giovedì 6 febbraio 2014

Claudio Di Scalzo: Totalitarismo e Totalitarismi 1 - Help Tesine


Hannah Arendt




HELP TESINE PER GLI STUDENTI CHE HANNO L'ESAME

(Prima parte)

Nell’anno scolastico 2001-2002, all’ITCG-Liceo di Chiavenna, all’interno del “Progetto Biblioteca” indetto dal Ministero dell'Istruzione (e fu per me una grande soddisfazione vincere il premio per la mia scuola di svariati milioni) tenni una serie di conferenze preparatorie per gli Esami di Stato, poi raccolte in dispense. Qui ripubblico, per studenti e navigatori, quella dedicata al Totalitarismo che ampliava, nei richiami alla letteratura, la mia tesi per l’abilitazione in Filosofia e Storia conseguita dopo quella per l’insegnamento della Letteratura italiana. (Claudio Di Scalzo)



TOTALITARISMO E TOTALITARISMI 1

ORIGINE DEL TERMINE. TOTALITARISMO SECONDO H. ARENDT -  BIBLIOGRAFIA

Il termine “totalitarismo” fu coniato in Italia nel maggio 1923, e venne inizialmente usato nell'agone politico dagli antifascisti. Anche Mussolini lo utilizzò, ma in senso esattamente opposto, nel giugno del 1925 quando parlò della “fiera volontà totalitaria del suo movimento”.
Il termine “totalitarismo” sembra che sia stato usato come etichetta per accomunare stati fascisti e comunisti in Inghilterra nel 1929, anche se parecchi anni prima Nitti e altri esponenti politici italiani avevano già proposto confronti tra fascismo e bolscevismo. Negli anni Trenta e Quaranta il concetto fu utilizzato da importanti intellettuali di sinistra (Borkenau, Lowenthal, Neumann) per spiegare quello che per loro era il carattere peculiare del fascismo (o del nazismo). Mancava però in questi autori ogni comparazione fascismo-comunismo.
Il termine comincia a essere usato come categoria storiografica dopo la pubblicazione del saggio della Arendt, Le origini del totalitarismo (1951). Secondo la Arendt il totalitarismo fu un fenomeno complesso che caratterizzò alcuni regimi come quello fascista/nazista e quello stalinista. Hannah Arendt, e questo spesso viene taciuto da chi ne usa le riflessioni, analizzò anche l'imperialismo, frutto delle società liberali.
Uno stato totalitario è uno stato in cui il potere è nelle mani di un partito unico che si identifica con le principali istituzioni. Non esiste una separazione tra privato e pubblico e lo stato ritiene proprio compito occupare interamente la vita del singolo.
Intorno alla questione del totalitarismo si è aperto un dibattito che è ancora in corso. Esso vede schierati da una parte gli storici che giudicano fascismo/nazismo e stalinismo come perfettamente equivalenti, dall’altra gli storici che invece tendono a fare distinzioni di base tra i due tipi di regime.


TOTALITARISMO. SINTETICA BIBLIOGRAFIA
Romanzi e poemi che narrano il fascismo e il comunismo

