GIOVANNI VERGA: Vita e percorso letterario. Opere. Capuana e De Roberto
ABBANDONA GLI STUDI. Un secondo romanzo dello stesso tipo (I carbonari della montagna, 1859) lo pubblicò con i soldi destinati a pagare gli studi universitari (si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza ma la lasciò presto). Il suo terzo romanzo (Sulle lagune, pubblicato a puntate sulla rivista fiorentina "La nuova Europa" nel 1863) racconta dell'amore di una ragazza italiana per un ufficiale austriaco, e questa volta la vicenda sentimentale ha la preminenza rispetto allo sfondo storico-patriottico.
L'IMPEGNO PATRIOTTICO. Quando Garibaldi sbarcò in Sicilia, nel 1861, Verga si schierò dalla parte della rivoluzione arruolandosi nella Guardia Nazionale, la quale però finì per essere utilizzata per tutelare gli interessi della ricca borghesia terriera, nella repressione delle rivendicazioni sociali dei contadini. Tra il 1860 e il 1864 si dedicò al giornalismo patriottico-politico, fondando e dirigendo diversi giornali dalla vita breve.
FIRENZE. Nel 1865 andò per la prima volta a Firenze (dove ritornò più volte, fino ad abitarvi quasi stabilmente tra il 1869 e il 1871), come era d'obbligo per chi avesse ambizioni letterarie: Firenze viveva una intensa vita letteraria e artistica grazie agli innumerevoli uomini di lettere che vi vivevano e per la quantità di circoli e salotti in cui si riunivano. A Firenze conobbe Capuana, Dall'Ongaro, Prati, Aleardi, Imbriani. In questo periodo scrisse i primi due romanzi "scapigliati": Una peccatrice (1866) e Storia d'una capinera (1871).
MILANO. In quegli anni non meno importante di Firenze era Milano, sede privilegiata dell'industria editoriale, delle case letterarie e musicali, dei teatri, del giornalismo. Verga vi si trasferì nel 1872. Frequentò gli scrittori della scapigliatura, Federico De Roberto, Giuseppe Giacosa, il celebre salotto letterario della contessa Maffei, partecipò ai dibattiti letterari, teatrali, musicali del tempo. Scriveva ancora opere di gusto scapigliato e tardo-romantico (Eva, 1873; Tigre reale, 1873; Eros, 1875), ma iniziava a interessarsi alla narrativa francese e in particolare a Flaubert e a Zola, in accordo con le idee sostenute da Capuana che andava elaborando la poetica del verismo italiano.
IL CICLO DEI VINTI. Nel 1880 pubblicò la raccolta di novelle Vita dei campi e l'anno seguente I Malavoglia, il primo romanzo di un ciclo che aveva progettato sin dal 1878. Il romanzo, come lui stesso scrisse a Capuana, fu un «fiasco pieno e completo» (le precedenti opere di Verga avevano avuto molto successo di pubblico). Nel 1888 pubblicò a puntate sulla "Nuova Antologia" il secondo romanzo del ciclo dei "Vinti", Mastro-don Gesualdo, l'anno dopo rielaborato e ripubblicato in volume. Non terminò mai il terzo romanzo del ciclo (che prevedeva in tutto cinque romanzi): La duchessa de Leyra, iniziato intorno al 1907.
IL TEATRO. A partire dal 1893 Verga si recò sempre più raramente a Milano, rimanendo per lo più a Catania e a Roma. Dopo aver pubblicato le raccolte di novelle / ricordi del Capitano d'Arce ( 1891 ) e Don Candeloro & C. ( 1894) si dedicò prevalentemente al teatro (La lupa, 1896; In portineria, 1896; Dal tuo al mio, 1905). Intanto aveva conquistato una piena agiatezza economica in seguito al riconoscimento, in seguito a una lite giudiziaria, dei diritti d'autore per l'adattamento operistico della sua novella, compresa in Vita dei campi, Cavalleria rusticana (l'opera, musicata da Mascagni su libretto di Targioni Tozzetti e Menasci, aveva avuto nel 1890 uno straordinario successo).
GLI ULTIMI ANNI. Negli ultimi anni visse appartato e solitario, sempre più ottusamente conservatore in politica: arrivò ad applaudire la durissima repressione del generale Bava Beccaris dei moti milanesi del 1898, aderì al nazionalismo e all'interventismo. Fu polemicamente indifferente ai riconoscimenti ufficiali (nel 1920 i suoi 80 anni vennero festeggiati in una cerimonia pubblica alla presenza del ministro della Pubblica Istruzione, Benedetto Croce, con un discorso di Pirandello; nello stesso anno venne nominato senatore). Morì a Catania nel 1922.
