò che “è”, per cui su un medesimo fatto i giudizi sono tanti quante le persone chiamate a giudicare.

Sentimento del contrario. È il principio fondante le della poetica pirandelliana, definito nel saggio “L’Umorismo”, 1908. Pirandello stesso lo spiega con un esempio: se vediamo una vecchia «coi capelli ritinti», «tutta imbellettata e parata d’abiti giovanili», ci mettiamo a ridere, ac­corgendoci che «quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vec­chia rispettabile signora dovrebbe essere». Fin qui siamo a un livello superficiale d’osservazione, all’avvertimento del contrario, che provoca in noi una comicità istintiva. Ma se invece, riflettendo, arriviamo a pensare che quella signora agisce così, forse soffrendo, per rendersi piacevole al marito molto più giovane di lei, non rideremo più come prima perché dal­l’avvertimento saremo passati al sentimento del contrario, cioè alla capacità – ironica, beffarda, ma anche dolorosa – di “sentire”, di cogliere con l’intelligenza le inquietanti contraddizioni della condizione umana.
L’analisi di Pirandello si svolge in modo uniforme per tutto l’arco della la sua vastissima produzione, senza conoscere sostanziali evoluzioni, bensì riproponendosi sempre con rinnovata e prodigiosa capacità d’osservazione in una innumerevole serie di casi umani. Infatti, la sua ideologia pessimi­stica e la tendenza a cogliere, con gusto beffardo e pietoso a un tempo, l’assurdità dell’esistenza in casi paradossali sono già presenti nelle prime opere (i romanziL’esclusa e Il turno), dove si avvertono influssi veristici dai quali lo scrittore si libera con il primo capolavoro, il romanzo Il fu Mattia Pascal.

I personaggi delle opere pirandelliane appartengono alla piccola e me­dia borghesia: professori, impiegati, piccoli professionisti di provincia o comunque di mentalità provinciale, anche quando si sono trasferiti in cit­tà. Gli ambienti nei quali essi si muovono sono case d’affitto, pensioni, salotti con una qualche pretesa d’eleganza. Anche se le vicende si svolgono nella maggior parte dei casi in Sicilia o a Roma, il mondo rappresentato da Pirandello non ha connotazioni storiche o sociali di rilievo. L’unica ecce­zione è il romanzo storico I vecchi e i giovani (1913), che ha per argomen­to la delusione provocata dal Risorgimento presso le nuove generazioni del Meridione. Infatti, l’attenzione dello scrittore è sempre rivolta al dramma che si svolge nella coscienza dell’uomo dei nostri tempi, solo con sé stesso di fronte alla crisi di tutti i valori tradizionali, crisi avvertita con particolare intensità in Italia e in Europa dopo i disastri della Prima Guerra Mondiale.

Pirandello si rivela autore di respiro europeo anche nel contributo originale offerto al rinnovamento del teatro, con la presentazione di azioni che si immaginano tutte da inventare e il cui svolgimento si attua in parte sul palcoscenico, in parte nella platea. Ciò avviene soprattutto nei Sei personaggi in cerca d’autore (1921), e ancora in Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1928), la cosiddetta trilogia del “teatro nel teatro”.





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