mercoledì 17 febbraio 2010

Guido Guinizzelli: "Al cor gentil rempaira sempre amore". Vita, parafrasi e commento

Cenni biografici: Guido Guinizzelli nacque a Bologna verso il 1235 circa. Giudice di parte ghibellina, quando a Bologna prevalse la parte guelfa fu mandato in esilio a Monselice, dove morì nel 1276.

Imitò dapprima i poeti provenzali, siciliani e toscani e riconobbe in Guittone d'Arezzo il suo maestro, poi si distaccò progressivamente da essi fino a pervenire a una forma originale ed auto­noma di poesia. È giustamente considerato l'iniziatore del «dolce stil novo» per la canzone “Al cor gentil rempaira sempre Amore”, dove sono enunciati i motivi ispiratori della nuova poesia.

Motivi stilnovistici: Nelle sue liriche troviamo i motivi principali del «dolce stil novo»: l'identità di amore e cuor gentile; la donna-angelo, ispiratrice di virtù e di perfezione morale; la lode della donna paragonata alle cose più belle della natura: la stella diana, l'azzurro dell'aria, la rosa, il giglio, i prati fioriti, gli oggetti più preziosi; inoltre, il suo saluto beatificante che dona felicità e salvezza; la gioia contemplativa della bellezza e l'analisi degli effetti prodigiosi dell'amore.

Caratteristiche peculiari: Ma accanto a questi motivi che tendono alla massima spiritualizzazione dell'amore, appaiono motivi più umani, come quello dell'amore-passione, che scon­volge e getta l'animo nell'angoscia, e persino qualche nota sensuale di tono realistico (Ah, prender lei a forza, ultra su grato, / e baciarli la bocca e il bel visaggio / e li occhi suoi ch'en [hanno] due fiamme de foco).

Parte della critica moderna tende a limitare il valore innovativo delle ispirazioni guinizelliane, perché le ritiene già presenti nelle rime dei poeti precedenti, tuttavia, anche se non del tutto nuove, bisogna riconoscere che nell'opera del Guinizzelli esse, oltre ad apparire più orga­nicamente fuse, sono pervase di un entusiasmo giovanile che le rende più incisive, convincenti e poeticamente efficaci. Un carattere particolare della poesia del Guinizzelli è la riflessione fìlosofìca, che però non si riduce ad arido ragionamento, ma è vivificata da immagini e similitudini suggestive, tratte dalla scienza del suo tempo.

Parimenti caratteristico è il sentimento della natura, che non è mai colta nei suoi aspetti oggettivi, come semplice sfondo, ma è tutta compenetrata dagli stati d'animo del poeta: ora di gioia, come quando paragona la sua donna alle cose più pure, più belle e splendenti della natura; ora di tristezza, come quando, angoscioso e pien di doglie, si paragona a una foglia caduta de la soa verdura, cioè staccata dal suo verde ramo; ora di sgomento, come quando descrive l'amore-assalto, che passa per gli occhi

(...) come fa lo trono [tuono] che fer [passa] per la finestra de la torre, e ciò che dentro trova, spezza e fende.

Questi frequenti richiami alla natura, ai suoi aspetti molteplici e multicolori, hanno valso al Guinizzelli l'appellativo di «poeta visivo», cioè sensibile, come un pittore, agli aspetti tersi e luminosi della realtà.


Al cor gentile rempaira sempre amore


Al cor gentil rempaira sempre amore

come l'ausello in selva a la verdura;

né fe’ amor anti che gentil core,

né gentil core anti ch’amor, natura:

ch’adesso con’ fu ‘l sole,

sì tosto lo splendore fu lucente,

né fu davanti 'l sole;

e prende amore in gentilezza loco

così propiamente

come calore in clarità di foco.

Foco d'amore in gentil cor s’aprende

come vertute in petra prezïosa,

che da la stella valor no i discende

anti che ‘l sol la faccia gentil cosa;

poi che n’ha tratto fòre

per sua forza lo sol ciò che li è vile,

stella li dà valore:

così lo cor chè fatto da natura

asletto, pur, gentile,

donna a guisa di stella lo ‘nnamora.

Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile

per qual lo foco in cima del doplero:

splendeli al su’ diletto, clar, sottile;

no li stari’ altra guisa, tant’è fero.

Così prava natura

recontra amor come fa l’aigua il foco

caldo, per la freddura.

Amore in gentil cor prende rivera

per suo consimel loco

com’adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno:

vile reman, né ‘l sol perde calore;

dis’ omo alter: «Gentil per sclatta torno»;

lui semblo al fango, al sol gentil valore:

ché non dé dar om fé

che gentilezza sia fòr di coraggio

in degnità d’ere’

sed a vertute non ha gentil core,

com’aigua porta raggio

e ‘l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ‘n la ‘ntelligenzïa del cielo

Deo criator più che 'n nostr'occhi 'l sole:

ella intende suo fattor oltra 'l cielo,

e 'l ciel volgiando, a Lui obedir tole;

e con'’segue, al primero,

del giusto Deo beato compimento,

così dar dovria, al vero,

la bella donna, poi che ‘n gli occhi splende

del suo gentil, talento

che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,

siando l'alma mia a lui davanti.

«Lo ciel passasti e ‘nfin a Me venisti

e desti in vano amor Me per semblanti:

ch’a Me conven le laude

e a la reina del regname degno,

per cui cessa onne fraude.»

Dir Li porò: «Tenne d'angel sembianza

che fosse del Tuo regno;

non me fu fallo, s'in lei posi amanza».


Questa famosa canzone del Guinizzelli è considerata il manifesto, ossia la sintesi programmatica del «dolce stil novo», perché sviluppa organicamente gli elementi dottrinali della nuova poesia, la quale, anche se rielabora concetti già presenti qua e nella tarda poesia provenzaleggiante, può considerarsi veramente nuova rispetto alla precedente produzione poetica.

Nella prima stanza, il poeta afferma, con la perentorietà di un assioma, l'identità di amore e cuore gentile, perché, essendo stati creati dalla natura nello stesso istante, sono tra loro inscindibili, come è inscindibile la luce dal sole o il calore dalla fiamma.

In un cuor gentile (nobile), si rifugia sempre [come alla sua sede naturale] l’amore, così come l'uccello [si rifugia] in un bosco tra il verde della vegetazione, né la natura creò l'amore prima di un cuore gentile, né [creò] il cuore gentile prima dell'amore: perché, non appena apparve il sole, subito apparve lo splendore [della luce], né [lo splendore di essa] apparve prima del sole; l'amore prende il suo posto nell'animo nobile così naturalmente come il calore [ha sede] nello splendore del fuoco.

Nella seconda stanza il poeta riafferma l'identità di amore e cuor gentile: l’amore è connaturato al cuor gentile, così come la virtù, ossia la capacità di creare effetti magici, è connaturata alla pietra preziosa. Ma come il sole rende preziosa la pietra dopo averla liberata da ogni impurità, così la donna, facendolo innamo­rare di sé con la sua bellezza, libera l'uomo da ogni bassezza e traduce in atto quella gentilezza o nobiltà d'animo che egli ha ricevuto in potenza dalla natura.

La fiamma dell'amore si rivela nell’ animo nobile, così come la virtù (ossia la capacità di produrre effetti magici) [si rivela] nella pietra preziosa, perché dalla stella non discende [in essa] particolare virtù prima che il sole non l'abbia resa cosa pura (libera da ogni impu­rità); dopo che il sole ha tratto da essa, con la sua potenza, ciò che in essa è impuro, la stella le infonde il valore (ossia la capacità di operare miracolosamente): così la donna, simile alla stella [nel suo operare], innamora il cuore che dalla natura è stato creato eletto, puro e nobile (in altri termini: la donna sta al cuore gentile, puro per natura, come la stella sta alla pietra preziosa, purificata dal sole).