IL PENSIERO E LA POETICA
due prefazioni. Nella prefazione in forma di lettera all'amico Salvatore Farina che scrisse nel 1880 per L'amante di Gramigna (una delle novelle di Vita dei campi), e nella prefazione scritta nel 1881 per I Malavoglia, Verga espose le sue idee sulla letteratura.
il romanzo perfetto vive di vita propria. Nella lettera a Farina definiva come «la più completa e la più umana» delle opere d'arte. Scriveva, esponendo una delle principali tesi del verismo, che un romanzo raggiunge la perfezione quando il rapporto tra tutte le sue parti è così equilibrato da non lasciare avvertire la presenza dell'autore, da consentire che l'opera viva di vita propria: «l'armonia delle sue forme sarà così perfetta, la sincerità della sua realtà così evidente, il suo modo e la sua ragione di essere così necessarie, che la mano dell'artista rimarrà assolutamente invisibile, e il romanzo avrà l'impronta dell'avvenimento reale, e l'opera d'arte sembrerà essersi fatta da sé, (…) come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore».
l'analisi di una tendenza dell'umanità. Nella prefazione a I Malavoglia Verga definiva il progettato ciclo di romanzi (in un primo tempo chiamato Marea, poi Vinti) come l'analisi accurata (uno «studio sincero e spassionato») di un segmento fondamentale dell'attività umana: la «ricerca del meglio».
ambizioni sempre più complesse. Il ciclo parte dall'analisi applicata alle classi sociali più umili, in cui la «ricerca del meglio» è ancora soltanto la lotta per i bisogni materiali (I Malavoglia); poi passa alla lotta per arricchirsi, esaminata in un tipo borghese (Mastro-don Gesualdo) per proseguire con la nobiltà e le ambizioni più complesse (nei romanzi che non vennero realizzati: Duchessa di Leyra; L'onorevole Scipioni; L'uomo di lusso).
le passioni degli umili sono più semplici. L'analisi viene applicata prima ai più umili perché in loro «il meccanismo delle passioni [...] è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggiore precisione. [...]. A misura che la sfera dell'azione umana si allarga, il congegno della passione va complicandosi». Verga aveva del mondo contadino una visione evidentemente idealizzata, come di un mondo "primitivo", alternativo al mondo borghese della moderna civiltà industriale, complesso e artificiale.
I vinti rimangono ai margini. L'incessante movimento in avanti dell'umanità, «dalla ricerca del benessere materiale alle più elevate ambizioni», lascia ai suoi margini i deboli, i «vinti che [...] piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d'oggi, affrettati anch'essi, avidi anch'essi d'arrivare, e che saranno sorpassati domani. I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la duchessa de Leyra, L'onorevole Scipioni, L’uomo di lusso sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati».
positivismo pessimista. L'idea di progresso, positiva nell’ideologia del positivismo, viene dunque da Verga impietosamente privata di ogni ingenuo ottimismo: è vero che il cammino dell'umanità in avanti è incessante, ma è altrettanto vero che ha un prezzo. A vincere nella lotta per l'esistenza non è il più giusto, ma il più forte e spietato.
Lo scrittore È solo un osservatore. Lo scrittore non è che un osservatore con il compito di riprodurre la realtà con assoluta precisione e sincerità: «Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto essere».
LE OPERE
I primi romanzi. Dopo i primi tre romanzi storici Amore e patria, I carbonari della montagna, Sulle lagune, molto legati ai modelli romantici (Dumas padre, Sue, Guerrazzi), Verga scrisse alcuni romanzi ambientati nella società contemporanea, di gusto tardo romantico.
una peccatrice (1866)
Scritto sulla scia di La signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio, possiede alcune caratteristiche tipiche della narrativa tardo-romantica e di presa sicura sul pubblico, come l'amore-passione che contrasta con le convenzioni sociali e che conduce alla morte; e la generosità femminile contrapposta all'aridità maschile.
la trama. Inizia con il funerale della contessa Narcisa Valderi, per poi raccontarne la storia: lei ha abbandonato marito e ricchezze per seguire il giovane scrittore Pietro Brusio, che dopo avere ottenuto il suo amore la ha trascurata, spingendola alla disperazione e al suicidio. E morta avvelenata dall'oppio, lasciando Pietro oppresso dai rimorsi e abbrutito in una esistenza squallida.
storia di una capinera (pubblicato nel 1870 su un giornale femminile, "La ricamatrice", e nel 1871 in volume).
