Hannah Arendt
HELP TESINE PER GLI STUDENTI
CHE HANNO L'ESAME
(Prima parte)
Nell’anno scolastico
2001-2002, all’ITCG-Liceo di Chiavenna, all’interno del “Progetto Biblioteca”
indetto dal Ministero dell'Istruzione (e fu per me una grande soddisfazione
vincere il premio per la mia scuola di svariati milioni) tenni una serie di conferenze
preparatorie per gli Esami di Stato, poi raccolte in dispense. Qui ripubblico,
per studenti e navigatori, quella dedicata al Totalitarismo che ampliava, nei
richiami alla letteratura, la mia tesi per l’abilitazione in Filosofia e Storia
conseguita dopo quella per l’insegnamento della Letteratura italiana. (Claudio Di Scalzo)
TOTALITARISMO E TOTALITARISMI
1
ORIGINE DEL TERMINE.
TOTALITARISMO SECONDO H. ARENDT -
BIBLIOGRAFIA
Il termine “totalitarismo” fu
coniato in Italia nel maggio 1923, e venne inizialmente usato nell'agone
politico dagli antifascisti. Anche Mussolini lo utilizzò, ma in senso
esattamente opposto, nel giugno del 1925 quando parlò della “fiera volontà
totalitaria del suo movimento”.
Il termine “totalitarismo”
sembra che sia stato usato come etichetta per accomunare stati fascisti e
comunisti in Inghilterra nel 1929, anche se parecchi anni prima Nitti e altri
esponenti politici italiani avevano già proposto confronti tra fascismo e
bolscevismo. Negli anni Trenta e Quaranta il concetto fu utilizzato da
importanti intellettuali di sinistra (Borkenau, Lowenthal, Neumann) per
spiegare quello che per loro era il carattere peculiare del fascismo (o del
nazismo). Mancava però in questi autori ogni comparazione fascismo-comunismo.
Il termine comincia a essere
usato come categoria storiografica dopo la pubblicazione del saggio della
Arendt, Le origini del totalitarismo (1951). Secondo la Arendt il totalitarismo
fu un fenomeno complesso che caratterizzò alcuni regimi come quello
fascista/nazista e quello stalinista. Hannah Arendt, e questo spesso viene
taciuto da chi ne usa le riflessioni, analizzò anche l'imperialismo, frutto
delle società liberali.
Uno stato totalitario è uno
stato in cui il potere è nelle mani di un partito unico che si identifica con
le principali istituzioni. Non esiste una separazione tra privato e pubblico e
lo stato ritiene proprio compito occupare interamente la vita del singolo.
Intorno alla questione del
totalitarismo si è aperto un dibattito che è ancora in corso. Esso vede
schierati da una parte gli storici che giudicano fascismo/nazismo e stalinismo
come perfettamente equivalenti, dall’altra gli storici che invece tendono a
fare distinzioni di base tra i due tipi di regime.
TOTALITARISMO. SINTETICA
BIBLIOGRAFIA
Romanzi e poemi che narrano il
fascismo e il comunismo
T. MORE, Utopia
(L’archetipo assoluto di
progettazione di una società ugualitaria)
G. ORWELL, La fattoria degli
animali
(un racconto allegorico, sotto
forma di favola, della rivoluzione d’ottobre in Russia, nel quale gli animali,
che si erano ribellati al potere oppressivo degli uomini, finiscono col
riprodurlo in forma ancora più spietata)
G. ORWELL, Omaggio alla
Catalogna
(La Guerra civile Spagnola,
1936,1937, Barcellona, assedio di Huesca. Le divisioni nel campo antifascista,
la pratica dei comunisti staliniani repressiva dei comunisti staliniani contro
anarchici e trotschisti)
G. ORWELL, 1984
(Il potere dei media per
realizzare lo stato totalitario)
A. HUXELEY, Il Nuovo Mondo
(Il controllo delle scoperte
scientifiche per plasmare le coscienze individuali)
A. KOESTLER, Buio a
Mezzogiorno
(I processi staliniani contro
la vecchia guardia leninista nella Russia degli anni trenta. Il partito come
incarnazione della Storia. L’estorsione delle confessioni con la tortura fisica
e psicologica) V. SERGE, È mezzanotte sul secolo
(Urss anni trenta.
