sabato 11 aprile 2015

Dai realisti degli anni Trenta al Neorealismo (anche cinematografico) degli anni quaranta (Alvaro, Jovine, Bernari, Vittorini, Pavese)



Corrado Alvaro



Dai realisti degli anni Trenta
al Neorealismo (anche cinematografico) degli anni Quaranta
(Alvaro, Jovine, Silone, Bernari, a Vittorini e Pavese)


Il percorso del realismo post verghiano nella letteratura italiana ha avuto uno sviluppo curiosamente atipico. E ad esclusione di Alberto Moravia con Gli Indifferenti, da subito romanzo e autore in odore di antifascismo, gli altri scrittori crebbero nell’alveo di riviste legate al regime e dal regime consentite. Nel 1933 la rivista "L'universale" (1931-1936) pubblicò il Manifesto realista, che chiamava la cultura italiana a offrire il proprio contributo alla 'rivoluzione fascista', un contributo critico, cioè fatto anche di dissenso antiborghese, anticapitalistico, anti-idealistico e dunque realistico. Anche gli intellettuali che lavorano alla terza pagina de "Il Bargello", settimanale della federazione fascista di Firenze, vogliono spazi di autonomia all'interno del fascismo, in nome della cultura popolare e del rilancio degli aspetti sociali del 'primo' fascismo.

Gli intellettuali che si raccolgono intorno a "L'universale" e a "Il Bargello" sono dunque fascisti, ma criticano - confusamente - la fisionomia che va assumendo il regime; essi sono contrari alla filosofia di Giovanni Gentile, che appare loro legata alla visione del mondo liberale, sono contro l'imborghesimento del movimento fascista, esprimono idee vagamente anticapitaliste, si richiamano alle origini 'rivoluzionarie' del fascismo che teorizzava, nel pasticcio ideologico mussoliniano del 1919, il superamento del capitalismo e del comunismo. Non si dimentichi che Mussolini, prima di diventare il fondatore del fascismo, era stato direttore dell’Avanti e che poi socialista rivoluzionario, come Arturo Labriola, nell’interventismo italiano propugnava una lotta dei paesi poveri contro quelli ricchi; inoltre il Duce era stato suggestionato dal futurista Marinetti cantore di programmi per andare oltre le leggi di Adam Smith e Lenin;  tale retorica strumentale socialisteggiante, molto strumentale, e distorta, tornerà anche nel fascismo “repubblicano” della Repubblica Sociale di Salò.
La base sociale di tali atteggiamenti anticapitalistici, ma anche i più violentemente antosocialisti, era costituita dai reduci, da quelli che avevano duramente combattuto nella prima guerra mondiale e, al ritorno in patria, si trovavano a fare i conti con la miseria, con la disoccupazione, e a prendere atto del fatto che una ristretta classe di capitalisti si era invece arricchita grazie alla guerra.
Insomma, intorno a "L'universale" e a "Il Bargello" si raccolgono i cosìddettifascisti di sinistra, che riprendendo la polemica anticapitalista-anticittadina e strapaesana de "Il Selvaggio", intendono mantenere viva la dialettica all'interno del fascismo e l'autonomia della base nei confronti dei quadri dirigenti. (Serve ricordare che durante la Resistenza e nel dopoguerra, ifascisti di sinistra diventeranno comunisti e socialisti).
E infatti Elio Vittorini (1908-1966), che collaborava a "Il Bargello", pubblicò a puntate fra il 1933 e il 1934 su "Solaria" il suo primo romanzo, Il garofano rosso (che fu in seguito vietato dalla censura), storia di uno studente borghese che disprezza la sua classe, è attirato dagli operai, viene da essi respinto, proprio in quanto borghese.       
La censura, come accennato, vietò il romanzo, giacché questo studente vive il crollo dello stato liberale non certo in maniera 'eroica', adatta alla'Italia luminosa' fascista, ma in maniera critica e antiborghese.
Quando l'Italia mussoliniana appoggiò il moto reazionario e fascista di Franco, (1936-1939) Vittorini si allontanò dal 'fascismo di sinistra' e scrisse di getto Conversazione in Sicilia (pubblicato a puntate nel 1938, e poi in volume nel 1942), in cui il protagonista torna in Sicilia, suo luogo natale, e attraverso una continua 'conversazione' con la madre, con la gente del popolo, attraverso una rivisitazione del paesaggio siciliano, popolato da uomini che soffrono rassegnati, egli riscopre il valore dell'essere umano e prende atto dell'offesa che all'uomo arrecano la discriminazione sociale, la miseria, l'oppressione del potere. Il romanzo vittoriniano diventa così anche il primo romanzo antifascista.
Chiaro punto di riferimento di Vittorini è il romanzo Gente in Aspromonte (1930) di Corrado Alvaro (1895-1956), che racconta la lotta di un ragazzo calabrese, figlio di poveri pastori, contro i ricchi possidenti.        
Gente in Aspromonte e Conversazione in Sicilia hanno come scenario la Calabria e la Sicilia, cioè il Meridione d'Italia. E infatti i due romanzi occupano un posto di grande rilievo nella narrativa meridionalistica, la quale a sua volta ha notevole rilievo nel realismo degli anni Trenta.

