Luigi Pirandello
VITA CON PERCORSO LETTERARIO
Di origini borghesi, dopo aver
frequentato le università di Palermo e Roma, Luigi Pirandello (Agrigento, 1867
- Roma, 1936), completò gli studi a Bonn, in Germania. Stabilitosi a Roma e
sposata una conterranea proprietaria di alcune zolfare, fu introdotto nell’ambiente
letterario romano da Luigi Capuana. Pirandello aveva già esordito come poeta,
ma a questo punto si avviò alla narrativa con alcuni romanzi di impianto ancora
verista, nei quali però affioravano già quei motivi originali che egli avrebbe
sviluppato nei romanzi successivi e nel teatro. La prima opera importante è del
1904: il romanzo Il fu Mania Pascal. In quel tempo lo scrittore era già
travagliato da gravi problemi economici e familiari: era avvenuto un tracollo
economico, in seguito al quale la moglie aveva cominciato a dare segni di
squilibrio mentale. Divenuto insegnante e collaboratore di vari giornali,
Pirandello continuò l’attività letteraria, scrivendo dapprima drammi in
dialetto siciliano e quindi in lingua italiana. Dopo Così è (se vi pare) del
1917, che iniziò la fase più creativa del suo teatro, Pirandello proseguì con
un’attività molto intensa, ma non sempre assecondato dal successo di pubblico.
Negli anni del primo dopoguerra ottenne molti consensi all’estero e di rimbalzo
la sua fama si diffuse anche in Italia. Dopo aver aderito al fascismo, più per
desiderio di affermazione che per intima convinzione, fu nominato Accademico
d’Italia. Nel 1934 ricevette il premio Nobel per la letteratura.
Delle opere teatrali di
Pirandello (una quarantina) ricordiamo alcuni capolavori: Il berretto a
sonagli, Enrico IV, Sei personaggi in cerca d’autore, Questa sera si recita a
soggetto.
L’opera narrativa è segnata da
un’abbondante serie di novelle raccolte sotto il titolo Novelle per un
anno, e da alcuni romanzi, come il già citato Il fu Mattia Pascal e Uno,
nessuno e centomila.
Il tema centrale dell’opera di
Pirandello – tanto nei romanzi e nelle novelle, quanto nel teatro – è la
condizione di smarrimento, solitudine ed estraneità dell’uomo moderno.
Dopo il crollo della fiducia
nella ragione e nel progresso senza limiti di cui si è nutrita la borghesia
ottocentesca, l’uomo moderno, privo ormai di sicuri punti di riferimento, «si
vede vivere» in preda al caso e al caos. Secondo Pirandello, l’uomo è divenuto
vittima della società che egli stesso ha creato e sviluppato in forme sempre
più complesse, e nessuna ideologia è capace di rivelargli la sua intima
essenza e di fornirgli un filo d’Arianna che lo aiuti a stabilire un ordine
qualsiasi nel caos degli avvenimenti e nei molteplici e contraddittori
atteggiamenti che costituiscono la vita quotidiana di ciascuno.
Pirandello prende atto di questa
situazione di crisi senza propositi di alternativa o di denuncia, ma soltanto
con la volontà di analizzarne lucidamente le manifestazioni in personaggi
sconfitti, disillusi e alienati. La sua analisi è fondata sui seguenti motivi,
tipici della visione pirandelliana della vita e dello spirito umano.
Schematizziamo.
Contrasto tra “vita” e “forma”. Mentre
gli altri esseri vivono senza avere la percezione della loro vita, ad esempio,
«l’albero vive e non si sente», l’uomo ha «il triste privilegio di sentirsi
vivere», dal momento che avverte il continuo mutamento che avviene in sé e
fuori di sé. L’incessante cambiamento che costituisce la vita non obbedisce a
ritmi e regole catalogabili ma soltanto al caso. L’uomo che tende a fissare in
forme precise (cioè in concetti, ideali, valori morali, categorie sociali) il
flusso casuale e caotico della vita, non fa altro che procurarsi gravi disillusioni.
