Dai realisti degli anni Trenta
al Neorealismo (anche cinematografico) degli anni Quaranta
al Neorealismo (anche cinematografico) degli anni Quaranta
(Alvaro, Jovine, Silone, Bernari, a Vittorini e Pavese)
Il percorso del realismo post
verghiano nella letteratura italiana ha avuto uno sviluppo curiosamente
atipico. E ad esclusione di Alberto Moravia con Gli Indifferenti, da subito
romanzo e autore in odore di antifascismo, gli altri scrittori crebbero nell’alveo
di riviste legate al regime e dal regime consentite. Nel 1933 la rivista
"L'universale" (1931-1936) pubblicò il Manifesto realista, che
chiamava la cultura italiana a offrire il proprio contributo alla 'rivoluzione
fascista', un contributo critico, cioè fatto anche di dissenso antiborghese,
anticapitalistico, anti-idealistico e dunque realistico. Anche gli
intellettuali che lavorano alla terza pagina de "Il Bargello",
settimanale della federazione fascista di Firenze, vogliono spazi di autonomia
all'interno del fascismo, in nome della cultura popolare e del rilancio degli
aspetti sociali del 'primo' fascismo.
Gli intellettuali che si
raccolgono intorno a "L'universale" e a "Il Bargello" sono
dunque fascisti, ma criticano - confusamente - la fisionomia che va assumendo
il regime; essi sono contrari alla filosofia di Giovanni Gentile, che appare
loro legata alla visione del mondo liberale, sono contro l'imborghesimento del
movimento fascista, esprimono idee vagamente anticapitaliste, si richiamano
alle origini 'rivoluzionarie' del fascismo che teorizzava, nel pasticcio
ideologico mussoliniano del 1919, il superamento del capitalismo e del
comunismo. Non si dimentichi che Mussolini, prima di diventare il fondatore del
fascismo, era stato direttore dell’Avanti e che poi socialista rivoluzionario,
come Arturo Labriola, nell’interventismo italiano propugnava una lotta dei
paesi poveri contro quelli ricchi; inoltre il Duce era stato suggestionato dal
futurista Marinetti cantore di programmi per andare oltre le leggi di Adam
Smith e Lenin; tale retorica strumentale
socialisteggiante, molto strumentale, e distorta, tornerà anche nel fascismo
“repubblicano” della Repubblica Sociale di Salò.
La base sociale di tali
atteggiamenti anticapitalistici, ma anche i più violentemente antosocialisti,
era costituita dai reduci, da quelli che avevano duramente combattuto nella
prima guerra mondiale e, al ritorno in patria, si trovavano a fare i conti con
la miseria, con la disoccupazione, e a prendere atto del fatto che una ristretta
classe di capitalisti si era invece arricchita grazie alla guerra.
Insomma, intorno a
"L'universale" e a "Il Bargello" si raccolgono i
cosìddettifascisti di sinistra, che riprendendo la polemica
anticapitalista-anticittadina e strapaesana de "Il Selvaggio",
intendono mantenere viva la dialettica all'interno del fascismo e l'autonomia
della base nei confronti dei quadri dirigenti. (Serve ricordare che durante la
Resistenza e nel dopoguerra, ifascisti di sinistra diventeranno comunisti e
socialisti).
E infatti Elio Vittorini
(1908-1966), che collaborava a "Il Bargello", pubblicò a puntate fra
il 1933 e il 1934 su "Solaria" il suo primo romanzo, Il garofano
rosso (che fu in seguito vietato dalla censura), storia di uno studente borghese
che disprezza la sua classe, è attirato dagli operai, viene da essi respinto,
proprio in quanto borghese.
La censura, come accennato, vietò
il romanzo, giacché questo studente vive il crollo dello stato liberale non
certo in maniera 'eroica', adatta alla'Italia luminosa' fascista, ma in maniera
critica e antiborghese.