A tale narrativa meridionalistica appartiene anche Don Giovanni in Sicilia, del 1941, di Vitaliano Brancati (1907-1954). Brancati era stato dannunziano, fascista, e poi, anche grazie all'amicizia con Alvaro e Moravia, si avvicinò all'antifascismo.              
Il registro stilistico di Don Giovanni in Sicilia non è lirico, come in Gente in Aspromonte e in Conversazione in Sicilia, ma fortemente ironico. Si tratta della ironica descrizione della vita in una città siciliana, delle abitudini e dei miti dei suoi abitanti piccolo-borghesi, soprattutto dei giovani, fieri della loro 'mascolinità', che sognano l'avventura o il matrimonio con la donna nordica, ma con risultati deludenti.

Più “impegnata” è l'opera di Ignazio Silone (1900-1979), soprattutto il suo romanzo Fontamara, definito da Luigi Russo ("Italia Socialista", 10 giugno 1948) come "il poema epico-drammatico della plebe meridionale, in cui per la prima volta questa assurge a protagonista di una 'storia', acquista un volto." 
In un paese dell'Abruzzo i contadini, i 'cafoni', prendono progressivamente coscienza di quanto essi vengano sfruttati ed offesi dai ricchi proprietari, sostenuti dai fascisti.
Il romanzo è importante per diverse ragioni. In primo luogo fu scritto nel 1930 in esilio (a Davos), al fine di testimoniare al mondo la reale condizione del popolo italiano dietro la cortina che il fascismo gli aveva calato davanti.
Il manoscritto fu letto e apprezzato da Jakob Wassermann, fu tradotto in tedesco, non poté essere pubblicato dalla casa editrice Fischer a causa della presa del potere da parte nazista, fu allora stampato, nel 1933, a Zurigo, fu quindi tradotto in diverse lingue, fu pubblicato in italiano nel 1934, a spese dell'autore e presso una piccola tipografia di emigrati italiani a Parigi. Circolò clandestinamente in Italia, ed infine fu pubblicato da Mondadori nel 1949 e, in edizione definitiva, nel 1958.


Vitaliano Brancati


Dunque, se Vittorini, Alvaro, Brancati, Moravia, Pavese furono osteggiati ma in qualche modo tollerati dal regime, Silone, per la sua dichiarata fede comunista (Fu tra i fondatori del partito e poi, in chiara polemica e rifiuto dello stalinismo scrisse Uscita di Sicurezza, prima testimonianza, dall’interno, del totalitarismo staliniano), fu costretto all'esilio. 
          
La lezione de I Malavoglia di Verga è evidente nel romanzo di Silone.
In Fontamara l' 'eroe positivo' (che pure può essere individuato in Berardo Viola, uno dei cafoni), discende soprattutto dalla coralità del racconto, dalla diegesi stessa, e trova la sua massima concretizzazione nella declinazione finale del "che fare?" ("Hanno ammazzato Berardo Viola, che fare?", "Ci han tolta l'acqua, che fare?", "In nome della legge violano le nostre donne, che fare?"). Così la lezione di Verga si salda con il bisogno di ribellione, di denuncia, di impegno.

Originale nel realismo degli anni Trenta è il romanzo Tre operai, che Carlo Bernari (nato a Napoli nel 1909) riesce, tra varie difficoltà, a pubblicare nel 1934. Le difficoltà sono dovute al fatto che il romanzo viene guardato con sospetto dai censori del regime, e infatti il "Corriere della Sera" rifiuta una recensione favorevole per paura che l'opera sia pericolosa. Evidentemente già il titolo, che pone al centro il proletariato, desta il sospetto che nel libro compaia un impegno sociale troppo spinto, poco rispettoso dell'ortodossia fascista. In effetti Tre operai è l'unica opera del periodo che punti l'attenzione sul mondo operaio meridionale, sulle città di Napoli e di Taranto, nelle quali si stava sviluppando l'industrializzazione, anche se non con l'ampiezza con cui si era sviluppata nelle città del Nord.