L’opposizione comunista, in genere trotschista, a Stalin)
V. SERGE, Il caso Tulaev
(Romanzo che ripropone il caso
Kirov. Dirigente amato del partito bolscevico russo che viene ucciso su ordine
di Stalin. Lo scopo del potere è quello di darne la colpa all’opposizione
comunista che osteggia la politica staliniana)
V. MAJAKOVSKIJ, Lenin
(Poema celebrativo, ma anche
estremamente sperimentale, del protagonista dei primi anni della Rivoluzione
russa)
I. BABEL, L’armata a cavallo
(Le violenze e le crudeltà
della guerra civile combattuta dopo la Rivoluzione d’ottobre)
M. BULGAKOV, Il Maestro e
Margherita
(Romanzo molto complesso,
ricco di temi, tra i quali trova spazio anche una satira sulla società
sovietica nella Mosca degli anni ’20)
B. PASTERNAK, Il dottor Zivago
(Il dottor Zivago, reduce
della I guerra mondiale, è coinvolto negli avvenimenti della rivoluzione e
della guerra civile)
A. SOLZENICYN, Reparto C;
Divisione Cancro; Arcipelago Gulag
(La testimonianza di uno
scrittore, premio Nobel per la letteratura, vittima del potere e del terrore
stalinista)
V. SALAMOV, I racconti della
Kolyma
(Il campo di concentramento,
Gulag, dove vengono distrutti gli oppositori del sistema staliniano. Il Gulag
come industria che sfrutta i prigionieri con lavoro schiavistico)
H. ARENDT, Le origini del
totalitarismo
(Analisi del nazifascismo,
dello stalinismo e dell'imperialismo)
T. TODOROV, Di fronte
all’estremo
(La morale e l’etica in
rapporto al campo di concentramento)
A. GLUCKSMANN, La cuoca e il
mangiatore di uomini
(Negli anni settanta, e dunque
mentre i PC europei non hanno ancora fatto i conti con il gulag e con lo
stalinismo, accontentandosi del krusciovismo e dell’eurocomunismo, in Francia,
i nuovi filosofi, denunciano, sulla scorta dei libri di Solzenicyn, la
mostruosità del Gulag staliniano)
B. LEVY, La barbarie dal volto
umano
(Il capitalismo mischiato al
comunismo per realizzare una società totalitaria. Assieme a Glucksmann questo
filosofo francese scuote le coscienze di molti militanti comunisti o
dell’estrema sinistra)
F. UHLMANN, L’amico ritrovato
(La storia di un’amicizia,
nella Germania degli anni trenta, tra il ragazzo ebreo Hans e il nobile
Konradin, che verrà distrutta dall’avvento al potere del nazismo e ritrovata
solo molti anni più tardi in modo del tutto imprevedibile)
J. OBERSKI, Anni d’infanzia;
Un bambino nei lager
(La tragica esperienza di un
bambino ebreo deportato insieme ai genitori in un campo di concentramento)
P. LEVI, Se questo è un uomo;
La tregua
(L’autore, sopravvissuto al
lager nazista, racconta la propria terribile esperienza nel campo di Auschwitz
e la successiva, avventurosa, liberazione)
C. LEVI, Cristo si è fermato a
Eboli
(Il racconto del confino
subito dall’autore, per attività antifasciste, negli anni trenta, in un piccolo
paese della Lucania)
E. VITTORINI, Garofano Rosso
(L’adolescenza di uno studente
nel ventennio e nei suoi miti)
E. VITTORINI, Conversazione in
Sicilia
(La presa di coscienza
antifascista dopo la Guerra di Spagna)
Seconda Guerra Mondiale
M. RIGONI STERN, Il sergente
nella neve
G. BEDESCHI, Centomila gavette
di ghiaccio
(Le sofferenze degli alpini