Quando l'Italia mussoliniana
appoggiò il moto reazionario e fascista di Franco, (1936-1939) Vittorini si
allontanò dal 'fascismo di sinistra' e scrisse di getto Conversazione in Sicilia
(pubblicato a puntate nel 1938, e poi in volume nel 1942), in cui il
protagonista torna in Sicilia, suo luogo natale, e attraverso una continua
'conversazione' con la madre, con la gente del popolo, attraverso una
rivisitazione del paesaggio siciliano, popolato da uomini che soffrono
rassegnati, egli riscopre il valore dell'essere umano e prende atto dell'offesa
che all'uomo arrecano la discriminazione sociale, la miseria, l'oppressione del
potere. Il romanzo vittoriniano diventa così anche il primo romanzo
antifascista.
Chiaro punto di riferimento di
Vittorini è il romanzo Gente in Aspromonte (1930) di Corrado Alvaro (1895-1956),
che racconta la lotta di un ragazzo calabrese, figlio di poveri pastori, contro
i ricchi possidenti.
Gente in Aspromonte e
Conversazione in Sicilia hanno come scenario la Calabria e la Sicilia, cioè il
Meridione d'Italia. E infatti i due romanzi occupano un posto di grande rilievo
nella narrativa meridionalistica, la quale a sua volta ha notevole rilievo nel
realismo degli anni Trenta.
A tale narrativa meridionalistica
appartiene anche Don Giovanni in Sicilia, del 1941, di Vitaliano Brancati
(1907-1954). Brancati era stato dannunziano, fascista, e poi, anche grazie
all'amicizia con Alvaro e Moravia, si avvicinò all'antifascismo.
Il registro stilistico di Don
Giovanni in Sicilia non è lirico, come in Gente in Aspromonte e in
Conversazione in Sicilia, ma fortemente ironico. Si tratta della ironica
descrizione della vita in una città siciliana, delle abitudini e dei miti dei
suoi abitanti piccolo-borghesi, soprattutto dei giovani, fieri della loro
'mascolinità', che sognano l'avventura o il matrimonio con la donna nordica, ma
con risultati deludenti.
Più “impegnata” è l'opera di
Ignazio Silone (1900-1979), soprattutto il suo romanzo Fontamara, definito da
Luigi Russo ("Italia Socialista", 10 giugno 1948) come "il poema
epico-drammatico della plebe meridionale, in cui per la prima volta questa
assurge a protagonista di una 'storia', acquista un volto."
In un paese dell'Abruzzo i contadini,
i 'cafoni', prendono progressivamente coscienza di quanto essi vengano
sfruttati ed offesi dai ricchi proprietari, sostenuti dai fascisti.
Il romanzo è importante per
diverse ragioni. In primo luogo fu scritto nel 1930 in esilio (a Davos), al
fine di testimoniare al mondo la reale condizione del popolo italiano dietro la
cortina che il fascismo gli aveva calato davanti.
Il manoscritto fu letto e
apprezzato da Jakob Wassermann, fu tradotto in tedesco, non poté essere
pubblicato dalla casa editrice Fischer a causa della presa del potere da parte
nazista, fu allora stampato, nel 1933, a Zurigo, fu quindi tradotto in diverse
lingue, fu pubblicato in italiano nel 1934, a spese dell'autore e presso una
piccola tipografia di emigrati italiani a Parigi. Circolò clandestinamente in
Italia, ed infine fu pubblicato da Mondadori nel 1949 e, in edizione
definitiva, nel 1958.
Vitaliano Brancati
Dunque, se Vittorini, Alvaro,
Brancati, Moravia, Pavese furono osteggiati ma in qualche modo tollerati dal
regime, Silone, per la sua dichiarata fede comunista (Fu tra i fondatori del
partito e poi, in chiara polemica e rifiuto dello stalinismo scrisse Uscita di
Sicurezza, prima testimonianza, dall’interno, del totalitarismo staliniano), fu
costretto all'esilio.