La storia di Tre operai, Teodoro, Marco, Anna, nel periodo del 'biennio rosso' (1919-1920), delle loro esperienze d'amore e di lavoro, dei loro problemi esistenziali, della loro maturazione ideologica, in una Italia meridionale (soprattutto Napoli) lontanissima dalla tradizione 'turistica', ma analizzata storicamente con particolare attenzione alle differenze nei confronti del Nord, alle difficoltà dovute alla arretratezza, alle lotte operaie (spicca il capitolo XVII, intitolato "Agosto-settembre 1921: occupazione delle fabbriche"): tutto ciò costituisce il primo motivo di originalità del romanzo.

E vi è un secondo motivo. Bernari si considerava "crociano-socialista": da questa scelta ideologica derivavano l'interesse per la prospettiva storica e per il mondo operaio. Al tempo stesso egli aveva viaggiato, era stato a Parigi, era stato influenzato dal surrealismo, aveva cercato di fondare a Napoli un circolo letterario d'avanguardia. Questo secondo punto si nota nello stile dell'opera, si legga ad esempio l'inizio del capitolo XVII:
“I nostri due bravi operai arrivano intanto in città, e si recano ai Sindacati; Marco vuol presentare Teodoro come "uno che ci sa fare". In questo momento occorrono elementi capaci, dirà; ma egli pensa egoisticamente che Teodoro può essergli di grande aiuto nella Ferriera. I due debbono aspettare parecchio, prima di essere ricevuti dal vice segretario, che in questi giorni ha molto da fare. È appena finito uno sciopero, e già se ne profila un altro! Vi sono stati disordini in periferia e nel nord sono accaduti fatti piuttosto gravi da mobilitare polizia ed esercito”.
L'uso del verbo al presente, contro la classica narrazione al passato remoto, le rapide intrusioni del narratore 'nascosto', l'improvviso emergere dell'indiretto libero ("È appena finito uno sciopero, e già se ne profila un altro!": qui risuona, in forma di discorso indiretto libero, la voce dei personaggi, il punto esclamativo ne è un chiaro segno) testimoniano di una precisa volontà di sperimentazione.
Anche la struttura narrativa è originale: si tratta, è vero, di un romanzo neoverista, ma in realtà la scrittura è di tipo sperimentale: la terza persona molto spesso si soggettivizza, e la narrazione oggettiva lascia il posto al monologo interiore (d'altronde Bernari è molto attento alla lezione di Döblin, Dos Passos, Kafka). Ciò può spiegare la sorpresa che suscitò questo libro al suo apparire (nel 1934), l'opposizione del regime, l'isolamento successivo dello scrittore.


Cesare Pavese


Come si vede, il realismo degli anni Trenta è molto vario, c’è la reazione al frammentismo vociano, espresso dalla rivista La Voce, ma non il passivo ritorno al Verismo, è cioè compare anche la novità di nuovi contenuti: non è esclusa la poetica della memoria, il lirismo del ricordo (soprattutto evidente in Conversazione in Sicilia).

Ancora a proposito degli elementi compositi, eterogenei, che caratterizzano il Realismo negli anni trenta, e dei suoi rapporti con la grande letteratura europea, ricordiamo che Vittorini stesso nel 1929 scriveva che i romanzieri scoprivano una stretta parentela con Proust e Joyce, che Proust era il maestro più genuino, che Svevo, venuto all'ultimo momento, cioè scoperto e rivalutato,  aveva giovato più che vent'anni di pessima letteratura .

E ancora una questione dobbiamo trattare, per completare questo nostro quadro sommario. Vittorini fa pensare subito ad un altro scrittore, Cesare Pavese (1908-1950): essi hanno in comune la scoperta della cultura americana. Vittorini pubblica nel 1941 l'antologia Americana, immediatamente sequestrata dalla censura; per Pavese l'interesse affonda le radici nella formazione stessa.
Pavese si laurea nel 1930 con una tesi su Walt Whitman. Nello stesso 1930 egli pubblica il saggio Un romanziere americano, Sinclair Lewis, nel 1931 un saggio su Sherwood Anderson e uno su L'Antologia di Spoon River, nel 1932 un saggio su Herman Melville e pubblica anche la traduzione di Moby Dick, nel 1933 il saggio John Dos Passos e il romanzo americano.