italiani durante la campagna di Russia)
I. CALVINO, Il sentiero dei
nidi di ragno
(Il racconto dell’esperienza
della guerra e della Resistenza)
B. FENOGLIO, Primavera di
bellezza; I ventitré giorni della città di Alba; Il partigiano Johnny, Una
questione privata
(Il mondo contadino e
partigiano della Langhe e uno scrittore fra i più geniali della nostra
letteratura)
C. CASSOLA, La ragazza di Bube
(Le vicende di Bube, ex
partigiano, in Toscana nell’immediato dopoguerra)
G: PESCE, Senza tregua
(La lotta dei GAP partigiani
contro i fascisti e i nazisti nell’Italia occupata)
G. RIMANELLI
(Aderente alla Repubblica
Salò, repubblichino, racconta lo scontro con i partigiani dal punto di vista
delle camicie nere)
C. MAZZANTINI, A cercar la
bella morte
(L’adesione di un giovane alle
ultime vicende del fascismo mussoliniano alleato dei tedeschi contro gli
anglo-americani e i partigiani)
F. VENE’, Coprifuoco
(La vita degli italiani, della
gente comune, nei drammatici anni che vanno dalla caduta del fascismo, luglio
’43, al 25 aprile 1945)
L. PRETI, Giovinezza,
giovinezza
(L’esaltazione, nei GUF
universitari fascisti, di un giovane e poi la delusione e lo sconcerto per la
realtà meschina e ottusa del regime)
A. MORAVIA, La ciociara
(La vita difficile drammaticae
della popolazione civile durante l’occupazione tedesca e l’avanzata degli
Alleati)
C.PAVESE, La casa in collina
(una storia individuale, il
soggiorno in una casa di campagna e, sullo sfondo, il dramma della guerra)
R. VIGANO’, L’Agnese va a
morire
(la storia di una donna
durante la Resistenza)
E.VITTORINI, Uomini e no
(la guerra partigiana a
Milano, la rivendicazione del diritto a resistere all’oppressione fascista)
E.MORANTE, La Storia
(In un arco di tempo che va
dal 1941 al 1947 la difficile vita di una donna e del figlio nato durante la
guerra)
N. BORSETTI, La mia resistenza
non armata
(Un ufficiale degli alpini che
racconta e disegna la detenzione nei lager nazisti)
J. HELLER, Comma 22
(La seconda guerra mondiale
vista in chiave grottesca)
J. LE CARRÈ, Fine della corsa;
La casa Russia; La spia perfetta; La spia che venne dal freddo
(Romanzi di spionaggio che
hanno come contesto la situazione di forte tensione tra i due blocchi negli
anni successivi alla II guerra mondiale)
J. ROTH, La cripta dei
cappuccini; Fuga senza fine, Il profeta muto
(Tre grandi romanzi
sull’avvento del nazismo e le contraddizioni della Rivoluzione Russa)
IL TOTALITARISMO NELL'ANALISI
DI HANNAH ARENDT
Come molte altre opere di
grandi autori, anche Le origini del totalitarismo della Arendt è comparsa in un
momento politico-culturale (1951), data centrale della guerra fredda che ne ha
reso quasi obbligatoriamente unilaterali la lettura e l'interpretazione.
L'assimilazione di nazismo e stalinismo, infatti, impedì allora una lettura
serena dell'opera da parte dell'intellettualità di sinistra, per la quale la
Arendt per molti anni sarebbe rimasta l'esponente di un pensiero politico
liberale e neo-conservatore. In realtà le preferenze politiche della Arendt
andavano ad un tipo di società socialista vicina alle idee della Luxemburg e
alle tematiche consiliari, come sarebbe stato evidente qualche anno dopo.