La lezione de I Malavoglia di
Verga è evidente nel romanzo di Silone.
In Fontamara l' 'eroe positivo'
(che pure può essere individuato in Berardo Viola, uno dei cafoni), discende
soprattutto dalla coralità del racconto, dalla diegesi stessa, e trova la sua
massima concretizzazione nella declinazione finale del "che fare?"
("Hanno ammazzato Berardo Viola, che fare?", "Ci han tolta
l'acqua, che fare?", "In nome della legge violano le nostre donne,
che fare?"). Così la lezione di Verga si salda con il bisogno di
ribellione, di denuncia, di impegno.
Originale nel realismo degli anni
Trenta è il romanzo Tre operai, che Carlo Bernari (nato a Napoli nel 1909)
riesce, tra varie difficoltà, a pubblicare nel 1934. Le difficoltà sono dovute
al fatto che il romanzo viene guardato con sospetto dai censori del regime, e
infatti il "Corriere della Sera" rifiuta una recensione favorevole
per paura che l'opera sia pericolosa. Evidentemente già il titolo, che pone al
centro il proletariato, desta il sospetto che nel libro compaia un impegno sociale
troppo spinto, poco rispettoso dell'ortodossia fascista. In effetti Tre operai
è l'unica opera del periodo che punti l'attenzione sul mondo operaio
meridionale, sulle città di Napoli e di Taranto, nelle quali si stava
sviluppando l'industrializzazione, anche se non con l'ampiezza con cui si era
sviluppata nelle città del Nord.
La storia di Tre operai, Teodoro,
Marco, Anna, nel periodo del 'biennio rosso' (1919-1920), delle loro esperienze
d'amore e di lavoro, dei loro problemi esistenziali, della loro maturazione
ideologica, in una Italia meridionale (soprattutto Napoli) lontanissima dalla
tradizione 'turistica', ma analizzata storicamente con particolare attenzione
alle differenze nei confronti del Nord, alle difficoltà dovute alla
arretratezza, alle lotte operaie (spicca il capitolo XVII, intitolato
"Agosto-settembre 1921: occupazione delle fabbriche"): tutto ciò
costituisce il primo motivo di originalità del romanzo.
E vi è un secondo motivo. Bernari
si considerava "crociano-socialista": da questa scelta ideologica
derivavano l'interesse per la prospettiva storica e per il mondo operaio. Al
tempo stesso egli aveva viaggiato, era stato a Parigi, era stato influenzato
dal surrealismo, aveva cercato di fondare a Napoli un circolo letterario
d'avanguardia. Questo secondo punto si nota nello stile dell'opera, si legga ad
esempio l'inizio del capitolo XVII:
“I nostri due bravi operai
arrivano intanto in città, e si recano ai Sindacati; Marco vuol presentare
Teodoro come "uno che ci sa fare". In questo momento occorrono
elementi capaci, dirà; ma egli pensa egoisticamente che Teodoro può essergli di
grande aiuto nella Ferriera. I due debbono aspettare parecchio, prima di essere
ricevuti dal vice segretario, che in questi giorni ha molto da fare. È appena
finito uno sciopero, e già se ne profila un altro! Vi sono stati disordini in
periferia e nel nord sono accaduti fatti piuttosto gravi da mobilitare polizia
ed esercito”.
L'uso del verbo al presente,
contro la classica narrazione al passato remoto, le rapide intrusioni del
narratore 'nascosto', l'improvviso emergere dell'indiretto libero ("È
appena finito uno sciopero, e già se ne profila un altro!": qui risuona,
in forma di discorso indiretto libero, la voce dei personaggi, il punto
esclamativo ne è un chiaro segno) testimoniano di una precisa volontà di
sperimentazione.
Anche la struttura narrativa è
originale: si tratta, è vero, di un romanzo neoverista, ma in realtà la
scrittura è di tipo sperimentale: la terza persona molto spesso si
soggettivizza, e la narrazione oggettiva lascia il posto al monologo interiore
(d'altronde Bernari è molto attento alla lezione di Döblin, Dos Passos, Kafka).