Nessuno ha saputo meglio di Pavese stesso mettere a fuoco il ruolo culturale e di opposizione antifascista della 'scoperta dell'America'. Lo ha fatto in articoli e saggi che possono essere recuperati in attente bibliografie.
Pavese sottolinea bene l'impatto 'di massa' che ebbero le traduzioni di autori americani (e non solo: nel 1934 Pavese pubblica la traduzione di Dedalus di Joyce), la funzione di contrasto nei confronti della cultura ufficiale.
Ma non fu solamente questo: soprattutto per lui, per Pavese, la narrativa americana comportò una ricerca di lingua, di stile e di contenuti, attraverso il Middle West egli scoprì il Piemonte, la provincia contadina, e recuperò la lezione naturalistica di Verga, che egli combinava con la cultura decadente.
Esempio di ciò sono non solo le poesie di Lavorare stanca (1936), tentativo di impostazione di quella che l'autore chiamava 'poesia-racconto', cioè una poesia che anticipa il romanzo breve Paesi tuoi, che esce nel 1941, chiaramente influenzato da Faulkner e Cain.

In breve la trama. Berto, meccanico di Torino, e Talino, un campagnolo, escono dal carcere torinese e, dopo aver vagabondato in città, raggiungono la campagna da dove proviene Talino, la cui famiglia possiede una proprietà, e dove Berto pensa di trovare lavoro. Berto è attratto da Gisella, sorella di Talino, la quale è legata al fratello da un incesto che egli consuma con violenza. Durante la trebbiatura, a causa di un futile motivo (Gisella ha rifiutato di dargli dell'acqua), Talino colpisce la sorella con un tridente. La trebbiatura continua, mentre Gisella muore lentamente dissanguata.
Colpì in questo romanzo lo sperimentalismo stilistico e la crudezza del contenuto. Paesi tuoi fu attaccato dalla critica ufficiale fascista, ed è chiaro perché. Si ricordi la battaglia del grano mussoliniana che doveva apparire mitica e perfetto esempio di lavoro che realizza l’ideale nazionale e contadino di vita felice. Inoltre, per impedire che "la popolazione agricola eccedente continuasse a riversarsi in città, si dovette ricorrere a provvedimenti intesi a limitare il fenomeno dell'urbanesimo e la propaganda fascista si diede a esaltare la bellezza della vita rurale: la canzonetta Campagnola bella diventò in questo periodo uno dei motivi più in voga."

La realtà della campagna in Paesi tuoi non era affatto idillica, come in Campagnola bella, e faceva intravedere un contrasto con l’oleografia della campagna diffusa dalla dittatura.
Vittorini e altri critici elogiarono Paesi tuoi, ma rilevarono solo l'aspetto naturalistico, o neo-realistico, non quello mitico-simbolico: l'immagine della collina come mammella femminile, la terra sessuata, dotata di grembo e vagina, la morte stessa di Gisella "che ha il valore mitico di un rito iniziatico (il sacrificio per la messe) e non certo quello realistico di documento sociale".
L'opera successiva di Pavese si incaricherà di chiarire questi equivoci. Ciò che interessa qui notare è che il complesso panorama del realismo degli anni Trenta comprende anche questo: l'influenza della narrativa americana, in Pavese combinata con esperienze mitico-simboliche di derivazione decadente.       
Intanto si diffonde il vocabolo "neorealismo" (o "neo-realismo"), appare verso la fine degli anni venti quale calco del tedesco Neue Sachlichkeit e viene usato negli anni Trenta e poi nel secondo dopoguerra.

Ancora un esempio: il 23 settembre del 1934 Francesco Jovine scrive che ad una letteratura vuota di contenuto e ridotta a vana esercitazione retorica si oppone una letteratura che trae dalla realtà presente le proprie ragioni di vita. E tuttavia, secondo Jovine, "Per sfuggire alla retorica della pura forma i neo-realisti minacciano di crearne un'altra: quella del puro contenuto."

Ora, succede un fenomeno veramente singolare, che mostra del resto un dato di fatto: quanto sia dinamica e talvolta contraddittoria la vita culturale. Nel 1942 il regista Luchino Visconti lavora al film Ossessione, tratto dal romanzo The Postman always Rings Twice di James Cain: fu questo il primo film di quella straordinaria stagione cinematografica che vanta opere come Roma città aperta (1945), Sciuscià (1946), Paisà (1947), Ladri di biciclette (1948), e che fu chiamata appunto stagione del Neorealismo. 