L'opera, grande anche nel senso della voluminosità (circa 700 pagine),
individua i caratteri specifici del totalitarismo dopo averne riscontrato le
premesse nell'antisemitismo (studiato nel periodo fra Otto e Novecento,
specialmente in Francia con l'“affaire Dreyfus”) e nell'imperialismo, temi ai
quali sono dedicati i due terzi dell'opera. Dal confluire delle conseguenze
dell'antisemitismo e dell'imperialismo in un preciso momento storico (la crisi
successiva alla prima guerra mondiale) è nato il totalitarismo, con caratteri
comuni sia nella Germania nazista sia nell'Unione sovietica stalinista (del
tutto marginale è l'attenzione rivolta al fascismo italiano). Il totalitarismo
è un fatto nuovo del nostro secolo, non assimilabile o riducibile, secondo la
Arendt, ai tradizionali regimi tirannici o dittatoriali. Esso nasce dal
tramonto della società classista, nel senso che l'organizzazione delle singole
classi lascia il posto ad un indifferenziato raggrupparsi nelle masse, verso le
quali operano ristretti gruppi di élites, portatori delle tendenze totalitarie.
Tali tendenze, dopo la vittoria politica sulle vecchie rappresentanze di
classe, realizzano il regime totalitario, che ha i suoi pilastri e
nell'apparato statale, nella polizia segreta e nei campi di concentramento nei
quali si rinchiudono e si annientano gli oppositori trasformati in nemici.
Attraverso l'imposizione di una ideologia (razzismo, nazionalsocialismo,
comunismo) e il terrore, il totalitarismo, identifica se stesso con la natura,
con la storia, e tende ad affermarsi all'esterno con la guerra.
Nulla di simile era apparso
prima: il totalitarismo è un fenomeno «essenzialmente diverso da altre forme
conosciute di oppressione politica come il dispotismo, la tirannide e la
dittatura. Dovunque é giunto al potere, esso ha creato istituzioni
assolutamente nuove e distrutto tutte le tradizioni sociali, giuridiche e
politiche del paese. A prescindere dalla specifica matrice nazionale e dalla
particolare fonte ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il
sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico ma con un movimento
di massa, trasferito il centro del potere dall'esercito alla polizia e
perseguito una politica estera apertamente diretta al dominio del mondo». La
Arendt accentua, nelle pagine di considerazione teorica che concludono l'opera,
il ruolo nuovo svolto dalle ideologie, unite al terrore, nei regimi totalitari.
Le ideologie, con logica stringente, impongono una visione del mondo in cui le
idee incarnate nel regime totalitario vengono imposte come direttrici di un
cammino fatale, inevitabile, naturale e storico insieme.
In un regime totalitario
l'ideologia «è la logica di un'idea. La sua materia è la storia a cui l'idea è
applicata, il risultato di tale applicazione non è un complesso di affermazioni
su qualcosa che é, bensì lo svolgimento di un processo che muta di continuo.
L'ideologia tratta il corso degli avvenimenti come se seguisse la stessa legge
dell'esposizione logica della sua idea. Essa pretende di conoscere i misteri
dell'intero processo storico - i segreti del passato, l'intrico del presente,
le incertezze del futuro - in virtù della logica inerente alla sua idea». La
Arendt si pone, alla fine, una domanda: «quale esperienza di base nella
convivenza umana permea una forma di governo che ha la sua essenza nel terrore
e il suo principio d'azione nella logicità del pensiero ideologico?». La
risposta viene data individuando tale esperienza di base nell'isolamento dei
singoli nella sfera politica, corrispondente alla estraniazione nella sfera dei
rapporti sociali. Quest'ultima, in sostanza, sta alla base dell'isolamento sul
piano politico, e quindi costituisce la condizione generale dell'origine del
totalitarismo. «Estraniazione, che é il terreno comune del terrore, l'essenza
del regime totalitario e, per l'ideologia, la preparazione degli esecutori e
delle vittime, é strettamente connessa allo sradicamento e alla superfluità che
dopo essere stati la maledizione delle masse moderne fin dall'inizio della
rivoluzione industriale, si sono aggravati col sorgere dell'imperialismo alla
fine del secolo scorso e con lo sfascio delle istituzioni politiche e delle
tradizioni sociali nella nostra epoca. Essere sradicati significa non avere un
posto riconosciuto e garantito dagli altri; essere superflui significa non
appartenere al mondo " . E ancora: " quel che prepara così bene gli
uomini moderni al dominio totalitario é estraniazione che da esperienza al
limite, usualmente subita in certe condizioni sociali marginali come la
vecchiaia, é diventata un'esperienza quotidiana delle masse crescenti nel
nostro secolo. L'inesorabile processo in cui il totalitarismo inserisce le
masse da esso organizzate appare come un'evasione suicida da questa realtà».