T. MORE, Utopia
(L’archetipo assoluto di progettazione di una società ugualitaria)
G. ORWELL, La fattoria degli animali
(un racconto allegorico, sotto forma di favola, della rivoluzione d’ottobre in Russia, nel quale gli animali, che si erano ribellati al potere oppressivo degli uomini, finiscono col riprodurlo in forma ancora più spietata)
G. ORWELL, Omaggio alla Catalogna
(La Guerra civile Spagnola, 1936,1937, Barcellona, assedio di Huesca. Le divisioni nel campo antifascista, la pratica dei comunisti staliniani repressiva dei comunisti staliniani contro anarchici e trotschisti)
G. ORWELL, 1984
(Il potere dei media per realizzare lo stato totalitario)
A. HUXELEY, Il Nuovo Mondo
(Il controllo delle scoperte scientifiche per plasmare le coscienze individuali)
A. KOESTLER, Buio a Mezzogiorno
(I processi staliniani contro la vecchia guardia leninista nella Russia degli anni trenta. Il partito come incarnazione della Storia. L’estorsione delle confessioni con la tortura fisica e psicologica) V. SERGE, È mezzanotte sul secolo
(Urss anni trenta. L’opposizione comunista, in genere trotschista, a Stalin)
V. SERGE, Il caso Tulaev
(Romanzo che ripropone il caso Kirov. Dirigente amato del partito bolscevico russo che viene ucciso su ordine di Stalin. Lo scopo del potere è quello di darne la colpa all’opposizione comunista che osteggia la politica staliniana)
V. MAJAKOVSKIJ, Lenin
(Poema celebrativo, ma anche estremamente sperimentale, del protagonista dei primi anni della Rivoluzione russa)
I. BABEL, L’armata a cavallo
(Le violenze e le crudeltà della guerra civile combattuta dopo la Rivoluzione d’ottobre)
M. BULGAKOV, Il Maestro e Margherita
(Romanzo molto complesso, ricco di temi, tra i quali trova spazio anche una satira sulla società sovietica nella Mosca degli anni ’20)
B. PASTERNAK, Il dottor Zivago
(Il dottor Zivago, reduce della I guerra mondiale, è coinvolto negli avvenimenti della rivoluzione e della guerra civile)
A. SOLZENICYN, Reparto C; Divisione Cancro; Arcipelago Gulag
(La testimonianza di uno scrittore, premio Nobel per la letteratura, vittima del potere e del terrore stalinista)
V. SALAMOV, I racconti della Kolyma
(Il campo di concentramento, Gulag, dove vengono distrutti gli oppositori del sistema staliniano. Il Gulag come industria che sfrutta i prigionieri con lavoro schiavistico)
H. ARENDT, Le origini del totalitarismo
(Analisi del nazifascismo, dello stalinismo e dell'imperialismo)
T. TODOROV, Di fronte all’estremo
(La morale e l’etica in rapporto al campo di concentramento)
A. GLUCKSMANN, La cuoca e il mangiatore di uomini
(Negli anni settanta, e dunque mentre i PC europei non hanno ancora fatto i conti con il gulag e con lo stalinismo, accontentandosi del krusciovismo e dell’eurocomunismo, in Francia, i nuovi filosofi, denunciano, sulla scorta dei libri di Solzenicyn, la mostruosità del Gulag staliniano)
B. LEVY, La barbarie dal volto umano
(Il capitalismo mischiato al comunismo per realizzare una società totalitaria. Assieme a Glucksmann questo filosofo francese scuote le coscienze di molti militanti comunisti o dell’estrema sinistra)
F. UHLMANN, L’amico ritrovato
(La storia di un’amicizia, nella Germania degli anni trenta, tra il ragazzo ebreo Hans e il nobile Konradin, che verrà distrutta dall’avvento al potere del nazismo e ritrovata solo molti anni più tardi in modo del tutto imprevedibile)
J. OBERSKI, Anni d’infanzia; Un bambino nei lager
(La tragica esperienza di un bambino ebreo deportato insieme ai genitori in un campo di concentramento)
P. LEVI, Se questo è un uomo; La tregua
(L’autore, sopravvissuto al lager nazista, racconta la propria terribile esperienza nel campo di Auschwitz e la successiva, avventurosa, liberazione)
C. LEVI, Cristo si è fermato a Eboli
(Il racconto del confino subito dall’autore, per attività antifasciste, negli anni trenta, in un piccolo paese della Lucania)
E. VITTORINI, Garofano Rosso
(L’adolescenza di uno studente nel ventennio e nei suoi miti)
E. VITTORINI, Conversazione in Sicilia
(La presa di coscienza antifascista dopo la Guerra di Spagna)