Il contrasto tra ideale e reale, tra la tendenza a ottenere delle certezze e la
disillusa constatazione che la vita non si lascia afferrare in alcun modo, si
evidenzia drammaticamente nella coscienza dei personaggi pirandelliani nel
momento in cui, indotti dal“caso” a riflettere, avvertono in sé stessi
l’insanabile contrapposizione tra le molteplici possibilità di vita, che
sembrano esistere in loro, e la forma – cioè quel tipo di vita, quel
ruolo sociale, quel carattere – che la società impone a ciascuno come una
“maschera”. Ogni uomo, dunque, parafrasando il titolo di un celebre romanzo
pirandelliano, è «uno» la società che gl’impone una data “forma” senza la quale
non gli sarebbe consentito di avere una vita di relazione; è «centomila» sia
per le innumerevoli potenzialità che la vita in movimento sembrerebbe offrigli,
sia per i difformi giudizi che di lui si potrebbero esprimere; è «nessuno» per
l’impossibilità di dare una qualsiasi definizione della realtà. L’unica
possibilità di vivere liberamente le proprie infinite forme strappandosi la
maschera imposta dagli altri, è data dalla scelta della solitudine o dalla
condizione di pazzia, reale o presunta (come avviene, ad esempio, per il
protagonista dell’Enrico IV o per Vitangelo Moscarda di Uno,
nessuno e centomila).
Relatività della conoscenza. Dal
contrasto irrisolvibile tra “vita” e “forma” deriva in Pirandello la
consapevolezza che né l’uomo né la realtà sono conoscibili. Non è possibile
neppure la comunicazione tra gli uomini:ciascuno, infatti, giudica
necessariamente. dal proprio punto di vista secondo ciò che “ appare”o che
sembra apparire, non secondo ciò che “è”, per cui su un medesimo fatto i
giudizi sono tanti quante le persone chiamate a giudicare.
Sentimento del contrario. È
il principio fondante le della poetica pirandelliana, definito nel saggio
“L’Umorismo”, 1908. Pirandello stesso lo spiega con un esempio: se vediamo una
vecchia «coi capelli ritinti», «tutta imbellettata e parata d’abiti giovanili»,
ci mettiamo a ridere, accorgendoci che «quella vecchia signora è il contrario di
ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere». Fin qui siamo a un
livello superficiale d’osservazione, all’avvertimento del contrario, che
provoca in noi una comicità istintiva. Ma se invece, riflettendo, arriviamo a
pensare che quella signora agisce così, forse soffrendo, per rendersi piacevole
al marito molto più giovane di lei, non rideremo più come prima perché dall’avvertimento saremo
passati al sentimento del contrario, cioè alla capacità – ironica,
beffarda, ma anche dolorosa – di “sentire”, di cogliere con l’intelligenza le
inquietanti contraddizioni della condizione umana.
L’analisi di Pirandello si svolge
in modo uniforme per tutto l’arco della la sua vastissima produzione, senza
conoscere sostanziali evoluzioni, bensì riproponendosi sempre con rinnovata e
prodigiosa capacità d’osservazione in una innumerevole serie di casi umani.
Infatti, la sua ideologia pessimistica e la tendenza a cogliere, con gusto
beffardo e pietoso a un tempo, l’assurdità dell’esistenza in casi paradossali
sono già presenti nelle prime opere (i romanziL’esclusa e Il turno),
dove si avvertono influssi veristici dai quali lo scrittore si libera con il
primo capolavoro, il romanzo Il fu Mattia Pascal.
I personaggi delle opere
pirandelliane appartengono alla piccola e media borghesia: professori,
impiegati, piccoli professionisti di provincia o comunque di mentalità
provinciale, anche quando si sono trasferiti in città. Gli ambienti nei quali
essi si muovono sono case d’affitto, pensioni, salotti con una qualche pretesa
d’eleganza. Anche se le vicende si svolgono nella maggior parte dei casi in
Sicilia o a Roma, il mondo rappresentato da Pirandello non ha connotazioni
storiche o sociali di rilievo. L’unica eccezione è il romanzo storico I
vecchi e i giovani (1913), che ha per argomento la delusione provocata
dal Risorgimento presso le nuove generazioni del Meridione. Infatti,
l’attenzione dello scrittore è sempre rivolta al dramma che si svolge nella coscienza
dell’uomo dei nostri tempi, solo con sé stesso di fronte alla crisi di tutti i
valori tradizionali, crisi avvertita con particolare intensità in Italia e in
Europa dopo i disastri della Prima Guerra Mondiale.
Pirandello si rivela autore di
respiro europeo anche nel contributo originale offerto al rinnovamento del
teatro, con la presentazione di azioni che si immaginano tutte da inventare e
il cui svolgimento si attua in parte sul palcoscenico, in parte nella platea.
Ciò avviene soprattutto nei Sei personaggi in cerca d’autore (1921),
e ancora in Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a
soggetto (1928), la cosiddetta trilogia del “teatro nel teatro”.