giovedì 25 giugno 2015

Claudio Di Scalzo: Giovanni Bertacchi interventista democratico nella Grande Guerra. Dal quotidiano La Provincia/supplemento culturale L'Ordine





"Bertacchi che sognò la guerra di pace", testo comparso sul quotidiano LA PROVINCIA/supplemento culturale L'ORDINE diretto da Pietro Berra Domenica 14 giugno 2015, e che i miei studenti, V A Ragioneria, porteranno all'esame orale sessione 2015 presso L'Istituto Leonardo da Vinci di Chiavenna -



BERTACCHI CHE SOGNO' LA GUERRA DI PACE

Interventista democratico, il poeta di Chiavenna coltivò negli scritti l'illusione di un nuovo spirito risorgimentale privo di militarismo pur prevedendo l'incombente tragedia del primo conflitto mondiale
Illustrare prima e riflettere poi sul rapporto tra Giovanni Bertacchi e la Grande Guerra, sia nella fase con L’Italia neutrale durante il 1914, sia con l’Italia in guerra dopo il “Patto di Londra” della primavera 1915, è fondamentale per delineare, in ambito letterario misto storico, la figura nascosta, dell’interventista democratico e socialista di Chiavenna. Rimozione a tutto vantaggio nella critica, e nelle conoscenze dei lettori, del Neutralismo della maggioranza del PSI e del partito giolittiano oppure dell’Interventismo “rivoluzionario” e nazionalista dei vari Mussolini e D’Annunzio e Corradini con annesso colorato e rutilante parolibero movimento futurista.






LO SPIRITO RISORGIMENTALE

Il poeta valtellinese fu interprete dello spirito risorgimentale che auspicava il ritorno all’Italia delle terre irredente (non redente dal ritorno alla patria) come il Trentino e il Friuli Venezia Giulia e Trieste ancora parte integrante dell’impero Austro-Ungarico. Questo empito che a volte appare laicamente mistico, lo conferma l’opuscolo “Davanti alla guerra”, orazione letta la sera del 19 settembre 1914 nel Teatro Sociale di Sondrio e ripetuta in Chiavenna il 27 settembre. Bertacchi era cosciente di quanto immane, prolungato, nella storia e nei suoi effetti, sarebbe stato il conflitto acceso mesi prima, ai primi di agosto, con l’immediata contrapposizione da una parte degli Imperi Centrali: Cecco Beppe con la Germania di Guglielmo II e dall’altra della Triplice Intesa costituita da Inghilterra Francia Russia. E ciò mentre in tanti, dagli stati maggiori ai governanti alle teste coronate, erano convinti di una guerra breve, rapida, quasi ottocentesca. Da dove veniva questa convinzione sui tempi lunghi, storici, con effetti inauditi sui popoli e sui loro comportamenti, al poeta? Semplice, Bertacchi era un viaggiatore per il Touring Club. Conosceva, scrivendo reportage, i popoli e i governi e le loro trame alla luce del sole e quanto s’intuiva di nascosto ancorché di rovinoso per equilibri ereditati dal secolo precedente. Inoltre era un laico positivista convinto che la tecnica applicata alla guerra potesse produrre sciagure e modellazioni politiche e antropologiche mai viste prima. Questo intuito corso futuro lo descriveva come ineludibile: una fase, che se guidata da spiriti nobili, accorti nel progettare una nuova umanità, senza il militarismo oppressivo degli Imperi Centrali, che facevano strame del popolo belga invaso, proprio nel settembre 1014, poteva avviare un’altra epoca.

IL PARALLELO STORICO

I sacrifici, dunque, per riavere le terre irredente erano necessari come quelli sostenuti nelle guerre, gloriose, d’Indipendenza per costruire un’Italia unita dalle Alpi alla Sicilia. Palpitazione risorgimentale e sacrificale, mazziniana, garibaldina, nobilmente socialista perché richiesta al popolo lavoratore che doveva lasciare montagne e pianure per il fronte; però al fante prima dubbioso e nostalgico delle vette, al soldato dopo nel ritorno a casa contento della sua gloria da anonimo artiere d’una nuova fratellanza, sarebbe stato offerto un governo statuale più moderno, più accorto verso i suoi bisogni, e il contadino e il montanaro avrebbero avuto come ricompensa la terra, sostegni economici, riforme e migliorie per i propri figli. Questo auspicava l’interventismo democratico di Bertacchi che rappresenta il tentativo più continuo di un autore italiano di trasporre ideali fondanti la nazione a fine ‘800 nel nuovo secolo con gli strumenti della poesia, dell’oratoria, in sintesi della letteratura.