Opera di notevole successo, per la quale Dall'Ongaro scrisse una prefazione sollecitandone la lettura come "romanzo sociale" contro la monacazione forzata. Si tratta in realtà di un romanzo intimo, scritto in forma di diario epistolare della protagonista, a tratti eccessivamente patetico ma realisticamente documentato nella ricostruzione della disciplina dura e dei rituali macabri dei conventi.
la trama. Maria, costretta dalla matrigna a entrare in convento, ritorna in famiglia in occasione di una epidemia di colera e così conosce la libertà e si innamora di Nino. Costretta a ritornare in convento per la definitiva assunzione dei voti, viene a sapere che Nino si è sposato con la sorella Giuditta e finisce i suoi giorni sconvolta dalla follia.
Eva (1873). Romanzo vicino al gusto della moderna narrativa francese. Racconta la storia di Enrico Lanti, giovane pittore catanese immigrato a Firenze in cerca di fortuna. Si innamora di una ballerina che per lui abbandona tutto e si adatta a vivere fra gli stenti, ma poi riprende la sua vita e la relazione con un antico amante. Enrico, che è diventato famoso, la vuole riconquistare e in duello uccide il rivale, ma inutilmente. Ritornerà al suo paese e vi morirà di tubercolosi.
EROS (1875) Romanzo che racconta una vicenda tragica basata sull'irrequietezza del protagonista, Alberto Alberti, uno dei tanti giovani borghesi della letteratura tra Ottocento e Novecento che sprecano nella mancanza di scopi la loro vita.
la trama. Alberto esce di collegio: ha vent'anni, è bello, ricco, pieno di voglia di vivere. Intreccia una relazione con la cugina Adele, ma poi passa a una sua amica, Velleda, meno ingenua, più mondana e raffinata. Velleda però sposa un ricco e brutto principe. Alberto, coperto di debiti e stanco delle avventure erotiche, si decide a sposare Adele ma finisce per riallacciare la relazione con Velleda. La riconciliazione tra Adele e Alberto avviene solo quando Adele è in fin di vita. Dopo la sua morte, Alberto chiude la sua vita fallimentare con un colpo di pistola.
TIGRE REALE. (1875). Romanzo che mette in scena il conflitto tra l'ideale domestico della purezza dei sentimenti e la sregolatezza dell'attrazione sensuale. Il giovane possidente siciliano Giorgio La Ferlita si innamora a Firenze di Nata, personaggio che possiede tutte le caratteristiche della donna perduta della letteratura: è affascinante, aristocratica, russa e malata di tubercolosi. Partita Nata, Giorgio torna ad Acireale e sposa Erminia. L'improvviso ritorno di Nata sconvolge la tranquilla vita familiare. Giorgio viene di nuovo irretito dall'amante, ma Erminia lo aspetta paziente, respingendo le profferte d'amore del cugino Carlo. Gli affetti semplici e puri hanno la meglio: nel finale del romanzo Giorgio ed Erminia vedono il carro funebre che riporta in Russia il cadavere di Nata.
IL TEMA DELLA CAMPAGNA SICILIANA
La novella Nedda (1874) adopera un elemento che sarà poi caratteristico dell'arte verista: il mondo dei contadini siciliani.
la trama. Nedda è una raccoglitrice di olive che lavora a giornata. Dopo la morte della madre si innamora di Janu, ammalato di malaria. Janu cade da un albero e muore. Nedda, incinta, non trova più lavoro. Viene abbandonata da tutti e il suo bambino muore di fame.
gusto tardo romantico. Gli schemi narrativi di Nedda sono quelli tradizionali della narrativa "sociale" (con la presenza di un narratore che "guarda dall'alto" ciò che avviene, e commenta con tono patetico le sofferenze della protagonista). Tutto sommato la distanza della desolata campagna siciliana dal mondo dei lettori settentrionali rendeva la novella non troppo distante dalle suggestioni esotiche dei romanzi di gusto tardo romantico. Infatti la successiva raccolta Primavera e altri racconti (1876) ritorna ai temi dell'amore e dell 'avventura in ambienti mondani.
VITA DEI CAMPI (1980)
Raccolta di otto novelle (Fantasticheria, Cavalleria rusticana, Jeli il pastore, La pentolaccia, La lupa, L'amante di Gramigna) che in gran parte realizzano, anticipando temi e metodi narrativi dei Malavoglia, alcune esigenze del verismo.
la narrazione impersonale. La poetica del verismo non prevedeva semplicemente l'ambientazione nel mondo contadino. La sua caratteristica principale consisteva nella narrazione impersonale, senza l'intervento di un narratore «che sa tutto» (come in I promessi sposi): a parlare è direttamente il mondo che viene rappresentato, con tutti i suoi pregiudizi, la sua cultura rigida, l'impietosa cura dei propri interessi.
L’Esempio di Rosso Malpelo. A parlare è il “paese”, e non l’autore, nella presentazione del personaggio di Rosso Malpelo: «Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzaccio malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone».