Seconda Guerra Mondiale

M. RIGONI STERN, Il sergente nella neve
G. BEDESCHI, Centomila gavette di ghiaccio
(Le sofferenze degli alpini italiani durante la campagna di Russia)
I. CALVINO, Il sentiero dei nidi di ragno
(Il racconto dell’esperienza della guerra e della Resistenza)
B. FENOGLIO, Primavera di bellezza; I ventitré giorni della città di Alba; Il partigiano Johnny, Una questione privata
(Il mondo contadino e partigiano della Langhe e uno scrittore fra i più geniali della nostra letteratura)
C. CASSOLA, La ragazza di Bube
(Le vicende di Bube, ex partigiano, in Toscana nell’immediato dopoguerra)
G: PESCE, Senza tregua
(La lotta dei GAP partigiani contro i fascisti e i nazisti nell’Italia occupata)
G. RIMANELLI
(Aderente alla Repubblica Salò, repubblichino, racconta lo scontro con i partigiani dal punto di vista delle camicie nere)
C. MAZZANTINI, A cercar la bella morte
(L’adesione di un giovane alle ultime vicende del fascismo mussoliniano alleato dei tedeschi contro gli anglo-americani e i partigiani)
F. VENE’, Coprifuoco
(La vita degli italiani, della gente comune, nei drammatici anni che vanno dalla caduta del fascismo, luglio ’43, al 25 aprile 1945)
L. PRETI, Giovinezza, giovinezza
(L’esaltazione, nei GUF universitari fascisti, di un giovane e poi la delusione e lo sconcerto per la realtà meschina e ottusa del regime)
A. MORAVIA, La ciociara
(La vita difficile drammaticae della popolazione civile durante l’occupazione tedesca e l’avanzata degli Alleati)
C.PAVESE, La casa in collina
(una storia individuale, il soggiorno in una casa di campagna e, sullo sfondo, il dramma della guerra)
R. VIGANO’, L’Agnese va a morire
(la storia di una donna durante la Resistenza)
E.VITTORINI, Uomini e no
(la guerra partigiana a Milano, la rivendicazione del diritto a resistere all’oppressione fascista)
E.MORANTE, La Storia
(In un arco di tempo che va dal 1941 al 1947 la difficile vita di una donna e del figlio nato durante la guerra)
N. BORSETTI, La mia resistenza non armata
(Un ufficiale degli alpini che racconta e disegna la detenzione nei lager nazisti)
J. HELLER, Comma 22
(La seconda guerra mondiale vista in chiave grottesca)
J. LE CARRÈ, Fine della corsa; La casa Russia; La spia perfetta; La spia che venne dal freddo
(Romanzi di spionaggio che hanno come contesto la situazione di forte tensione tra i due blocchi negli anni successivi alla II guerra mondiale)
J. ROTH, La cripta dei cappuccini; Fuga senza fine, Il profeta muto
(Tre grandi romanzi sull’avvento del nazismo e le contraddizioni della Rivoluzione Russa)