    
Il 24 aprile 1965, nel fascicolo n. 17 di "Rinascita" (la rivista del Partito comunista italiano), Visconti raccontava: "Il termine 'neorealismo' nacque con Ossessione. Fu quando da Ferrara mandai a Roma i primi pezzi del film al mio montatore, che è Mario Serandrei. Dopo alcuni giorni egli mi scrisse esprimendo la sua approvazione per quelle scene. E aggiungeva: 'Non so come potrei definire questo tipo di cinema se non con l'appellativo di neorealistico'".

Comunque nel 1951 Eugenio Montale poté dire che "L'etichetta neorealistica è, almeno in Italia, di origine cinematografica", dimenticando che proprio lui aveva usato l'etichetta neo-realismo il 30 luglio 1942, in una recensione a Via de' Magazzini di Vasco Pratolini. Come si spiega questa contraddizione? Ci aiuta a capirlo Pavese, il quale nel 1950, in una intervista alla radio, parlò di "uno dei problemi più discussi della nostra cultura odierna", e cioè:“Parlo del cosiddetto influsso nordamericano, cioè non soltanto di me, Cesare Pavese, bensì di quella piccola rivoluzione che, intorno agli anni della guerra, ha mutato - dicono - la faccia della nostra narrativa. Quando si parla di Hemingway, Faulkner, Cain, Lee Masters, Dos Passos, del vecchio Dreiser, e del loro deprecato influsso su noi scrittori italiani, presto o tardi si pronuncia la parola fatale e accusatrice: neo-realismo. Ora, vorrei ricordare che questa parola ha soprattutto oggi un senso cinematografico, definisce dei film che, come Ossessione, Roma città aperta, Ladri di biciclette, hanno stupito il mondo - americani compresi - e sono apparsi una rivelazione di stile che in sostanza nulla o ben poco deve all'esempio di quel cinematografo di Hollywood che pure dominava in Italia negli stessi anni in cui vi si diffondevano i narratori americani. Come avviene che la stessa etichetta definisca con lode una cinematografia e con biasimo una narrativa, che pure sono nate contemporaneamente sullo stesso terreno intriso di succhi nordamericani?”




A questa domanda Pavese non risponde, egli nota che in effetti si può dire che gli americani hanno imparato in Europa il neo-realismo narrativo, così come adesso stanno imparando quello cinematografico, giacché le radici e i modelli storici della narrativa americana sono europei: per es. senza l'espressionismo tedesco e i russi non si spiegano né O'Neill né Faulkner, senza Maupassant non si spiegano Fitzgerald e Cain.
In altri termini, Pavese intende far notare che "non occorreva affatto uscire dall'Europa per diventare, come si dice, neo-realisti", giacché le radici del neorealismo sono in effetti europee. Comunque Pavese ci aiuta, come dicevo, a capire le contraddizioni nell'uso dell'etichetta di neorealismo. Egli sottolinea che oggi l'etichetta ha soprattutto un senso cinematografico, e un senso positivo.
In effetti: la bellezza, la forza espressiva, l'indiscusso valore artistico di film come Ossessione e Roma città aperta hanno fatto sì che l'etichetta di Neorealismo, si imponesse in modo, per così dire, autonomo rispetto all'uso, letterario, che ne era stato fatto in precedenza.


NOTE STORICHE DI CORNICE AL MOVIMENTO NEOREALISTA

La Resistenza e la crisi dell'unità antifascista
Il 25 luglio 1943 il re Vittorio Emanuele III fece arrestare Benito Mussolini e nominò capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio. Seguirono i così detti "quarantacinque giorni" del governo Badoglio che in un clima di repressione non molto inferiore a quella fascista, fra equivoci e irresponsabilità  condusse l'Italia all'armistizio con gli anglo-americani l'8 settembre dello stesso anno.
Mussolini intanto, liberato dai tedeschi, aveva creato il governo della Repubblica di Salò. L'Italia fu così divisa in due parti: al sud e, gradatamente, al centro, la monarchia e il governo di Badoglio, seguito poi da quello di Bonomi  sotto lo stretto controllo degli alleati; al nord il governo nazi-fascista.
Prima del 25 luglio un’azione di rilievo dei partiti antifascisti, che cominciavano a riorganizzarsi, era stata la creazione quasi contemporanea nell'aprile del '43 di due comitati, uno a Roma l'altro a Milano.
Prevalentemente moderato il primo, composto fra gli altri da liberali e democristiani, con forte presenza di uomini e idee legati al regime prefascista, prevalentemente rivoluzionario e intransigente il secondo, composto fra gli altri da socialisti e comunisti, i due comitati dissentirono sulla questione fondamentale del rapporto con la monarchia, giacché i moderati tendevano ad un accordo con il re, mentre i rivoluzionari pensavano ad un rovesciamento popolare della monarchia.