I “diversi”. In ogni novella emerge, rispetto alla compattezza di un gruppo che esprime i valori tradizionali e implacabili del mondo contadino, un personaggio che è “diverso”: asociale, emarginato, amorale o “puro” (come Jeli il pastore), in un modo o nell' altro vittima della chiusura e dell' ipocrisia dell' ambiente a cui tuttavia appartiene (anche il senso della famiglia, dell'onore, dell'onestà dei Malavoglia sarà contrapposto alla brutale logica dell'interesse economico, che è l'unica vincente ad Aci Trezza: «Volete che ve lo dica? saltò su la Vespa; la vera disgrazia è toccata allo zio Crocifisso che ha dato i lupini a credenza»).
“Fantasticheria” non è una novella ma una specie di lunga lettera in cui l'autore si rivolge a una signora con la quale ha trascorso alcuni giorni ad Aci Trezza, riflettendo sulla vita e sui valori di questo villaggio di pescatori, paragonati a quelli del mondo borghese e cittadino. Cavallerìa rusticana (da cui venne tratto un testo teatrale di successo e una ancora più fortunata opera lirica) racconta la storia dell'amore di Lola per Turiddo che viene infine ucciso da Alfio, il marito di Lola. La Lupa (pure adattata in seguito per il teatro) è la storia di una donna che finisce uccisa dal genero, oggetto dei suoi desideri. Jeli il pastore è la storia di un pastore che scopre gradualmente le differenze di classe e infine uccide il padrone, nell’infanzia suo compagno di giochi, che ora gli ruba la moglia. Rosso Malpelo, uno dei capolavori di Verga, è la storia di un emarginato che finisce travolto in una cava di sabbia, come già era accaduto a suo padre
MALAVOGLIA (1881)
Romanzo ambientato in Sicilia tra il 1864 e il 1877. Primo del ciclo dei Vinti, racconta la storia di una famiglia di pescatori rovinati dal tentativo di migliorare la propria condizione con l’investimento in un carico di lupini, e infine riscattati dal loro costante riferimento ai valori della famiglia, dell’onestà, del lavoro (sottolineati anche dalla mancata adesione ad essi di ‘Ntoni, il giovane che si ribella al suo destino non capovolgendolo attivamente attivamente come fa suo fratello Alessi, ma rimanendone vittima).
LA TRAMA. Ad Aci Trezza, vicino Catania, vivono nella «casa del nespolo» i Toscano (detti dai compaesani Malavoglia), pescatori e proprietari di una barca a vela, la Provvidenza. Il nonno, padron 'Ntoni, compra a credito dallo zio Crocifisso un carico di lupini per rivenderli; ma la Provvidenza viene sorpresa dalla tempesta e affonda con il carico. Nel naufragio perde la vita Bastianazzo, il figlio di padron ' Ntoni, che lascia la moglie Maruzza e cinque figl i: ' Ntoni, Luca, Mena, Alessi, Lia.
la perdita di status. I Malavoglia, gravati ora di un pesante debito con lo zio Crocifisso, sono anche declassati socialmente a causa della perdita della barca, e iniziano a diventare oggetto di maldicenze e pettegolezzi. Padron 'Ntoni e il giovane 'Ntoni lavorano a giornata nella barca di padron Fortunato Cipolla. Ma con la partenza di Luca per il servizio militare viene a mancare un valido aiuto.
ASCESA E DISCESA. Gradualmente le cose sembrano aggiustarsi: la Provvidenza viene rimessa in mare, padron 'Ntoni riesce a combinare un buon matrimonio per Mena (che è amata silenziosamente dal carrettiere Alfio Mosca) e a pagare una parte del debito a zio Crocifisso. Ma la Provvidenza affonda di nuovo, Luca muore nella battaglia di Lissa, lo zio Crocifisso espropria la casa del nespolo, il matrimonio di Mena va a monte, Maruzza muore nell 'epidemia di colera.
la degradazione di 'ntoni. 'Ntoni va via dal paese per cercare fortuna ma ritorna dopo poco, sconfitto e «senza scampo»; inizia a frequentare poco di buono e contrabbandieri. Padron 'Ntoni, Alessi e Mena lavorano senza tregua con l'obiettivo di riscattare la casa del nespolo. Lia non disdegna le attenzioni di Michele, brigadiere della guardia di finanza.
la perdita di lia. Durante un'operazione di contrabbando, 'Ntoni accoltella Michele. Al processo l'avvocato difensore sostiene, sfruttando i pettegolezzi del paese, che lo abbia fatto per proteggere l'onore di Lia, sedotta da Michele. Padron 'Ntoni a sentire questo in tribunale ha un ictus. Lia esce di casa e non vi fa più ritorno.
il riscatto. Con 'Ntoni in carcere e il nonno ormai inabile, Alessi continua a lavorare incessantemente; Mena accudisce il nonno che infine va in un ospizio e muore lontano dai suoi cari e dalla casa del nespolo. Alla fine Alessi riesce a riscattare la casa e ritorna ad abitarvi con moglie e con Mena, che continua a negarsi all'amore di Alfio e non perché non gli voglia bene.
la consapevolezza di 'ntoni. Quando, dopo cinque anni di carcere, 'Ntoni ritorna nella casa che grazie al lavoro e alla fedeltà agli antichi valori è ritornata il luogo degli affetti e delle memorie! capisce che non può restarvi e riparte: da quel mondo dal quale si è escluso da solo.