Risuonano in questi passi gli
echi di un pessimismo ebraico che negli anni '30 e '40 trovava manifestazione
filosofica con tematiche non molto dissimili, in Benjamin, in Horkheimer e in
Adorno. Le tesi della Arendt, come quelle dei suoi amici appena citati, avranno
ampia diffusione, ma verranno anche ampiamente discusse nel dibattito teorico
che ha impegnato nei successivi decenni i pensatori politici europei e
statunitensi. Arendt si considerava una scopritrice di problemi attuali, ma i
tre elementi (antisemitismo, imperialismo e razzismo) in cui condensava la sua
analisi, erano ciascuno espressione di un problema, o di un insieme di problemi,
per i quali era stato il nazismo ad offrire, quando essi si erano
"cristallizzati", una "soluzione" tremenda. Così,
l'alternativa metodologica scelta da Arendt fu quella di individuare gli
elementi principali del nazismo, risalire alle loro origini, e scoprire i
problemi politici reali alla loro base, " scopo del libro non è dare delle
risposte, bensì preparare il terreno ". Arendt presenta gli elementi del
nazismo e i problemi politici che ne stavano alla base. L'imperialismo, quello
che ha raggiunto il suo pieno sviluppo, cioè il totalitarismo, è visto come una
"amalgama" di certi elementi presenti in tutte le situazioni
politiche del tempo. Questi elementi sono l'antisemitismo, il decadimento dello
stato nazionale, il razzismo, l'espansionismo fine a sé stesso e l'alleanza fra
il capitale e le masse.
«Dietro ciascuno di questi
elementi si nasconde un problema irreale e irrisolto: dietro l'antisemitismo,
la questione ebraica; dietro il decadimento dello Stato nazionale, il problema
irrisolto di una nuova organizzazione dei popoli; dietro il razzismo, il
problema irrisolto di una nuova concezione del genere umano; dietro
l'espansionismo fine a sé stesso, il problema irrisolto di riorganizzare un
mondo che diventa sempre più piccolo, e che siamo costretti a dividere con
popoli la cui storia e le cui tradizioni sono estranee al mondo occidentale. La
grande attrazione esercitata dal totalitarismo si fondava sulla convinzione
diffusa, e spesso consapevole, che esso fosse in grado di dare una risposta a
tali problemi, e potesse quindi adempiere ai compiti della nostra epoca».
In una serie di lezioni tenute
nel 1954 alla "New School for Social Research" di New York, Arendt
chiarisce l'immagine della "cristallizzazione", con una dichiarazione
metodologica che è assente nelle stesure delle Origini del totalitarismo: «gli
elementi del totalitarismo costituiscono le sue origini, purché per origini non
si intenda cause. La causalità, cioè il fattore di determinazione di un
processo di eventi, in cui un evento sempre ne causa un altro e da esso può
essere spiegato, è probabilmente una categoria totalmente estranea e aberrante
nel regno delle scienze storiche e politiche. […] Gli elementi divengono
l'origine di un evento se e quando si cristallizzano in forme fisse e definite.