IL RICORSO ALLA LETTERATURA

Molte delle poesie comprese nella raccolta del 1921 “Riflessi d’orizzonti”, anche dedicate alla Guerra di Libia, rimandano a questa cornice politico-ideale. Nessuno degli interventisti democratici che portano i nomi di Bissolati e Bonomi e Salvemini e Battisti ricorrono agli strumenti della letteratura per giustificare (e spiegare) l’Interventismo e la sua necessità. Bertacchi trasfonde nei suoi interventi oratori (che era uno stimato genere letterario) come in “Belgio e Italia”, Milano 1914, con un discorso gemellato al poeta simbolista belga Maeterlinck; in “Dinanzi alla Guerra” del 1914; nei successivi “La parola d’Italia” del 1916” e ”L’ora del mondo” del 1918, le parole d’ordine dei democratici interventisti quali: “guerra per la pace”, “fine della diplomazia dalle mani sporche”, “Delenda Austria”, “L’ultima guerra”, “per il trionfo delle libere nazionalità”. A loro modo e maniera anche gli interventisti democratici, e Giovanni Bertacchi in particolare, intuivano con una sorta di sorpresa che l’Interventismo affidato all’estetica letteraria andava corrodendo il sistema liberale tradizionale operando una sorta di supplenza: da qui incipit metaforici nei suoi discorsi che rimandano a burroni, frane, valloni inesplorati, masse in cammino con destinazioni incerte nel fuoco guerresco magmatico come nell’auspicata pace con albe rarefatte includenti terre pacificate. Certamente sono intuizioni, ma questo vuoto politico liberale rende evidente il ruolo di minoranze chiamate a interpretare esigenze, velleità, ideali, della supposta maggioranza o quantomeno della nascente (e già potente) opinione pubblica. Insomma nell’autunno 1914 a Chiavenna e poi nel 1916 docente a Padova e poi negli anni del conflitto, al fronte come nelle retrovie, la voce di Bertacchi sarà quella di un singolo molto più ascoltato dei partiti di governo nei loro comunicati. C’è però da aggiungere che l’Interventismo democratico sarà messo nell’angolo dal più vociante e attivo e strutturalmente legato all’industria della guerra dei vari Mussolini e D’Annunzio e Marinetti corifei dell’Interventismo rivoluzionario, e propugnatori di parole d’ordine nazionaliste e autoritarie, che fanno presagire una sorta di proto-fascismo, molto più adatto alla psicologia della piccola e media borghesia italiana delle nobili idealità di Bertacchi e Bissolati.

IL TRAMONTO

(La posizione del poeta messa all'angolo dalle parole d'ordine nazionaliste)

Tramonterà dunque, a breve, il socialismo umanitario illusosi d’indirizzare la guerra verso una pace europea senza militarismo austro-tedesco e con nazionalità ricondotte ciascuna nei loro confini naturali di lingua e cultura.
In “Riflessi d’orizzonti” di Giovanni Bertacchi, raccolta del 1921, le poesie dedicate alla Grande Guerra sono 15. In tutto le liriche sono 29. Viene raccontata la storia dei singoli e delle masse anonime in modo epico. E mentre nella poesia dei “poeti moderni”, penso a Ungaretti, c’è in primo piano l’evento biografico, lo squarcio, il frammento che evoca il tutto; nella poesia bertacchiana c’è l’affresco, c’è la rappresentazione, anche ridondante, d’ogni vicenda e data, e dei luoghi che incorniciarono la guerra. Ricordo poesie del 1914, dove Bertacchi descrive il fronte occidentale con “Morituri”: “Vanno. Stipati nei convogli neri/a sterminate file di pedoni/e di cavalli solcano gli imperii”. Si ricordano le masse stipate con un destino mortale sopra gli elmetti. In “Inverno eroico” compaiono descrizioni del paesaggio reso teatro di cannoneggiamenti e devastazioni: “Turbina neve. Tra le boree crude/vanno le compagnie, stanno disperse/le sentinelle sotto gli infiniti/vesperi e guardan le distese ignude, tra scheletri di rari alberi e terse/lucentezze di fiumi irrigiditi”. Poesia civile perfettamente esemplificata in “A un alpino” con il verso: “Prima del ferro e dopo il ferro, l’uomo”. In “Belgio, cuor degli eroi” c’è un paese neutrale dove l’esercito tedesco distrugge, stupra, violenta, annichilisce, sequestra, un popolo. Praticamente tecniche di dominio già hitleriane. L’interventista democratico chiude la poesia invocando che l’Italia scelga di lottare contro i deturpatori del Belgio. E c’è da chiedersi se oggi non possa esistere un altro “interventismo democratico”, gestito dall’ONU o dalla NATO, per arginare e sconfiggere i totalitarismi jihadisti. 









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