LA STORIA DI UN DECLASSAMENTO SOCIALE: Tra i malavoglia e la gente del paese c’è una contrapposizione non solo morale (l’onore, l’onestà, la lealtà contrapposti all’ipocrisia e all’avidità) ma anche sociale. I Malavoglia sono „padroni“ perché possiedono una barca e una casa: sfidano la rigidità die ranghi sociali tentando di migliorare la propria condizione ( e di superare la crisi: dopo l'Unità i piccoli pescatori siciliani si trovarono ad affrontare la concorrenza dei grandi pescherecci del Nord) con il tentativo di una speculazione commerciale e perdono la barca e la casa. Subiscono così un declassamento sociale in seguito al quale vengono isolati.
E impossibile mutare STATO DI CLASSE. L’impossibilità di cambiare stato sociale («bisogna vivere come siamo nati» è ricorrente nella narrativa del Verga (è anche uno dei temi principali di Mastro-don Gesualdo), così come la teoria che l'unica spinta all'azione umana sia l'egoismo individuale («Tu bada ai fatti tuoi, che tutti costoro gridano ognuno pel suo interesse, e l'affare più grosso per noi è quello del debito» dice il nonno a 'Ntoni che vorrebbe andare in piazza in occasione della rivolta per la tassa sulla pece). Questi presupposti negano evidentemente la speranza in un assetto sociale meno ingiusto.
la tecnica narrativa. Nei Malavoglia Verga tenta di raggiungere l'obiettivo
dell'"assenza dell 'autore" (descritto nella Prefazione al romanzo con una tecnica complicata:
1 ) c'è un "narratore" che però non è il "narratore che sa tutto" dei Promessi sposi, ma appartiene allo stesso livello sociale e culturale - subalterno e provinciale – dei personaggi che agiscono nella vicenda (questo è stato definito artifìcio della regressione).
II "narratore", ipocrita e ignorante (come il paese a cui da la voce), capovolge il senso delle cose che racconta (questo è stato chiamato l'artificio dello straniamento). Per esempio, quando Alessi e Mena, per affetto, non vogliono che il nonno finisca ali 'ospedale: «tutto il vicinato sparlava di loro, che volevano fare i superbi senza aver pane da mangiare. Si vergognavano di mandare il nonno all'ospedale». L'autore non interviene direttamente a difendere i suoi perso naggi: il suo dissenso viene espresso non con commenti ma con una specie di sarcasmo ironico consentito proprio dal rovesciamento della logica normale. Prevale, rispetto al racconto del narratore, il discorso diretto (i dialoghi tra i
personaggi).
Viene molto usato anche lo stile indiretto libero (una tecnica frequente nella narrativa realistica dell'Ottocento), in cui il narratore "cede la parola" direttamente all'uno o all'altro personaggio, cambiando così il punto di vista della
narrazione. Il discorso diretto libero usato da Verga si differenzia però da quello tradizionale perché non riporta parole certamente pronunciate o pensate, ma parole che potrebbero essere state pronunciate o pensate: è sempre il narratore a raccontare, ma riproducendo il modo in cui il personaggio pensa e si esprime.
NOVELLE RUSTICANE (1883)
Raccolta di 12 novelle. Come già tra le novelle di Vita dei campi e il romanzo I Malavoglia, anche tra le Novelle rusticane e il romanzo Mastro-don Gesualdo vi sono legami sia tematici che stilistici: alcune (Malaria, Vagabondaggio, La roba, Il reverendo) sono il primo abbozzo di episodi o di interi capitoli del
Mastro-don Gesualdo. Il tema principale è infatti quello della «roba», del successo economico a cui viene subordinato ogni altro valore o comportamento.
Pane nero è la storia di una ragazza che diventa l'amante del padrone spinta dal benessere che ne ricava per sé e per la sua famiglia. // reverendo racconta la storia di un prete che ha sfruttato il suo ministero per ammassare ricchezze. Gli orfani descrive le difficoltà e gli stenti di una famiglia di braccianti. Storia dell'asino di S. Giuseppe racconta di un povero asino che passa da un padrone all'altro (emarginato per il colore del suo pelo come Rosso Malpelo). Malaria descrive la campagna della piana di Catania e la misera gente che vi lavora. La roba è la storia di Mazzarò, un povero bracciante che a prezzo di sacrifici e umiliazioni è riuscito ad arricchirsi e che di fronte alla morte è angosciato per la separazione dalla sua «roba». Libertà è la storia della rivolta dei contadini di Brente per la spartizione delle terre al tempo dell'impresa di Garibaldi, del fallimento delle loro speranze e della repressione.