Ciò può spiegare la sorpresa che suscitò questo libro al suo apparire (nel
1934), l'opposizione del regime, l'isolamento successivo dello scrittore.
Come si vede, il realismo degli
anni Trenta è molto vario, c’è la reazione al frammentismo vociano, espresso
dalla rivista La Voce, ma non il passivo ritorno al Verismo, è cioè compare
anche la novità di nuovi contenuti: non è esclusa la poetica della memoria, il
lirismo del ricordo (soprattutto evidente in Conversazione in Sicilia).
Ancora a proposito degli elementi
compositi, eterogenei, che caratterizzano il Realismo negli anni trenta, e dei
suoi rapporti con la grande letteratura europea, ricordiamo che Vittorini
stesso nel 1929 scriveva che i romanzieri scoprivano una stretta parentela con
Proust e Joyce, che Proust era il maestro più genuino, che Svevo, venuto
all'ultimo momento, cioè scoperto e rivalutato,
aveva giovato più che vent'anni di pessima letteratura .
E ancora una questione dobbiamo
trattare, per completare questo nostro quadro sommario. Vittorini fa pensare
subito ad un altro scrittore, Cesare Pavese (1908-1950): essi hanno in comune
la scoperta della cultura americana. Vittorini pubblica nel 1941 l'antologia
Americana, immediatamente sequestrata dalla censura; per Pavese l'interesse
affonda le radici nella formazione stessa.
Pavese si laurea nel 1930 con una
tesi su Walt Whitman. Nello stesso 1930 egli pubblica il saggio Un romanziere
americano, Sinclair Lewis, nel 1931 un saggio su Sherwood Anderson e uno su
L'Antologia di Spoon River, nel 1932 un saggio su Herman Melville e pubblica
anche la traduzione di Moby Dick, nel 1933 il saggio John Dos Passos e il romanzo
americano.
Nessuno ha saputo meglio di
Pavese stesso mettere a fuoco il ruolo culturale e di opposizione antifascista
della 'scoperta dell'America'. Lo ha fatto in articoli e saggi che possono
essere recuperati in attente bibliografie.
Pavese sottolinea bene l'impatto
'di massa' che ebbero le traduzioni di autori americani (e non solo: nel 1934
Pavese pubblica la traduzione di Dedalus di Joyce), la funzione di contrasto
nei confronti della cultura ufficiale.
Ma non fu solamente questo:
soprattutto per lui, per Pavese, la narrativa americana comportò una ricerca di
lingua, di stile e di contenuti, attraverso il Middle West egli scoprì il
Piemonte, la provincia contadina, e recuperò la lezione naturalistica di Verga,
che egli combinava con la cultura decadente.
Esempio di ciò sono non solo le
poesie di Lavorare stanca (1936), tentativo di impostazione di quella che
l'autore chiamava 'poesia-racconto', cioè una poesia che anticipa il romanzo
breve Paesi tuoi, che esce nel 1941, chiaramente influenzato da Faulkner e
Cain.
In breve la trama. Berto,
meccanico di Torino, e Talino, un campagnolo, escono dal carcere torinese e,
dopo aver vagabondato in città, raggiungono la campagna da dove proviene
Talino, la cui famiglia possiede una proprietà, e dove Berto pensa di trovare
lavoro. Berto è attratto da Gisella, sorella di Talino, la quale è legata al
fratello da un incesto che egli consuma con violenza. Durante la trebbiatura, a
causa di un futile motivo (Gisella ha rifiutato di dargli dell'acqua), Talino
colpisce la sorella con un tridente. La trebbiatura continua, mentre Gisella
muore lentamente dissanguata.
