(1796 - 1875)
A cura di CDS
Jean-Baptiste Camille Corot nasce
a Parigi da un agiato mercante di stoffe e da una modista svizzera, Corot
frequenta dapprima il liceo classico di Rouen, ma al termine degli studi (1814)
è costretto a intraprendere il mestiere del padre: tuttavia la sua precisa
vocazione artistica lo spinge verso la realizzazione di ben altri obiettivi. È
solo nel 1822, all'età di 26 anni, che riesce a sottrarsi ai programmi della
famiglia e ad iniziare la propria carriera artistica. Anche se in contatto con
gli artisti come Michaillon, Bertin, Alligny, che si erano dedicati alla
pittura di paesaggio e appartenevano alla tradizione figurativa neoclassica,
Corot ha tuttavia una formazione fondamentalmente da autodidatta.
Importantissimi in questo senso appaiono i viaggi in Italia: il primo di questi, iniziato nel settembre 1825 e protrattosi per tre anni, porta Corot a Roma, Napoli, Venezia. Memore di Constable, che in quegli anni esorta i giovani “a seguire la propria natura”, Corot affronta la pittura di paesaggio con un taglio estremamente personale, spontaneo, spregiudicato: in Italia dipinge opere come Il Colosseo visto dai giardini Farnese, Il Tevere a Castel S. Angelo, Italiana di profilo con un’anfora in testa, tutte esposte al Louvre, che rivelano nell'immediatezza della pittura, nella genuinità di riproduzione dei soggetti, nel tocco delicato o nella luminosa stesura del colore, una ricerca pittorica intesa a rappresentare paesaggio e natura in assenza di regole o di modelli precostituiti. Corot Per la “squisitezza della sensibilità, per il giusto sentimento dei valori, per la poesia dell' atmosfera e per la freschezza della tavolozza, precede e prepara Sisley” (Focillon). In effetti, fin dalle prime opere, Corot dimostra una profonda capacità di rinnovamento della pittura di paesaggio anticipatrice delle modalità espressive degli impressionisti e della pittura en plein air che ad essi prelude.
Importantissimi in questo senso appaiono i viaggi in Italia: il primo di questi, iniziato nel settembre 1825 e protrattosi per tre anni, porta Corot a Roma, Napoli, Venezia. Memore di Constable, che in quegli anni esorta i giovani “a seguire la propria natura”, Corot affronta la pittura di paesaggio con un taglio estremamente personale, spontaneo, spregiudicato: in Italia dipinge opere come Il Colosseo visto dai giardini Farnese, Il Tevere a Castel S. Angelo, Italiana di profilo con un’anfora in testa, tutte esposte al Louvre, che rivelano nell'immediatezza della pittura, nella genuinità di riproduzione dei soggetti, nel tocco delicato o nella luminosa stesura del colore, una ricerca pittorica intesa a rappresentare paesaggio e natura in assenza di regole o di modelli precostituiti. Corot Per la “squisitezza della sensibilità, per il giusto sentimento dei valori, per la poesia dell' atmosfera e per la freschezza della tavolozza, precede e prepara Sisley” (Focillon). In effetti, fin dalle prime opere, Corot dimostra una profonda capacità di rinnovamento della pittura di paesaggio anticipatrice delle modalità espressive degli impressionisti e della pittura en plein air che ad essi prelude.
Dall'Italia invia un quadro Il
ponte di Narni, (Parigi, Louvre), che gli permetterà di partecipare per la
prima volta all'esposizione del Salon nel 1827; ma ritornato in Francia
riprende a dipingere vasti panorami dall'impianto neoclassico, con temi ripresi
da scene di sapore biblico o mitologico, ricchi di pastori e di ninfe, di canti
e di danze, secondo i dettami del gusto in voga.
Ritorna una seconda volta in Italia nel 1834, alla ricerca dello “splendore del sole” mediterraneo e di quella luminosità dell'atmosfera, di fronte alla quale Corot dichiara: “Sento l'impotenza della mia tavolozza”. Visita così Genova, Firenze, Venezia, soggiorna sui laghi lombardi, si reca poi in Provenza e nel Languedoc: il viaggio gli permette di dipingere opere come Firenze vista dal Giardino di Boboli (1834, Parigi, Louvre). Ma anche se il suo stile si fa col tempo più sicuro, più attento “il disegno è la prima cosa da cercare, poi i valori; ecco i punti di appoggio: quindi il colore ed infine l'esecuzione” secondo quanto dichiara lo stesso Corot, che continua ad inviare alle esposizioni dei Salon opere più tradizionali, più affini al gusto del pubblico; opere che pur nella coerenza pittorica di un paesaggio riprodotto con toni sobri e delicati, ricchi di grigi, di bruni, di sfumature perlacee, purtuttavia mancano di quella volontà di rinnovamento presente nei piccoli quadri di panorami francesi e italiani. Ai Salon invia cosi Agar nel deserto (1833); Diana sorpresa da Atteone (1836); Omero e i pastori (1845), mentre conserva per sé, senza farle conoscere al pubblico, le tavolette intimiste con i panorami, i paesaggi, le vedute, dipinte durante i suoi viaggi. Si reca in Italia per l'ultima volta nel 1843: qui dipinge Tivoli: i giardini di villa d'Este (1843, Parigi, Louvre), Manetta, l'odalisca romana (1843, Parigi, Museo delle Belle Arti).
