domenica 9 febbraio 2014

Gabriele D'Annunzio: Consolazione. Dal "Poema Paradisiaco"





Gabriele d’Annunzio
Consolazione. Dal “Poema Paradisiaco”.

Il Poema Paradisiaco (i “Poema dei giardini”, dal greco antico) fu pubblicato da D’Annunzio nel 1893. La raccolta si suddivide in tre sezioni: L’Hortus conclusus, (Il giardino chiuso), L’Hortus larvarum (Il giardino delle larve) e L’Hortus animae (Il giardino dell’anima). I temi ispiratori sono tutti riconducibili a quegli aspetti tenui ed estenuati del decadentismo europeo che ebbe in Verlaine e Maeterlink i maestri più roconosciuti.
La poesia “Consolazione” fu composta l’8 gennaio 1891, in occasione di un ritorno di D’Annunzio nella casa natale.
Struttura metrica: quartine di endecasillabi rimati ABBA.


CONSOLAZIONE

Non pianger più. Torna il diletto figlio
a la tua casa. È stanco di mentire.
Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.
Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.

Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato
serba ancóra per noi qualche sentiero.
Ti dirò come sia dolce il mistero
che vela certe cose del passato.

Ancóra qualche rosa è ne' rosai,
ancóra qualche timida erba odora.
Ne l'abbandono il caro luogo ancóra
sorriderà, se tu sorriderai.

Ti dirò come sia dolce il sorriso
di certe cose che l'oblìo afflisse.
Che proveresti tu se ti fiorisse
la terra sotto i piedi, all'improvviso?

Tanto accadrà, ben che non sia d'aprile.
Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento
sol di settembre, e ancor non vedo argento
su 'l tuo capo, e la riga è ancor sottile.

Perché ti neghi con lo sguardo stanco?
La madre fa quel che il buon figlio vuole.
Bisogna che tu prenda un po' di sole,
un po' di sole su quel viso bianco.

Bisogna che tu sia forte; bisogna
che tu non pensi a le cattive cose...
Se noi andiamo verso quelle rose,
io parlo piano, l'anima tua sogna.

Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,
tutto sarà come al tempo lontano.
Io metterò ne la tua pura mano
tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.

Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.
In una vita semplice e profonda
io rivivrò. La lieve ostia che monda
io la riceverò da le tue dita.

Sogna, ché il tempo di sognare è giunto.
Io parlo. Di': l'anima tua m'intende?
Vedi? Ne l'aria fluttua e s'accende
quasi il fantasma d'un april defunto.

Settembre (di': l'anima tua m'ascolta?)
ha ne l'odore suo, nel suo pallore,
non so, quasi l'odore ed il pallore
di qualche primavera dissepolta.

Sogniamo, poi ch'è tempo di sognare.
Sorridiamo. E la nostra primavera,
questa. A casa, più tardi, verso sera,
vo' riaprire il cembalo e sonare.

Quanto ha dormito, il cembalo! Mancava,
allora, qualche corda; qualche corda
ancóra manca. E l'ebano ricorda
le lunghe dita ceree de l'ava.

Mentre che fra le tende scolorate
vagherà qualche odore delicato,
(m'odi tu?) qualche cosa come un fiato
debole di viole un po' passate,

sonerò qualche vecchia aria di danza,
assai vecchia, assai nobile, anche un poco
triste; e il suon sarà velato, fioco,
quasi venisse da quell'altra stanza.

Poi per te sola io vo' comporre un canto
che ti raccolga come in una cuna,
sopra un antico metro, ma con una
grazia che sia vaga e negletta alquanto.

Tutto sarà come al tempo lontano.
L'anima sarà semplice com'era;
e a te verrà, quando vorrai, leggera
come vien l'acqua al cavo de la mano.


Questa lirica, tratta dal Poema paradisiaco, esprime un momento particolare della sensibilità dannunziana: il momento della stanchezza, della sazietà, seguito al momento sensuale ed estetizzante del primo periodo dell’attività letteraria del poeta, culminato nel Piacere. Egli desidera ora ritornare al fianco della madre, per rivivere l’innocenza perduta dell’infanzia.
Il titolo “Consolazione” indica l’intenzione del poeta di consolare la madre, che è vissuta in solitudine, preoccupata della vita dissipata del figlio lontano.

La lirica comincia con l’esortazione alla madre di non piangere più e di uscire a pas­seggiare nel giardino abbandonato, per rievocare insieme le cose passate.
Sebbene sia settembre, la terra è ancora coperta di fiori e l’aria è mite.
La madre esita ad accettare l’invito, ma il poeta insiste: prenda un po’ di sole e non pensi alle cose cattive che le hanno detto del figlio. Ella tornerà a sognare accanto a lui, ed egli vicino a lei si sentirà purificato, come se prendesse dalle sue mani la lieve ostia dell’Euca­restia, che monda, libera dalle colpe chi la riceve.
Intanto nell’aria si diffonde un profumo che sembra il fantasma d’un april defunto, e per tale motivo la stessa aria di settembre sembra avere quasi l’odore ed il pallore di una pri­mavera dissepolta (il profumo della primavera è simbolo della fanciullezza innocente che è rifiorita nella mente del poeta).
Verso sera egli prenderà il cembalo e, mentre nella stanza vagherà qualche odore deli­cato, come di viole un po’ passate, suonerà una vecchia e triste ariadi danza; poi, per la madre sola, comporrà un canto che la raccolga in sé come in una culla.
Allora si compirà un miracolo: tutto sarà come prima; al poeta l’anima ritornerà ad essere semplice, come nella fanciullezza, e andrà leggera nella sua ritrovata innocenza dalla madre, con la stessa naturalezza con cui l’acqua viene al cavo de la mano.

La lirica esprime, dunque, la volontà del poeta di mutar vita, di abbandonare le esperienze raffinate e gaudenti della vita mondana e di ritornare alla semplicità e all’innocenza della fanciullezza. Ma il temperamento sensuale del D’Annunzio rende velleitario, troppo ostentato e artificioso il mutamento. Così esso si mantiene nell’ambito delle sensazioni e non si risolve in un effettivo rinnovamento morale.
In altri termini, D’Annunzio vuole ora “provare” ad essere buono e santo, per poi passare ad altre sensazioni. E così egli programmerà altri atteggiamenti, quello del superuomo, dell’eroe, del poeta Vate, come prima aveva assunto le vesti del­l’esteta, per realizzare il mito del “vivere inimitabile“.
La struttura di questa lirica, a volte fin troppo studiata nel suo psicologismo, è fitta di ripetizioni, di pause, di cadenze sparse che tendono ad esprimere il senso di stanchezza, di estenuazione e di languore, accresciuto da certe espressioni dolciastre, dopo l’esperienza dio­nisiaca del periodo sensuale ed estetizzante.
La condizione psicologica della sazietà, del languore e della stanchezza, e il bisogno di rivivere la purezza e l’innocenza della fanciullezza, non è originale del D’Annunzio: egli la derivò, come tanti altri motivi, da un filone del Decadentismo francese. E a questa condizione psicologica del Poema paradisiaco s’ispireranno in seguito, i poeti crepuscolari.


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