Colpì in questo romanzo lo
sperimentalismo stilistico e la crudezza del contenuto. Paesi tuoi fu attaccato
dalla critica ufficiale fascista, ed è chiaro perché. Si ricordi la battaglia
del grano mussoliniana che doveva apparire mitica e perfetto esempio di lavoro
che realizza l’ideale nazionale e contadino di vita felice. Inoltre, per
impedire che "la popolazione agricola eccedente continuasse a riversarsi
in città, si dovette ricorrere a provvedimenti intesi a limitare il fenomeno
dell'urbanesimo e la propaganda fascista si diede a esaltare la bellezza della
vita rurale: la canzonetta Campagnola bella diventò in questo periodo uno dei
motivi più in voga."
La realtà della campagna in Paesi
tuoi non era affatto idillica, come in Campagnola bella, e faceva intravedere
un contrasto con l’oleografia della campagna diffusa dalla dittatura.
Vittorini e altri critici
elogiarono Paesi tuoi, ma rilevarono solo l'aspetto naturalistico, o
neo-realistico, non quello mitico-simbolico: l'immagine della collina come
mammella femminile, la terra sessuata, dotata di grembo e vagina, la morte
stessa di Gisella "che ha il valore mitico di un rito iniziatico (il
sacrificio per la messe) e non certo quello realistico di documento
sociale".
L'opera successiva di Pavese si
incaricherà di chiarire questi equivoci. Ciò che interessa qui notare è che il
complesso panorama del realismo degli anni Trenta comprende anche questo:
l'influenza della narrativa americana, in Pavese combinata con esperienze
mitico-simboliche di derivazione decadente.
Intanto si diffonde il vocabolo
"neorealismo" (o "neo-realismo"), appare verso la fine
degli anni venti quale calco del tedesco Neue Sachlichkeit e viene usato negli
anni Trenta e poi nel secondo dopoguerra.
Ancora un esempio: il 23
settembre del 1934 Francesco Jovine scrive che ad una letteratura vuota di
contenuto e ridotta a vana esercitazione retorica si oppone una letteratura che
trae dalla realtà presente le proprie ragioni di vita. E tuttavia, secondo
Jovine, "Per sfuggire alla retorica della pura forma i neo-realisti
minacciano di crearne un'altra: quella del puro contenuto."
Ora, succede un fenomeno
veramente singolare, che mostra del resto un dato di fatto: quanto sia dinamica
e talvolta contraddittoria la vita culturale. Nel 1942 il regista Luchino
Visconti lavora al film Ossessione, tratto dal romanzo The Postman always Rings
Twice di James Cain: fu questo il primo film di quella straordinaria stagione
cinematografica che vanta opere come Roma città aperta (1945), Sciuscià (1946),
Paisà (1947), Ladri di biciclette (1948), e che fu chiamata appunto stagione
del Neorealismo.
Il 24 aprile 1965, nel fascicolo
n. 17 di "Rinascita" (la rivista del Partito comunista italiano),
Visconti raccontava: "Il termine 'neorealismo' nacque con Ossessione. Fu
quando da Ferrara mandai a Roma i primi pezzi del film al mio montatore, che è
Mario Serandrei. Dopo alcuni giorni egli mi scrisse esprimendo la sua
approvazione per quelle scene. E aggiungeva: 'Non so come potrei definire
questo tipo di cinema se non con l'appellativo di neorealistico'".