IL TOTALITARISMO NELL'ANALISI DI HANNAH ARENDT

Come molte altre opere di grandi autori, anche Le origini del totalitarismo della Arendt è comparsa in un momento politico-culturale (1951), data centrale della guerra fredda che ne ha reso quasi obbligatoriamente unilaterali la lettura e l'interpretazione. L'assimilazione di nazismo e stalinismo, infatti, impedì allora una lettura serena dell'opera da parte dell'intellettualità di sinistra, per la quale la Arendt per molti anni sarebbe rimasta l'esponente di un pensiero politico liberale e neo-conservatore. In realtà le preferenze politiche della Arendt andavano ad un tipo di società socialista vicina alle idee della Luxemburg e alle tematiche consiliari, come sarebbe stato evidente qualche anno dopo. L'opera, grande anche nel senso della voluminosità (circa 700 pagine), individua i caratteri specifici del totalitarismo dopo averne riscontrato le premesse nell'antisemitismo (studiato nel periodo fra Otto e Novecento, specialmente in Francia con l'“affaire Dreyfus”) e nell'imperialismo, temi ai quali sono dedicati i due terzi dell'opera. Dal confluire delle conseguenze dell'antisemitismo e dell'imperialismo in un preciso momento storico (la crisi successiva alla prima guerra mondiale) è nato il totalitarismo, con caratteri comuni sia nella Germania nazista sia nell'Unione sovietica stalinista (del tutto marginale è l'attenzione rivolta al fascismo italiano). Il totalitarismo è un fatto nuovo del nostro secolo, non assimilabile o riducibile, secondo la Arendt, ai tradizionali regimi tirannici o dittatoriali. Esso nasce dal tramonto della società classista, nel senso che l'organizzazione delle singole classi lascia il posto ad un indifferenziato raggrupparsi nelle masse, verso le quali operano ristretti gruppi di élites, portatori delle tendenze totalitarie. Tali tendenze, dopo la vittoria politica sulle vecchie rappresentanze di classe, realizzano il regime totalitario, che ha i suoi pilastri e nell'apparato statale, nella polizia segreta e nei campi di concentramento nei quali si rinchiudono e si annientano gli oppositori trasformati in nemici. Attraverso l'imposizione di una ideologia (razzismo, nazionalsocialismo, comunismo) e il terrore, il totalitarismo, identifica se stesso con la natura, con la storia, e tende ad affermarsi all'esterno con la guerra.
Nulla di simile era apparso prima: il totalitarismo è un fenomeno «essenzialmente diverso da altre forme conosciute di oppressione politica come il dispotismo, la tirannide e la dittatura. Dovunque é giunto al potere, esso ha creato istituzioni assolutamente nuove e distrutto tutte le tradizioni sociali, giuridiche e politiche del paese. A prescindere dalla specifica matrice nazionale e dalla particolare fonte ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico ma con un movimento di massa, trasferito il centro del potere dall'esercito alla polizia e perseguito una politica estera apertamente diretta al dominio del mondo». La Arendt accentua, nelle pagine di considerazione teorica che concludono l'opera, il ruolo nuovo svolto dalle ideologie, unite al terrore, nei regimi totalitari. Le ideologie, con logica stringente, impongono una visione del mondo in cui le idee incarnate nel regime totalitario vengono imposte come direttrici di un cammino fatale, inevitabile, naturale e storico insieme.
In un regime totalitario l'ideologia «è la logica di un'idea. La sua materia è la storia a cui l'idea è applicata, il risultato di tale applicazione non è un complesso di affermazioni su qualcosa che é, bensì lo svolgimento di un processo che muta di continuo. L'ideologia tratta il corso degli avvenimenti come se seguisse la stessa legge dell'esposizione logica della sua idea. Essa pretende di conoscere i misteri dell'intero processo storico - i segreti del passato, l'intrico del presente, le incertezze del futuro - in virtù della logica inerente alla sua idea». La Arendt si pone, alla fine, una domanda: «quale esperienza di base nella convivenza umana permea una forma di governo che ha la sua essenza nel terrore e il suo principio d'azione nella logicità del pensiero ideologico?». La risposta viene data individuando tale esperienza di base nell'isolamento dei singoli nella sfera politica, corrispondente alla estraniazione nella sfera dei rapporti