Allora e solo allora, sarà possibile seguire all'indietro la loro storia.
L'evento illumina il suo stesso passato, ma non può mai essere dedotto da
esso».
GLI ELEMENTI DEL TOTALITARISMO
Secondo H. Arendt, quindi, il
totalitarismo è composto da "elementi" che si sono sviluppati
precedentemente e si sono "cristallizzati" in un nuovo fenomeno dopo
la prima guerra mondiale. Questi elementi forniscono la struttura nascosta del
totalitarismo. L'impulso all'espansione senza limiti era nelle sue origini un fenomeno
economico, qualcosa di inerente all'avanzata del capitalismo. Il capitalismo
era impegnato nella trasformazione della proprietà da stabile, fissa, in una
ricchezza mobile; la conseguenza fondamentale di questo processo fu quella di
generare sempre più ricchezza in un processo senza fine. Fino a che questo
rimase un fenomeno puramente economico esso era sì distruttivo, ma non
catastrofico. Il pericolo diventò «la trasformazione di pratiche economiche in
un nuovo tipo di politica della competizione assassina e dell'espansione senza
limiti». Il significato dell'era imperialista per Arendt è che l'imperativo di
espandersi uscì dalla logica economica e prese forza nelle istituzioni
politiche. Lo stato-nazione fu fortemente messo in crisi dall'imperialismo.
Dove l'imperialismo dà spazio alle forze incontrollabili dell'espansione e
della conquista, lo stato-nazione è un'istituzione creata da individui, una
struttura civilizzata che fornisce un ordine legale e garantisce diritti,
tramite i quali l'individuo può essere legislatore e cittadino. C'è una
profonda tensione tra la nozione di stato come garante di diritti, e l'idea
della nazione come una comunità esclusiva. Fin dalla nascita dello
stato-nazione questo fatto creò difficoltà per gli ebrei: infatti, l'ideale dei
diritti umani non divenne fondamentale se non dopo la prima guerra mondiale, e
le conseguenze di essa sulle minoranze nazionali e le persone senza patria
(displaced persons).
Il capitolo delle
"Origini" sul declino dello stato nazione, spiega perché ci furono
così pochi ostacoli al massacro degli ebrei, e dimostra la necessità di
costruire un nuovo ordine politico che non possa abolire diritti civili e
politici per un gruppo di persone. Quello che il destino delle persone senza
patria ha dimostrato, così sostiene Arendt, è che i diritti umani universali
che sembravano appartenere agli individui, potevano solo essere reclamati da
cittadini di uno stato. Pertanto, per chi era fuori da questa categoria, i
diritti inalienabili della persona erano senza significato. Ne sono un esempio
gli ebrei che, non avendo uno stato in cui identificarsi come popolo, ed un
territorio definito in cui poter vivere, sono stati privati, come apolidi, del
diritto di cittadinanza, e con esso di una tutela giuridica come soggetti di
personalità. Il problema non era quello di godere di un'eguaglianza di fatto
davanti alla legge come persone, ma la negazione del fondamentale diritto umano
e cioè il "diritto di avere diritti", che significa il diritto di
appartenere ad una comunità politica. Arendt sottolinea che il razzismo non è
una forma di nazionalismo, ma, è in diversi modi, il suo opposto. Il
nazionalismo genuino è strettamente legato ad uno specifico territorio e una
cultura, e quindi alle azioni e traguardi raggiunti da particolari esseri
umani. La razza, al contrario, è un criterio biologico, determinato dal
territorio e dalla cultura, e si riferisce a caratteristiche naturali fisiche.
