Claudio Di Scalzo
VITA DEL REALISTA GUSTAVE COURBET
(con testimonianze e frammenti lirici)
È nota la leggenda che circonda Gustave Courbet (Ornans, 1819 - La Tour-de-Peilz, Svizzera 1877). Il
realista, l'«apostolo del brutto», il demolitore della colonna Vendôme, non
sono che uno dei profili di una personalità ricca quanto contraddittoria. Si
proclamava «senza ideale né religione ma», innanzitutto, pittore. Al
pubblicista Francis Wey egli dichiara: «Io dipingo come un dio» e
quest'orgoglio, spesso deriso, evidente nel suo gusto quasi narcisistico per
l'autoritratto, è quello di un uomo con un'esperienza straordinaria le cui
ambizioni, anche se confuse, sono sempre confortate dal successo pittorico. È
evidente, in Courbet, il ruolo dell'atavismo familiare e geografico.
Il padre, mezzo signorotto di
campagna e mezzo contadino, il nonno materno, fedele ai principi del 1789, e la
madre, prudente e accorta, spiegano, in larga parte, la psicologia dell'artista. Inoltre, Ornans e la valle dalla Loue, rappresenteranno una fonte
continua di ispirazione. La sua vocazione si manifesta molto presto: dopo gli
studi presso il piccolo seminario di Ornans, poi a Besançon, ove si accosta
alla pittura, e successivamente a Parigi nel 1840.
I suoi inizi
sono oscuri: si sa solo che frequenta diversi atelier in qualità di allievo
esterno. Ma il fatto che egli si sottragga al cursus accademico, non deve
indurci a sottovalutare la formazione e la cultura del giovane Courbet. Le
opere degli anni 1840-'48 che, secondo il soggetto (Le Guitarrero, 1845,
collezione privata) o lo stile (L'homme à la pipe, 1846, museo di Montpellier)
si possono definire romantiche, sorprendono per la qualità immediata
dell'esperienza acquisita e la complessità delle influenze: i modelli cui il pittore
fa riferimento sono italiani, da Venezia a Napoli, spagnoli, nordici.
In "Courbet au chien noir" (1842, Petit Palais, Parigi) l'autorità della
composizione, l'eleganza del contorno che circonda animale e padrone, la
semplicità dell'effetto del chiaroscuro e infine la luminosità del
paesaggio appartengono a un sapiente pittore che rende omaggio a Bellini, a
Tiziano e anche a Bronzino. Con un bagaglio narrativo
ridotto all'essenziale, "Les amants dans la campagne" (versioni al Petit Palais e
a Lione) denotano un lirismo niente affatto scialbo, ma immediatamente
popolare.
L'artista si afferma al Salone
del 1849. Fra le sette tele che egli invia, mentre "L'homme à la ceinture de
cuir", definito «studio dai Veneziani», appartiene alla generazione
degli autoritratti precedenti, "l' Aprésdîner à Ornans" (offre qualcosa di
nuovo. Questa
riunione di amici sorprende per il formato: Courbet osa
trattare in grande la scena di maniera. Del resto, l'influenza di un viaggio
compiuto in Olanda è stata decisiva: «Rembrandt incanta le intelligenze e
stordisce gli imbecilli [...], Van Ostade, Van Craesbeeck mi
seducono». Il romanziere e critico Champfleury eleva l'opera all'altezza «delle
grandi assemblee di borgomastri di Van der Helst»: il
paragone è, però, giusto solo a metà: Courbet è infatti più vicino ai pittori
monocromi che non alla brillantezza di Van der Helst. Con il Enterrement à
Ornans (Salone del 1850-'51), oggetto, allo stesso tempo, di
scandalo e di successo, nasce la leggenda di Courbet. Insieme di ritratti
(hanno posato gli abitanti di Ornans, dal sindaco al becchino) "l'Enterrement" sbalordisce sia per il suo verismo sia per le dimensioni.
Un episodio banale è trattato con
la stessa cura e la stessa attenzione psicologica del Sacre de Napolèon di
David. Le reazioni sono violente: «È mai possibile dipingere gente così
orrenda?», si chiedono i borghesi in un disegno di Daumier. «Feroce accesso di
misantropia», «ignobili caricature che ispirano
disgusto e sono solo fonte di risate», questi sono i giudizi della critica.
«Per essere realista, non occorre tanto fare il vero.
Occorre invece fare il brutto», verseggia de Banville. In ciò
risiede il controsenso che l'opera di Courbet continua a
suscitare.
In effetti, l'Enterrement,
Funerale a Ornans, è una pagina di umanità in cui Courbet, con
un'attenzione scrupolosa unita alla simpatia per un «paese»,
mostra come un villaggio re agisce di fronte alla morte.
«È forse colpa del pittore, si chiede Champfleury, se gli interessi materiali,
gli egoismi sordidi, le meschinità di provincia [...]
graffiano il volto, spengono questi occhi, corrugano le
fronti?» Ma Courbet non ha dimenticato né l'emozione né la vera afflizione, e
la sua commedia umana è complessa quanto quella di Balzac. La lezione satirica
e il giudizio morale passano
in secondo piano; di fatto, la realtà è
magnificata e diventa verità generale, grazie all'ampiezza della trattazione,
alla scienza dell'assembramento disordinato degli astanti, al lirismo del colore.