sociali. Quest'ultima, in sostanza, sta alla base dell'isolamento sul piano politico, e quindi costituisce la condizione generale dell'origine del totalitarismo. «Estraniazione, che é il terreno comune del terrore, l'essenza del regime totalitario e, per l'ideologia, la preparazione degli esecutori e delle vittime, é strettamente connessa allo sradicamento e alla superfluità che dopo essere stati la maledizione delle masse moderne fin dall'inizio della rivoluzione industriale, si sono aggravati col sorgere dell'imperialismo alla fine del secolo scorso e con lo sfascio delle istituzioni politiche e delle tradizioni sociali nella nostra epoca. Essere sradicati significa non avere un posto riconosciuto e garantito dagli altri; essere superflui significa non appartenere al mondo " . E ancora: " quel che prepara così bene gli uomini moderni al dominio totalitario é estraniazione che da esperienza al limite, usualmente subita in certe condizioni sociali marginali come la vecchiaia, é diventata un'esperienza quotidiana delle masse crescenti nel nostro secolo. L'inesorabile processo in cui il totalitarismo inserisce le masse da esso organizzate appare come un'evasione suicida da questa realtà».
Risuonano in questi passi gli echi di un pessimismo ebraico che negli anni '30 e '40 trovava manifestazione filosofica con tematiche non molto dissimili, in Benjamin, in Horkheimer e in Adorno. Le tesi della Arendt, come quelle dei suoi amici appena citati, avranno ampia diffusione, ma verranno anche ampiamente discusse nel dibattito teorico che ha impegnato nei successivi decenni i pensatori politici europei e statunitensi. Arendt si considerava una scopritrice di problemi attuali, ma i tre elementi (antisemitismo, imperialismo e razzismo) in cui condensava la sua analisi, erano ciascuno espressione di un problema, o di un insieme di problemi, per i quali era stato il nazismo ad offrire, quando essi si erano "cristallizzati", una "soluzione" tremenda. Così, l'alternativa metodologica scelta da Arendt fu quella di individuare gli elementi principali del nazismo, risalire alle loro origini, e scoprire i problemi politici reali alla loro base, " scopo del libro non è dare delle risposte, bensì preparare il terreno ". Arendt presenta gli elementi del nazismo e i problemi politici che ne stavano alla base. L'imperialismo, quello che ha raggiunto il suo pieno sviluppo, cioè il totalitarismo, è visto come una "amalgama" di certi elementi presenti in tutte le situazioni politiche del tempo. Questi elementi sono l'antisemitismo, il decadimento dello stato nazionale, il razzismo, l'espansionismo fine a sé stesso e l'alleanza fra il capitale e le masse.
«Dietro ciascuno di questi elementi si nasconde un problema irreale e irrisolto: dietro l'antisemitismo, la questione ebraica; dietro il decadimento dello Stato nazionale, il problema irrisolto di una nuova organizzazione dei popoli; dietro il razzismo, il problema irrisolto di una nuova concezione del genere umano; dietro l'espansionismo fine a sé stesso, il problema irrisolto di riorganizzare un mondo che diventa sempre più piccolo, e che siamo costretti a dividere con popoli la cui storia e le cui tradizioni sono estranee al mondo occidentale. La grande attrazione esercitata dal totalitarismo si fondava sulla convinzione diffusa, e spesso consapevole, che esso fosse in grado di dare una risposta a tali problemi, e potesse quindi adempiere ai compiti della nostra epoca».
In una serie di lezioni tenute nel 1954 alla "New School for Social Research" di New York, Arendt chiarisce l'immagine della "cristallizzazione", con una dichiarazione metodologica che è assente nelle stesure delle Origini del totalitarismo: «gli elementi del totalitarismo costituiscono le sue origini, purché per origini non si intenda cause. La causalità, cioè il fattore di determinazione di un processo di eventi, in cui un evento sempre ne causa un altro e da esso può essere spiegato, è probabilmente una categoria totalmente estranea e aberrante nel regno delle scienze storiche e politiche. […] Gli elementi divengono l'origine di un evento se e quando si cristallizzano in forme fisse e definite. Allora e solo allora, sarà possibile seguire all'indietro la loro storia. L'evento illumina il suo stesso passato, ma non può mai essere dedotto da esso».