Dove le persone sono identificate per i loro caratteri razziali innati, le
differenze individuali e la responsabilità individuale diventano irrilevanti:
una persona semplicemente agisce come un coro delle caratteristiche razziali di
quella specie. Il determinismo razzista, con la distinzione tra razze superiori
e inferiori, fornisce una perfetta giustificazione per la conquista
imperialista e la sottomissione delle popolazioni native. La plebe è un
precedente di quello che sarà la massa per gli ebrei nel totalitarismo: i suoi
rappresentanti sono "senza mondo" perché hanno perso uno spazio stabile
di riferimento, una identità, non hanno aspettative da condividere con altri,
non hanno prospettiva per guardare il mondo, sono esposti alla manipolazione
ideologica, vivono in una condizione di sradicamento. L'alleanza tra il
capitale e la plebe dimostra che il sottoproletariato può essere facilmente
reclutato per commettere atrocità (Arendt prende come riferimento la
descrizione di Conrad in Cuore di tenebra): la plebe era costituita dagli
«scarti di tutte le classi e tutti gli strati», erano avventurieri e cercatori
d'oro asserviti dall'imperialismo, «scaraventati fuori dalla società», non
credevano in nulla, potevano anzi indursi a credere a ogni cosa, a qualsiasi
cosa. L'irresponsabilità di questo nuovo strato e la corrispondente ritirata su
tutte le questioni morali, andava di pari passo con la possibilità della
trasformazione della democrazia borghese in un dispotismo: infatti la plebe era
un prodotto diretto della società borghese e quindi non separabile da essa. La
spregiudicata politica di potenza poté essere attuata solo con l'aiuto di una
massa di persone prive di principi morali e perfettamente manipolabili. Nel
mondo irreale dell'Africa Nera non si assassinava un individuo se si uccideva
un indigeno, ma un sub-umano, una larva che suscitava solo il dubbio di
appartenere alla stessa comunità umana. Qui il riferimento alla Shoah è
evidente: dove la plebe è servita all'imperialismo per la sua brama di
conquista, così la massa è servita al totalitarismo per i suoi obiettivi di
distruzione degli ebrei. Arendt sostiene che l'antisemitismo venne usato dal
regime nazista come un "amalgamatore" per la costruzione del
totalitarismo, perché esso era legato ad ognuno degli elementi che aveva
identificato.
La plebe, che odiava la
società, alla quale non apparteneva più, poté essere facilmente condotta a
provare ostilità nei confronti di un gruppo come gli ebrei che era metà fuori e
metà dentro la società. L'ideologia razzista, in nome della quale i movimenti
totalitari erano mobilitati, aveva bisogno di un equivalente in Europa dei
nativi d'Africa, e gli ebrei erano adatti a tale ruolo. I movimenti totalitari
avevano bisogno di demolire le mura vacillanti dello stato-nazione per
edificare nuovi imperi. Gli ebrei, che avevano consolidato una loro identità senza
territorio e uno stato, apparvero come le uniche persone che, apparentemente,
erano già organizzate come un corpo politico razziale. Gli ebrei si erano
disinteressati alla politica e al potere politico, e questo disinteresse per la
politica li aveva portati a non capire il pericolo enorme che costituiva per
loro l'antisemitismo moderno, e la forza distruttiva che esso veicolava. Gli
ebrei scambiarono a torto questo antisemitismo, che aveva radici economiche,
politiche, sociali, religiose e psicologiche, con il vecchio odio che
dall'antichità aveva generato i pogrom. Nessuno comprese che il problema a
questo punto era di tipo politico. Solo l'uguaglianza giuridica e politica
protegge gli individui e le nazionalità da discriminazioni e persecuzioni. Promulgando
le leggi razziali di Norimberga, i nazisti crearono una "razza"
perché crearono un gruppo d'uomini privi di diritti e differenti sul piano
giuridico. L'antisemitismo del Novecento ha sostituito all'odio religioso di
altri tempi il rifiuto della differenza, il rifiuto di accordare il rispetto
all'altro per le sue stesse caratteristiche. E tale rifiuto si maschera dietro
il rispetto della normalità, dietro il conformismo, ma può arrivare fino al
caso estremo della difesa biologica della razza.
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