ALTRE RACCOLTE DI NOVELLE
Le novelle di Per le vie (1883) sono ambientate a Milano, di cui rappresentano una plebe misera, priva di ideali che non siano i miti borghesi del denaro e del benessere a qualsiasi prezzo: furto, prostituzione, servilismo. Drammi intimi (1884) raccoglie 6 novelle, alcune di ambiente popolare, altre di ambiente borghese. Anche Vagabondaggio (1887) raccoglie novelle che riprendono temi già trattati e he in parte confluiranno nel Mastro-don Gesualdo. Le ultime raccolte pubblicate furono I ricordi del capitano d'Arce (1891 ) e Don Candelora e C.i. (1893). Nella prima raccolta le novelle sono ambientate nel mondo alto borghese e aristocratico e si propongono di rappresentare, come scrisse lo stesso Verga, «quella specie di maschera e di sordina che la educazione impone alla manifestazione degli stessi sentiménti». In Don Candeloro e C.i. le novelle descrivono la vita avventurosa e vagabonda di un gruppo di attori miserabili capeggiati dal puparo don Candelore, che recitano le storie dei paladini per i «contadinacci ignoranti e avari». Il tema è ancora quello della "maschera", della finzione della vita (poi ripreso da Pirandello), lo stile è amaro e grottesco.
MASTRO-DON GESUALDO (pubblicato a puntate sulla "Nuova Antologia" nel 1888 e in volume, rielaborato, nel 1889).
Romanzo ambientato in Sicilia tra 1820 e il 1848 circa, che racconta il tentativo di Gesualdo Motta, un muratore ("mastro") che si è arricchito diventando proprietario terriero ("don"), di superare le barriere di classe.
la trama. Gesualdo Motta, allo scopo di consolidare la sua ascesa sociale e di inserirsi tra la nobiltà paesana, accetta di sposare la giovane aristocratica Bianca Trao, ultima discendente di una casata caduta in miseria. Bianca, sottomessa e fredda, da alla luce Isabella, frutto di una precedente relazione, che crescerà chiusa e ostile a Gesualdo. 1 veri figli di Gesualdo, nati da Diodata, la contadina abbandonata per sposare Bianca, portano il nome di Nanni l'Orbo che Gesualdo le ha fatto sposare. Gesualdo deve sopportare l'ostilità dei notabili del paese, i ricatti di Nanni l'Orbo, l'avidità dei parenti, il matrimonio di Isabella con un duca spiantato che, dopo averla compromessa, ottiene una ricca dote e dilapida le ricchezze che lui ha accumulato con tanta fatica («Chi avrebbe potuto difendere la sua roba dopo la sua morte, ahimè, povera roba! Chi sapeva quel che era costata?»). Dopo la morte di Bianca, anche Gesualdo si ammala. Morirà solo, relegato in un mezzanino del palazzo di Palermo dove vivono la figlia e il genero, lontano dalla sua campagna, circondato dalla indifferente derisione dei servitori.
il profitto si paga con la solitudine. Il romanzo segue l'ascesa e la decadenza del protagonista (uno schema tipico del romanzo ottocentesco che avvicina Gesualdo ai personaggi di Balzac). Descrive il conflitto tra due mondi, uno ormai in declino, retto dall'etica feudale della raffinatezza e del lusso, uno in piena ascesa, retto dall'etica borghese del lavoro. Ma la logica utilitaristica del profitto si paga con la solitudine, come Gesualdo comprende solo di fronte alla morte: il suo tentativo di affermazione sociale ha come prezzo il fall imento degli affetti privati.
anche gesualdo È un "puro". Gesualdo si è adattato alla implacabile legge dell'utile economico, che lo fa apparire gretto e spieiato; ma possiede ancora, sia pure sotto forma di nostalgia, l'aspirazione ai valori puri dell'affetto e dei vincoli familiari. Ama Diodata, vive un difficile rapporto con il padre, si tormenta per la fragilità e la lontananza della moglie e della figlia, pensa con rimorso ai figli di Diodata che non ha riconosciuto. La sua solitudine è quella comune a tutti gli uomini, allontanati per bisogno e per avidità dall'autenticità dei sentimenti.