Ormai Courbet è consacrato dalla
critica capo dei realisti, a fianco
di Champfleury. Le provocazioni del personaggio, i
discorsi tenuti alla birreria Andler, luogo di riunione
del cenacolo, spiegano la celebrità chiassosa che sarà
propria della scuola. Ma le etichette vanno accettate solo con prudenza. Quando
Courbet, all'Esposizione internazionale del 1855, deciderà
arditamente di organizzare una presentazione separata delle sue opere, egli
stesso spiegherà nella prefazione del suo catalogo: «La qualifica di realista
mi è stata imposta così come agli artisti del
1830 venne imposta quella di romantici [...] Essere in grado di tradurre i
costumi, le idee, gli aspetti del mio tempo, secondo la mia valutazione, [...]
in una parola fare arte viva, ecco il mio scopo». Del resto, Courbet vede prima
di pensare. "Casseurs de pierres" (Salone del 1850-51, dipinto andato distrutto a
Dresda durante l'ultima guerra), opera socialista secondo Proudhon, è nato,
prima di tutto, da un incontro, da una visione di miseria su una strada: «Senza
volerlo, semplicemente dipingendo ciò che ho visto, ho sollevato ciò che
chiamano la questione sociale».
Courbet sarà definito «occhio» da
Ingres. Les demoiselles de village (Salone del 1852, New York,
Metropolitan Museum) rappresentano senz'altro un soggetto sociale, l'elemosina
fatta dalle sorelle del pittore a una pastorella, ma, per l'artista,
l'essenziale era costituito da un problema pittorico, quello di inserire dei
personaggi in un luogo. Allo stesso modo, il quadro delle "Bagnanti" (Montpellier), che si dice sia stato preso a scudisciate da Napoleone III al
Salone del 1853, è quasi staccato dal soggetto. Quanto di più accademico di un
nudo in un paesaggio? «Nulla sarebbe la volgarità delle forme, ma la volgarità e
l'inutilità del pensiero sono abominevoli», annota Delacroix nel suo Diario,
associandosi a Ingres e annunciando Baudelaire in un'alleanza
paradossale ma comprensibile contro una pittura così disinteressata e
«antisovrannaturalista».
Nello stesso tempo, sotto l'influenza di
Proudhon e come sospinto dalla propria reputazione, Courbet si convince di
essere un pittore socialista e partecipa alla stesura di "Du principe de l'art et de sa destination sociale "(1865) che propone una nuova
lettura della sua opera.
Così, la nudità deformata delle "Bagnanti" diventa un monito contro i pericoli della vita oziosa e debilitante della
borghesia, mentre "Les demoiselles
des bords de la Seine" (Salone del 1857, Petit
Palais) rappresentano l'immagine dell'universo triste del lusso. "L'Atelier du
peintre" «allegoria reale, interno del mio studio che ha
determinato sette anni della mia vita artistica» (Esposizione del 1855, Louvre)
è un'ambiziosa sintesi dell'ideologia di Courbet. Il
relativo insuccesso deriva dal fatto che la trascrizione simbolica è ancora
confusa e, soprattutto, troppo sensibile alle «porzioni», come
quella della donna nuda che osserva Courbet mentre questi dipinge. "Le retour de
la confèrence" (Salone del 1863, quadro distrutto), pesante
satira che mostra alcuni preti euforici dopo un buon pranzo, è troppo picaresco
per essere realista. La volontà di
satira ne impedisce la riuscita.
Paradossalmente, Courbet
trionfa con i dipinti senza «problemi». "La femme au perroquet" (New York,
Metropolitan Museum) suggerisce, secondo Castagnary, il paragone con Tiziano,
mentre le sue conturbanti donne addormentate riescono a
sedurre l'ambasciatore di Turchia, Khalil Bey, acquirente del "Bain turc" di
Ingres. Le grandi composizioni, quali il "Combat des cerfs" e "La remise des
chevreuils" (1861 e 1866 rispettivamente, Louvre) o L'hallali du cerf (1867,
Besançon), gli valgono un deciso successo popolare. In esse, egli dà prova di
tutta la sua conoscenza della natura e degli animali, confermata dai soggiorni
nelle foreste germaniche, con una verve e una facilità talvolta fin troppo
disinvolte.
Il Courbet pittore di successo
merita la Legion d'onore, ma il Courbet socialista olimpico non esita
a rifiutarla. La guerra del
1870 e gli avvenimenti della Comune sconvolgeranno
la vita di Courbet. Presidente della commissione nominata dagli artisti per
vigilare sulla conservazione dei musei e delle ricchezze artistiche, egli
svolge le funzioni di un sovrintendente alle Belle Arti. Si mette in mostra con
la petizione del 14 settembre 1870 che richiede la rimozione della colonna
Vendôme, «monumento privo di ogni valore artistico e tendente a perpetuare, con
il suo significato, le idee di
guerra e di conquista respinte dal
sentimento di una nazione repubblicana», ed è presente, il 16 maggio 1871, al
suo abbattimento. Dopo il crollo della Comune, Courbet «il
rivoluzionario» viene arrestato e deferito al Consiglio di guerra: viene
condannato a sei mesi di carcere. Il seguito della sua vita è
dominato dalla preoccupazione per i suoi debiti. Viene anche respinto al Salone
del 1873. Quando l'Assemblea approva il progetto di ricostruzione della colonna
Vendôme, Gustave Courbet è ormai obbligato a recarsi in esilio in Svizzera. La
vendita giudiziaria del 1877 lo prostra definitivamente: muore il 31 dicembre
dello stesso anno. «Non compatiamolo [...], egli è passato attraverso le grandi
correnti [...], ha sentito battere, come colpi
di cannone, il cuore di un
popolo e ha terminato nel cuore della natura, in mezzo agli alberi» dirà, quale
orazione funebre, Jules Vallés.
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