Gabriele d’Annunzio
Consolazione. Dal “Poema Paradisiaco”.
Il Poema Paradisiaco (i
“Poema dei giardini”, dal greco antico) fu pubblicato da D’Annunzio nel 1893.
La raccolta si suddivide in tre sezioni: L’Hortus conclusus, (Il giardino
chiuso), L’Hortus larvarum (Il giardino delle larve) e L’Hortus
animae (Il giardino dell’anima). I temi ispiratori sono tutti
riconducibili a quegli aspetti tenui ed estenuati del decadentismo europeo che
ebbe in Verlaine e Maeterlink i maestri più roconosciuti.
La poesia “Consolazione” fu
composta l’8 gennaio 1891, in occasione di un ritorno di D’Annunzio nella casa
natale.
Struttura metrica: quartine
di endecasillabi rimati ABBA.
CONSOLAZIONE
Non pianger più. Torna il
diletto figlio
a la tua casa. È stanco di
mentire.
Vieni; usciamo. Tempo è di
rifiorire.
Troppo sei bianca: il volto è
quasi un giglio.
Vieni; usciamo. Il giardino
abbandonato
serba ancóra per noi qualche
sentiero.
Ti dirò come sia dolce il
mistero
che vela certe cose del
passato.
Ancóra qualche rosa è ne'
rosai,
ancóra qualche timida erba
odora.
Ne l'abbandono il caro luogo
ancóra
sorriderà, se tu sorriderai.
Ti dirò come sia dolce il
sorriso
di certe cose che l'oblìo
afflisse.
Che proveresti tu se ti
fiorisse
la terra sotto i piedi,
all'improvviso?
Tanto accadrà, ben che non sia
d'aprile.
Usciamo. Non coprirti il capo.
È un lento
sol di settembre, e ancor non
vedo argento
su 'l tuo capo, e la riga è
ancor sottile.
Perché ti neghi con lo sguardo
stanco?
La madre fa quel che il buon
figlio vuole.
Bisogna che tu prenda un po'
di sole,
un po' di sole su quel viso
bianco.
Bisogna che tu sia forte;
bisogna
che tu non pensi a le cattive
cose...
Se noi andiamo verso quelle
rose,
io parlo piano, l'anima tua
sogna.
Sogna, sogna, mia cara anima!
Tutto,
tutto sarà come al tempo
lontano.
Io metterò ne la tua pura mano
tutto il mio cuore. Nulla è
ancor distrutto.
Sogna, sogna! Io vivrò de la
tua vita.
In una vita semplice e
profonda
io rivivrò. La lieve ostia che
monda
io la riceverò da le tue dita.
Sogna, ché il tempo di sognare
è giunto.
Io parlo. Di': l'anima tua
m'intende?
Vedi? Ne l'aria fluttua e
s'accende
quasi il fantasma d'un april
defunto.
Settembre (di': l'anima tua
m'ascolta?)
ha ne l'odore suo, nel suo
pallore,
non so, quasi l'odore ed il
pallore
di qualche primavera
dissepolta.
Sogniamo, poi ch'è tempo di
sognare.
Sorridiamo. E la nostra
primavera,
questa. A casa, più tardi,
verso sera,
vo' riaprire il cembalo e sonare.
Quanto ha dormito, il cembalo!
Mancava,
allora, qualche corda; qualche
corda
ancóra manca. E l'ebano
ricorda
le lunghe dita ceree de l'ava.
Mentre che fra le tende
scolorate
vagherà qualche odore
delicato,
(m'odi tu?) qualche cosa come
un fiato
debole di viole un po'
passate,
sonerò qualche vecchia aria di
danza,
assai vecchia, assai nobile,
anche un poco
triste; e il suon sarà velato,
fioco,
quasi venisse da quell'altra
stanza.
Poi per te sola io vo'
comporre un canto
che ti raccolga come in una
cuna,
sopra un antico metro, ma con
una
grazia che sia vaga e negletta
alquanto.
Tutto sarà come al tempo
lontano.
L'anima sarà semplice com'era;
e a te verrà, quando vorrai,
leggera
come vien l'acqua al cavo de
la mano.
Questa lirica, tratta dal Poema
paradisiaco, esprime un momento particolare della sensibilità dannunziana: il
momento della stanchezza, della sazietà, seguito al momento sensuale ed
estetizzante del primo periodo dell’attività letteraria del poeta, culminato
nel Piacere. Egli desidera ora ritornare al fianco della madre, per
rivivere l’innocenza perduta dell’infanzia.
Il titolo “Consolazione” indica
l’intenzione del poeta di consolare la madre, che è vissuta in solitudine,
preoccupata della vita dissipata del figlio lontano.
La lirica comincia con
l’esortazione alla madre di non piangere più e di uscire a passeggiare nel
giardino abbandonato, per rievocare insieme le cose passate.
Sebbene sia settembre, la
terra è ancora coperta di fiori e l’aria è mite.
La madre esita ad accettare
l’invito, ma il poeta insiste: prenda un po’ di sole e non pensi alle cose
cattive che le hanno detto del figlio. Ella tornerà a sognare accanto a lui, ed
egli vicino a lei si sentirà purificato, come se prendesse dalle sue mani la
lieve ostia dell’Eucarestia, che monda, libera dalle colpe chi
la riceve.
Intanto nell’aria si diffonde
un profumo che sembra il fantasma d’un april defunto, e per tale
motivo la stessa aria di settembre sembra avere quasi l’odore ed il pallore di
una primavera dissepolta (il profumo della primavera è simbolo della
fanciullezza innocente che è rifiorita nella mente del poeta).
Verso sera egli prenderà il
cembalo e, mentre nella stanza vagherà qualche odore delicato, come di
viole un po’ passate, suonerà una vecchia e triste ariadi danza; poi,
per la madre sola, comporrà un canto che la raccolga in sé come in una culla.
Allora si compirà un miracolo:
tutto sarà come prima; al poeta l’anima ritornerà ad essere semplice, come
nella fanciullezza, e andrà leggera nella sua ritrovata innocenza dalla madre,
con la stessa naturalezza con cui l’acqua viene al cavo de la mano.
La lirica esprime, dunque, la
volontà del poeta di mutar vita, di abbandonare le esperienze raffinate e
gaudenti della vita mondana e di ritornare alla semplicità e all’innocenza
della fanciullezza. Ma il temperamento sensuale del D’Annunzio rende
velleitario, troppo ostentato e artificioso il mutamento. Così esso si mantiene
nell’ambito delle sensazioni e non si risolve in un effettivo rinnovamento
morale.
In altri termini, D’Annunzio
vuole ora “provare” ad essere buono e santo, per poi passare ad altre
sensazioni. E così egli programmerà altri atteggiamenti, quello del superuomo,
dell’eroe, del poeta Vate, come prima aveva assunto le vesti dell’esteta, per
realizzare il mito del “vivere inimitabile“.
La struttura di questa lirica,
a volte fin troppo studiata nel suo psicologismo, è fitta di ripetizioni, di
pause, di cadenze sparse che tendono ad esprimere il senso di stanchezza, di
estenuazione e di languore, accresciuto da certe espressioni dolciastre, dopo
l’esperienza dionisiaca del periodo sensuale ed estetizzante.
La condizione psicologica
della sazietà, del languore e della stanchezza, e il bisogno di rivivere la
purezza e l’innocenza della fanciullezza, non è originale del D’Annunzio: egli
la derivò, come tanti altri motivi, da un filone del Decadentismo francese. E a
questa condizione psicologica del Poema paradisiaco s’ispireranno in
seguito, i poeti crepuscolari.
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