le rivolte sono inutili. Il romanzo, la cui vicenda attraversa i moti del 1820-1821 e quelli del 1848, non contraddice l'ideologia già espressa da Verga nelle novelle e nei Malavoglia: il cambiamento non è possibile, tantomeno attraverso
la violenza dell ' agitazione popolare; il "popolo" non è portatore di valori positivi che si contrappongano all'egoismo e alla corruzione, ma è una massa famelica e invidiosa senza ideali e senza altre aspirazioni che appropriarsi della roba dei
ricchi.
tecnica narrativa. La tecnica narrativa di questo romanzo è diversa da quella dei Malavoglia. Il punto di vista dominante è quello di un "narratore" che coincide con l'"autore"; a questa voce si alterna di tanto in tanto quella del "narratore popolare", la voce del paese, come nei Malavoglia. Alla "oggettività" viene spesso sostituita la descrizione deformante, che rende grotteschi i personaggi e le cose rivelando la loro meschinità (è una tecnica "espressionistica").
I TESTI TEATRALI
Verga scrisse diversi testi teatrali. Il primo ad andare in scena, interpretato da Eleonora Duse, fu nel 1884 Cavalleria rusticana, tratto dall'omonima novella di Vita dei campi. Molto meno successo ottenne nel 1885 In portineria, commedia in due atti tratta da una novella di Per le vie. Dall'omonima novella di Vita dei campi era trattaLa lupa ( 1896). Dal tuo al mio andò in scena a Milano nel 1903 senza ottenere successo e nel 1906 Verga ne trasse un omonimo romanzo poco riuscito.
In Dal tuo al mio la zolfara del barone Navarra cade nelle mani di Nunzio Rametta. Nina, figlia del barone, accetta di sposare il figlio di Rametta per salvare il padre. Sua sorella Lisa sposa un sindacalista, Luciano, che una volta passato dall'altra parte della barricata non esita a difendere il suocero dagli attacchi dei suoi ex compagni di lavoro.
ALTRI VERISTI
IL NATURALISMO. La diffusione in Europa, intorno alla metà dell’ottocento, di letetratura e arte di tipo realistico suscitò dibattiti e discussioni sulla rappresentazione della realtà. Emile Zola usò il termine naturalismo (derivato dalle scienze naturali e dalla storia dell'arte) nella prefazione alla seconda edizione del suo romanzo Thérèse Raquin (1867) e nel 1880 pubblicò il saggio // romanzo sperimentale, in cui definiva un metodo narrativo "naturalistico", ispirato ai metodi della scienza positivistica: la narrazione si sviluppa a partire da condizioni storiche, sociali, psicologiche che determinano il destino di persone e gruppi sociali. Zola e gli altri naturalisti francesi, a differenza dei veristi italiani e in particolare di Verga, era progressista: per lui la conoscenza della realtà sociale era uno strumento per migliorarla.
la ricerca in italia. In Italia già negli anni sessanta s’iniziò a usare il termine verismo e nel corso poi anche degli anni Settanta si susseguirono i tentativi di definire le caratteristiche di una letteratura che aveva i suoi precedenti in quella "sociale", "campagnola", nelle opere di Nievo e di Dall'Ongaro, ma anche di Carducci e degli scapigliati.
I macchiagli. La ricerca aveva un parallelo nelle arti figurative, e i risultati più notevoli furono raggiunti in Toscana dai macchiaioli, gruppo di pittori dalla vita simile a quella degli scapigliati, che esposero per la prima volta a Firenze nel 1861
tele che rappresentavano paesaggi resi con forti chiaroscuri e con i colori dati "a macchia", in polemica con l'accademismo della pittura storica romantica.
la particolarità del verismo. Il metodo verista venne elaborato con la maggiore coerenza e i migliori risultati da alcuni scrittori siciliani: Giovanni Verga, Luigi Capuana, Federico De Roberto. Il verismo italiano riprendeva i principi naturalistici dell''impersonalità e della ricerca "scientifica" del documento naturale e sociale, ma aveva una caratteristica specifica: l'interesse per la vita delle popolazioni contadine nelle diverse realtà regionali.
IMPERSONALITA' E CONCRETEZZA. Le premesse della poetica del verismo le pose Luigi Capuana recensendo sul "Corriere della sera" nel 1877 L’assomoir (L'ammazzatoio) di Zola. Le sue caratteristiche principali (l'opera d'arte non deve portare traccia dell'autore, deve sembrare essersi «fatta da sé» e la più assoluta concretezza; Il “Verga”, scriveva Capuana in Per l'arte (1885), “quando gli vien l'idea di foggiare in forma artistica i suoi contadini, non si limita soltanto a raccogliere delle generalità, ma circoscrive il suo terreno. Non gli basta che quei personaggi siano italiani -il contadino italiano è un' astrattezza- egli va più in là, vuole che siano siciliani: molto di più e di più concreto. [...] Ha bisogno che siano proprio d'una provincia, d'una città, d'un pezzettino di terra largo quanto la palma della sua mano. Allora soltanto si ferma”.