Ritorna una seconda volta in Italia nel 1834, alla ricerca dello “splendore del sole” mediterraneo e di quella luminosità dell'atmosfera, di fronte alla quale Corot dichiara: “Sento l'impotenza della mia tavolozza”. Visita così Genova, Firenze, Venezia, soggiorna sui laghi lombardi, si reca poi in Provenza e nel Languedoc: il viaggio gli permette di dipingere opere come Firenze vista dal Giardino di Boboli (1834, Parigi, Louvre). Ma anche se il suo stile si fa col tempo più sicuro, più attento “il disegno è la prima cosa da cercare, poi i valori; ecco i punti di appoggio: quindi il colore ed infine l'esecuzione” secondo quanto dichiara lo stesso Corot, che continua ad inviare alle esposizioni dei Salon opere più tradizionali, più affini al gusto del pubblico; opere che pur nella coerenza pittorica di un paesaggio riprodotto con toni sobri e delicati, ricchi di grigi, di bruni, di sfumature perlacee, purtuttavia mancano di quella volontà di rinnovamento presente nei piccoli quadri di panorami francesi e italiani. Ai Salon invia cosi Agar nel deserto (1833); Diana sorpresa da Atteone (1836); Omero e i pastori (1845), mentre conserva per sé, senza farle conoscere al pubblico, le tavolette intimiste con i panorami, i paesaggi, le vedute, dipinte durante i suoi viaggi. Si reca in Italia per l'ultima volta nel 1843: qui dipinge Tivoli: i giardini di villa d'Este (1843, Parigi, Louvre), Manetta, l'odalisca romana (1843, Parigi, Museo delle Belle Arti).
Tornato in patria, Corot realizza
i suoi primi successi; consacrati definitivamente con l'acquisto di una sua
opera alla Esposizione Universale (1855), Ricordo di Marcussis, da parte di
Napoleone III, successi riconfermati con un secondo acquisto dell'imperatore
nel 1867: La solitudine.
Sono tuttavia i suoi paesaggi ufficiali, le sue vedute classicheggiami, i panorami a soggetto mitologico che ottengono uno specifico riconoscimento. Attratto dagli orizzonti campestri, compie un'altra serie di viaggi, fra il 1854 e il 1862, nelle regioni francesi. Ormai libero da ogni impedimento accademico, il suo stile diventa più leggero, il colore più luminoso, la forma meno definita, alla ricerca di risultati formali di elevatissimo livello qualitativo. Il disegno si perde ormai a favore di una pittura fatta di mezzetinte, di giochi di luce dal sapore impressionistico, Corot scopre nel frattempo la figura umana, dipinge immagini di fanciulle e di donne, piccoli ritratti di persone amiche e familiari, riprodotti in atteggiamento assorto, talvolta incantato: Donna con perla (1868-‘70, Parigi, Louvre); Giovane donna al pozzo (1865-70, Otterloo, Museo).
Infaticabile com’era sempre stato per lutto il corso della vita, continua ancora freneticamente a dipingere nonostante gli anni; ormai, sicuro delle proprie affermazioni, presenta ai Salon i paesaggi luminosi, le vedute che era solito conservare per sé: Ricordo di Mortefontaine (Parigi,Louvre); La chiesa di Marissel (1867, ivi). Ancora negli ultimi anni produce piccoli quadri la cui freschezza ricorda i dipinti del primo viaggio in Italia: Il campanile di Dottai (1871), La Cattedrale (1874) o La Donna in blu (1874) tutte al Louvre.
Muore nel febbraio1875, dopo alcuni mesi di malattia, con il rimpianto a suo giudizio di non aver mai saputo fare un cielo: «Ora lo vedo più rosa, più profondo, più trasparente: come vorrei poterlo rendere, per mostrare dove vanno questi immensi orizzonti!».
Sono tuttavia i suoi paesaggi ufficiali, le sue vedute classicheggiami, i panorami a soggetto mitologico che ottengono uno specifico riconoscimento. Attratto dagli orizzonti campestri, compie un'altra serie di viaggi, fra il 1854 e il 1862, nelle regioni francesi. Ormai libero da ogni impedimento accademico, il suo stile diventa più leggero, il colore più luminoso, la forma meno definita, alla ricerca di risultati formali di elevatissimo livello qualitativo. Il disegno si perde ormai a favore di una pittura fatta di mezzetinte, di giochi di luce dal sapore impressionistico, Corot scopre nel frattempo la figura umana, dipinge immagini di fanciulle e di donne, piccoli ritratti di persone amiche e familiari, riprodotti in atteggiamento assorto, talvolta incantato: Donna con perla (1868-‘70, Parigi, Louvre); Giovane donna al pozzo (1865-70, Otterloo, Museo).
Infaticabile com’era sempre stato per lutto il corso della vita, continua ancora freneticamente a dipingere nonostante gli anni; ormai, sicuro delle proprie affermazioni, presenta ai Salon i paesaggi luminosi, le vedute che era solito conservare per sé: Ricordo di Mortefontaine (Parigi,Louvre); La chiesa di Marissel (1867, ivi). Ancora negli ultimi anni produce piccoli quadri la cui freschezza ricorda i dipinti del primo viaggio in Italia: Il campanile di Dottai (1871), La Cattedrale (1874) o La Donna in blu (1874) tutte al Louvre.
Muore nel febbraio1875, dopo alcuni mesi di malattia, con il rimpianto a suo giudizio di non aver mai saputo fare un cielo: «Ora lo vedo più rosa, più profondo, più trasparente: come vorrei poterlo rendere, per mostrare dove vanno questi immensi orizzonti!».
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