GLI ELEMENTI DEL TOTALITARISMO

Secondo H. Arendt, quindi, il totalitarismo è composto da "elementi" che si sono sviluppati precedentemente e si sono "cristallizzati" in un nuovo fenomeno dopo la prima guerra mondiale. Questi elementi forniscono la struttura nascosta del totalitarismo. L'impulso all'espansione senza limiti era nelle sue origini un fenomeno economico, qualcosa di inerente all'avanzata del capitalismo. Il capitalismo era impegnato nella trasformazione della proprietà da stabile, fissa, in una ricchezza mobile; la conseguenza fondamentale di questo processo fu quella di generare sempre più ricchezza in un processo senza fine. Fino a che questo rimase un fenomeno puramente economico esso era sì distruttivo, ma non catastrofico. Il pericolo diventò «la trasformazione di pratiche economiche in un nuovo tipo di politica della competizione assassina e dell'espansione senza limiti». Il significato dell'era imperialista per Arendt è che l'imperativo di espandersi uscì dalla logica economica e prese forza nelle istituzioni politiche. Lo stato-nazione fu fortemente messo in crisi dall'imperialismo. Dove l'imperialismo dà spazio alle forze incontrollabili dell'espansione e della conquista, lo stato-nazione è un'istituzione creata da individui, una struttura civilizzata che fornisce un ordine legale e garantisce diritti, tramite i quali l'individuo può essere legislatore e cittadino. C'è una profonda tensione tra la nozione di stato come garante di diritti, e l'idea della nazione come una comunità esclusiva. Fin dalla nascita dello stato-nazione questo fatto creò difficoltà per gli ebrei: infatti, l'ideale dei diritti umani non divenne fondamentale se non dopo la prima guerra mondiale, e le conseguenze di essa sulle minoranze nazionali e le persone senza patria (displaced persons).
Il capitolo delle "Origini" sul declino dello stato nazione, spiega perché ci furono così pochi ostacoli al massacro degli ebrei, e dimostra la necessità di costruire un nuovo ordine politico che non possa abolire diritti civili e politici per un gruppo di persone. Quello che il destino delle persone senza patria ha dimostrato, così sostiene Arendt, è che i diritti umani universali che sembravano appartenere agli individui, potevano solo essere reclamati da cittadini di uno stato. Pertanto, per chi era fuori da questa categoria, i diritti inalienabili della persona erano senza significato. Ne sono un esempio gli ebrei che, non avendo uno stato in cui identificarsi come popolo, ed un territorio definito in cui poter vivere, sono stati privati, come apolidi, del diritto di cittadinanza, e con esso di una tutela giuridica come soggetti di personalità. Il problema non era quello di godere di un'eguaglianza di fatto davanti alla legge come persone, ma la negazione del fondamentale diritto umano e cioè il "diritto di avere diritti", che significa il diritto di appartenere ad una comunità politica. Arendt sottolinea che il razzismo non è una forma di nazionalismo, ma, è in diversi modi, il suo opposto. Il nazionalismo genuino è strettamente legato ad uno specifico territorio e una cultura, e quindi alle azioni e traguardi raggiunti da particolari esseri umani. La razza, al contrario, è un criterio biologico, determinato dal territorio e dalla cultura, e si riferisce a caratteristiche naturali fisiche. Dove le persone sono identificate per i loro caratteri razziali innati, le differenze individuali e la responsabilità individuale diventano irrilevanti: una persona semplicemente agisce come un coro delle caratteristiche razziali di quella specie. Il determinismo razzista, con la distinzione tra razze superiori e inferiori, fornisce una perfetta giustificazione per la conquista imperialista e la sottomissione delle popolazioni native. La plebe è un precedente di quello che sarà la massa per gli ebrei nel totalitarismo: i suoi rappresentanti sono "senza mondo" perché hanno perso uno spazio stabile di riferimento, una identità, non hanno aspettative da condividere con altri, non hanno prospettiva per guardare il mondo, sono esposti alla manipolazione ideologica, vivono in una condizione di sradicamento. L'alleanza tra il capitale e la plebe dimostra che il sottoproletariato può essere facilmente reclutato per commettere atrocità (Arendt prende come riferimento la descrizione di Conrad in Cuore di tenebra): la plebe era costituita dagli «scarti di tutte le classi e tutti gli strati», erano avventurieri e cercatori d'oro asserviti dall'imperialismo, «scaraventati fuori dalla società», non credevano in nulla, potevano anzi indursi a credere a ogni cosa, a qualsiasi cosa. L'irresponsabilità di questo nuovo strato e la corrispondente ritirata su tutte le questioni morali, andava di pari passo con la possibilità della trasformazione della democrazia borghese in un dispotismo: infatti la plebe era un prodotto diretto della società borghese e quindi non separabile da essa. La spregiudicata politica di potenza poté essere attuata solo con l'aiuto di una massa di persone prive di principi morali e perfettamente manipolabili. Nel mondo irreale dell'Africa Nera non si assassinava un individuo se si uccideva un indigeno, ma un sub-umano, una larva che suscitava solo il dubbio di appartenere alla stessa comunità umana. Qui il riferimento alla Shoah è evidente: dove la plebe è servita all'imperialismo per la sua brama di conquista, così la massa è servita al totalitarismo per i suoi obiettivi di distruzione degli ebrei. Arendt sostiene che l'antisemitismo venne usato dal regime nazista come un "amalgamatore" per la costruzione del totalitarismo, perché esso era legato ad ognuno degli elementi che aveva identificato.
La plebe, che odiava la società, alla quale non apparteneva più, poté essere facilmente condotta a provare ostilità nei confronti di un gruppo come gli ebrei che era metà fuori e metà dentro la società. L'ideologia razzista, in nome della quale i movimenti totalitari erano mobilitati, aveva bisogno di un equivalente in Europa dei nativi d'Africa, e gli ebrei erano adatti a tale ruolo. I movimenti totalitari avevano bisogno di demolire le mura vacillanti dello stato-nazione per edificare nuovi imperi. Gli ebrei, che avevano consolidato una loro identità senza territorio e uno stato, apparvero come le uniche persone che, apparentemente, erano già organizzate come un corpo politico razziale. Gli ebrei si erano disinteressati alla politica e al potere politico, e questo disinteresse per la politica li aveva portati a non capire il pericolo enorme che costituiva per loro l'antisemitismo moderno, e la forza distruttiva che esso veicolava. Gli ebrei scambiarono a torto questo antisemitismo, che aveva radici economiche, politiche, sociali, religiose e psicologiche, con il vecchio odio che dall'antichità aveva generato i pogrom. Nessuno comprese che il problema a questo punto era di tipo politico. Solo l'uguaglianza giuridica e politica protegge gli individui e le nazionalità da discriminazioni e persecuzioni. Promulgando le leggi razziali di Norimberga, i nazisti crearono una "razza" perché crearono un gruppo d'uomini privi di diritti e differenti sul piano giuridico. L'antisemitismo del Novecento ha sostituito all'odio religioso di altri tempi il rifiuto della differenza, il rifiuto di accordare il rispetto all'altro per le sue stesse caratteristiche. E tale rifiuto si maschera dietro il rispetto della normalità, dietro il conformismo, ma può arrivare fino al caso estremo della difesa biologica della razza.


                     

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