LUIGI CAPUANA( 1839-1915)
Nato in provincia di Catania, visse tra i 25 ai 29 anni a Firenze, dove diventò critico teatrale della "Nazione" e iniziò la sua lunga amicizia con Verga e la sua attività di narratore. Visse poi tra Roma, Milano e il suo paese natale, Mineo. Nel 1890 ottenne la cattedra di Letteratura italiana presso il Magistero di Roma (più tardi vi avrebbe insegnato Pirandello, che proprio da Capuana sarebbe stato spinto a dedicarsi alla narrativa) e nel 1902 la cattedra di Lessicografia e stilistica all'Università di Catania.
le idee sulla letteratura. Le sue idee sulla letteratura (che si possono leggere in Studi sulla letteratura contemporanea, 1880 e 1882, in Per l'arte, 1885, in Gli "ismi" contemporanei, 1898) erano basate sul principio che esistesse uno stretto rapporto tra arte e scienza e che l'attività dello scrittore fosse affine a quello dello scienziato. Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta si impegnò nel dibattito sulla poetica del verismo.
la sua attività. Lavorò come critico e giornalista; preparò studi sul folclore siciliano; si occupò di poesia popolare, fotografia, pittura, scienze naturali, scienze occulte; scrisse circa 300 novelle pubblicate in numerose raccolte, molti testi teatrali anche dialettali, un libro di fiabe (C'era una volta, \ 882), 3 romanzi: Giacinta ( 1879), Profumo ( 1890), // marchese diRoccaverdina ( 1901 ), il suo capolavoro, al quale lavorò per 20 anni, che mostra gli influssi del romanzo russo contemporaneo (Dostoevskij).
giacinta. Giacinta, la sua prima opera impegnativa, è la storia di una donna che trascina per tutta la vita il trauma di una violenza sessuale subita da bambina (l'indagine naturalista è dunque dedicata all'analisi di una psicologia particolare). Sposata a un vecchio conte, ha una relazione con un uomo da cui ha una figlia che muore; quando lui, stanco della relazione, vuole lasciarla, lei si uccide.
il marchESE di roccaverdina. // marchese di Roccaverdina è la storia del rimorso inconsolabile di un proprietario terriero che vive solo nel suo palazzotto tenendo con sé con Agrippina Solmo, una contadina che gli ha dedicato tutta la sua giovinezza e che lui dopo dieci anni fa sposare a un suo fattore, ma col patto che non consumino il matrimonio. Poi però uccide l'uomo per gelosia, e del delitto viene incolpato un innocente.
FEDERICO DE ROBERTO (1861-1927)
Napoletano di nascita ma trasferito giovanissimo a Catania dove visse quasi tutta la vita, iniziò a vent'anni l'attività giornalistica grazie alla quale conobbe Verga e Capuana. Come narratore esordì nel 1887 con la prima delle sue raccolte di novelle, La sorte. Con L'illusione (1891 ) iniziò il ciclodi tre romanzi dedicati alla famiglia Uzeda(il secondo,/ Viceré, 1891, è il suo capolavoro; l'ultimo è L'impero, 1929).
l'illusione. In L'illusione vengono seguite le vicende di amore e delusione di Teresa Uzeda di Francalanza, che giunge infine a una desolata visione del mondo, dominato dalla finzione. Delle vicende della famiglia Uzeda tra il 1855 e il 1862, durante il passaggio dalla dominazione borbonica allo stato unitario, racconta / Viceré. Questo romanzo riunisce due tipi di esperienze sperimentate nella narrativa di De Roberto: quella del racconto psicologico e quella del racconto naturalistico-veristico.
la trama. I vari componenti del casato degli Uzeda (antichi viceré di Sicilia sotto la dominazione spagnola), personaggi cinici, avidi, corrotti, sono in contrasto per ragioni di interesse. Alle lotte tra loro si intrecciano gli sforzi che fanno per superare le trasformazioni politiche conservando gli antichi privilegi. Don Blasco approfitta della soppressione dei conventi per comprare le terre degli ordini religiosi; don Gaspare, fingendo di essere liberale, riesce a farsi eleggere deputato; Consalvo, l'ultimo degli Uzeda, viene eletto a sua volta grazie agli intrighi dei faccendieri con cui si è mescolato: «Quando e'erano i Viceré, gli Uzeda erano Viceré; ora che abbiamo i deputati, lo zio siede in Parlamento [...] Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva dai Re; ora viene dal popolo [...] Certo, dipendere dalla canaglia non è piacevole». Il romanzo è una delle testimonianze della delusione degli ideali del Risorgimento.
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