Nella terza stanza il poeta ribadisce ancora l'identità di amore e cuor gentile: l’amore sta nel cuor gentile come la fiamma sulla sommità della torcia o come il diamante sta nella miniera di ferro, mentre una natura bassa o volgare è contraria all'amore, così come l'acqua, per la sua freddezza, è contraria al fuoco.

L'amore risiede in un cuor gentile per la stessa ragione (o legge di natura) per la quale la fiamma sta sulla sommità della torcia: vi splende a suo piacere, luminosa, sottile (tesa cioè verso l’alto); non vi starebbe in un modo diverso, tanto è sdegnosa [di disporsi diver­samente]. Allo stesso modo una natura cattiva (un animo volgare) respinge l'amore, come l’acqua, per la sua freddezza, [respinge] il fuoco che è caldo.

L'amore [inoltre] prende dimora in un cuore gentile, perché è il luogo più ad esso affine, come il diamante [prende dimora] nel minerale del ferro.

Nella quarta stanza il poeta chiarisce che la gentilezza, o nobiltà d'animo, non è quella di nascita, ma quella che si realizza per meriti personali, indipendente­mente dai propri natali.

Il sole colpisce il fango per tutto il giorno (continuamente): [tuttavia] esso resta una cosa vile, né il sole perde il suo calore. Dice un uomo superbo: «Io sono nobile perché discendo da nobile famiglia»; io paragono lui al fango e la nobiltà [della sua famiglia la paragono] al sole: perché l’uomo non deve credere che la nobiltà sia fuori del cuore (sia cioè una qualità estrinseca allo spirito e quindi priva di meriti personali) [consistente] in un privilegio di erede, se [l’erede] non ha il cuore nobile per virtù [personale] [così] come l'acqua assorbe i raggi, ma il cielo conserva le stelle e lo splendore.

Nella quinta stanza il poeta presenta il secondo elemento dottrinale del «dolce stil novo», quello della donna-angelo. Come Dio, risplendendo davanti alla Intel­ligenza celeste, ispira immediatamente in essa il desiderio di obbedirgli, di ese­guire cioè il compito affidatole di far ruotare il cielo a cui è preposta, così la donna, risplendendo davanti agli occhi dell'uomo gentile, gli ispira il desiderio di non distogliersi mai dall’obbedirle, suscitando in lui, con la propria bellezza, l'amore per la virtù ed il bene.

Dio creatore splende nella Intelligenza angelica del cielo più di quanto il sole [risplenda] ai nostri occhi, ed essa, facendo girare il cielo, prende a obbedire a Lui [perché attua i suoi disegni]; e come segue (si realizza) immediatamente la felice attuazione del giu sto disegno di Dio (quello, cioè, dell'ordine e dell'armonia universale), così la bella donna, ìn verità, dopo che risplende agli occhi del suo [innamorato] dotato di animo nobile, dovrebbe ispirargli il desiderio (talento) dì non distogliersi mai dall’obbedire a lei.

L'ultima stanza costituisce una sorta di suggello alla concezione della donna-angelo. Con un colpo d’ala il poeta si trasferisce in cielo ed immagina che dopo la morte la sua anima si trovi davanti a Dio giudice. Allora, dice alla donna amata, egli saprà come giustificare davanti a Dio il suo amore per lei.

O donna, quando la mia anima [dopo la morte] starà davanti a Lui, Egli mi dirà: «Che presunzione avesti [sulla terra]? Oltrepassasti il cielo e arrivasti fino a Me, e prendesti Me come termine di paragone in un amore frivolo, perché le lodi (gli inni, cioè, di devozione) si addicono [soltanto] a Me e alla regina (la Madonna) del vero regno (il Paradiso), per le cui virtù svanisce ogni inganno [del demonio]».

Allora io potrò dirgli: «[La donna che ho amato] aveva l'aspetto di un angelo che appar­tenesse al Tuo regno; [perciò] non fu peccato per me, se io riposi il mio amore in lei».

Cristoforo Attalienti

[nel riquadro: Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix]

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