Si ebbe allora, proprio alla vigilia del 25 luglio, il primo compromesso, per così dire la prima 'coabitazione forzata': i rivoluzionari accettarono il tentativo di accordo con la monarchia, i moderati accettarono l'intervento popolare nel caso la monarchia si fosse mostrata intransigente.
L'azione del re bruciò sul tempo qualsiasi altra iniziativa dei partiti, i quali cominceranno a svolgere un ruolo sempre più importante solo a partire dall'8 settembre. Poche ore dopo l'annuncio dell'armistizio, infatti, fu fondato a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che con il suo primo messaggio chiamava gli italiani alla lotta.

Ma questa lotta assunse forme ben diverse al nord e al sud.  Così, mentre nell'Italia del nord e in Toscana la storia dei CLN [dei diversi Comitati di Liberazione Nazionali] si intreccia con quella della lotta partigiana, quella del CLN di Roma, di Napoli e di Bari, è soprattutto storia della lotta dei partiti tra di loro, con la monarchia e il suo governo. La differenza di esperienze, accentuata da quella di tradizioni, di mentalità e di cultura, e la diversa età degli uomini - prevalendo nelle province meridionali figure legate all'epoca prefascista e in quelle settentrionali uomini nuovi - si faranno sentire fortemente quando,finita la guerra, nord e sud verranno a contatto dopo quasi due anni di separazione.
Ecco dunque che il periodo '43-'45 si rivela di importanza fondamentale per capire i problemi, le contraddizioni, i contrasti che, al di là della tensione unitaria, caratterizzano l'azione antifascista e influenzano poi la storia politica dell'immediato dopoguerra.

All'indomani della Liberazione, infatti, quando, sparito il nemico nazifascista, si posero i problemi della ricostruzione economica e della conquista del potere politico, quei contrasti che già durante la guerra erano sorti all'interno della 'coabitazione forzata' diventarono aperto conflitto.
Due realtà diverse vennero a confronto: la realtà dell'Italia del nord e quella dell'Italia del sud e parzialmente del centro. Rivoluzionaria ed intransigente la prima, giacché nel nord il clima della Resistenza aveva determinato una tensione ideale verso mutamenti profondi nella struttura del paese; moderata ed accomodante, quella del sud.

Il "vento del nord", come fu chiamato lo spirito rivoluzionario resistenziale, riuscì ad imporre il primo ed unico governo progressista dell'immediato dopoguerra: il governo di Ferruccio Parri. Dirigente di spicco della Resistenza e del Partito d'azione, Parri formò un governo con la partecipazione di tutti i partiti del CLN, ma gli obiettivi di fondo del governo erano decisamente di sinistra.
Parri si proponeva di colpire la grande industria privata e monopolistica, cercando di estendere l'epurazione agli industriali che avevano sostenuto il fascismo e di imporre una tassa che colpiva le grandi industrie. L'alta borghesia, che mirava a tutt'altro (voleva una rapida ricostruzione degli impianti industriali e la riaffermazione del potere padronale nelle fabbriche), fu naturalmente ostile al governo Parri. A questo si aggiunse l'ostilità delle classi medie, "il cui tradizionale controllo dell'amministrazione veniva fortemente minacciato dai processi di epurazione e dai poteri assunti dai CLN", e l'ostilità degli Stati Uniti d'America.

La situazione fu ulteriormente complicata dalle rivendicazioni separatiste in Sardegna e in Sicilia. A causa dei dissensi sorti su tali questioni i liberali e poi i democristiani abbandonarono il governo, che cadde il 24 novembre 1945. Con la caduta del governo Parri si chiude di fatto l'epoca della Resistenza: il 10 dicembre nasce il primo governo a guida democristiana, il primo governo presieduto da Alcide De Gasperi, "l'ultimo a realizzarsi con il consenso di tutti e sei i partiti del CLN". (2009)



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