Comunque nel 1951 Eugenio Montale
poté dire che "L'etichetta neorealistica è, almeno in Italia, di origine
cinematografica", dimenticando che proprio lui aveva usato l'etichetta
neo-realismo il 30 luglio 1942, in una recensione a Via de' Magazzini di Vasco
Pratolini. Come si spiega questa contraddizione? Ci aiuta a capirlo Pavese, il
quale nel 1950, in una intervista alla radio, parlò di "uno dei problemi
più discussi della nostra cultura odierna", e cioè:“Parlo del cosiddetto
influsso nordamericano, cioè non soltanto di me, Cesare Pavese, bensì di quella
piccola rivoluzione che, intorno agli anni della guerra, ha mutato - dicono -
la faccia della nostra narrativa. Quando si parla di Hemingway, Faulkner, Cain,
Lee Masters, Dos Passos, del vecchio Dreiser, e del loro deprecato influsso su
noi scrittori italiani, presto o tardi si pronuncia la parola fatale e
accusatrice: neo-realismo. Ora, vorrei ricordare che questa parola ha
soprattutto oggi un senso cinematografico, definisce dei film che, come
Ossessione, Roma città aperta, Ladri di biciclette, hanno stupito il mondo -
americani compresi - e sono apparsi una rivelazione di stile che in sostanza
nulla o ben poco deve all'esempio di quel cinematografo di Hollywood che pure
dominava in Italia negli stessi anni in cui vi si diffondevano i narratori
americani. Come avviene che la stessa etichetta definisca con lode una cinematografia
e con biasimo una narrativa, che pure sono nate contemporaneamente sullo stesso
terreno intriso di succhi nordamericani?”
A questa domanda Pavese non
risponde, egli nota che in effetti si può dire che gli americani hanno imparato
in Europa il neo-realismo narrativo, così come adesso stanno imparando quello
cinematografico, giacché le radici e i modelli storici della narrativa
americana sono europei: per es. senza l'espressionismo tedesco e i russi non si
spiegano né O'Neill né Faulkner, senza Maupassant non si spiegano Fitzgerald e
Cain.
In altri termini, Pavese intende
far notare che "non occorreva affatto uscire dall'Europa per diventare,
come si dice, neo-realisti", giacché le radici del neorealismo sono in
effetti europee. Comunque Pavese ci aiuta, come dicevo, a capire le
contraddizioni nell'uso dell'etichetta di neorealismo. Egli sottolinea che oggi
l'etichetta ha soprattutto un senso cinematografico, e un senso positivo.
In effetti: la bellezza, la forza
espressiva, l'indiscusso valore artistico di film come Ossessione e Roma città
aperta hanno fatto sì che l'etichetta di Neorealismo, si imponesse in modo, per
così dire, autonomo rispetto all'uso, letterario, che ne era stato fatto in
precedenza.
NOTE STORICHE DI CORNICE AL
MOVIMENTO NEOREALISTA
La Resistenza e la crisi
dell'unità antifascista
Il 25 luglio 1943 il re Vittorio
Emanuele III fece arrestare Benito Mussolini e nominò capo del governo il
maresciallo Pietro Badoglio. Seguirono i così detti "quarantacinque
giorni" del governo Badoglio che in un clima di repressione non molto
inferiore a quella fascista, fra equivoci e irresponsabilità condusse l'Italia all'armistizio con gli
anglo-americani l'8 settembre dello stesso anno.
Mussolini intanto, liberato dai
tedeschi, aveva creato il governo della Repubblica di Salò. L'Italia fu così
divisa in due parti: al sud e, gradatamente, al centro, la monarchia e il
governo di Badoglio, seguito poi da quello di Bonomi sotto lo stretto controllo degli alleati; al
nord il governo nazi-fascista.
Prima del 25 luglio un’azione di
rilievo dei partiti antifascisti, che cominciavano a riorganizzarsi, era stata
la creazione quasi contemporanea nell'aprile del '43 di due comitati, uno a
Roma l'altro a Milano.
Prevalentemente moderato il
primo, composto fra gli altri da liberali e democristiani, con forte presenza
di uomini e idee legati al regime prefascista, prevalentemente rivoluzionario e
intransigente il secondo, composto fra gli altri da socialisti e comunisti, i
due comitati dissentirono sulla questione fondamentale del rapporto con la
monarchia, giacché i moderati tendevano ad un accordo con il re, mentre i
rivoluzionari pensavano ad un rovesciamento popolare della monarchia.
Si ebbe allora, proprio alla
vigilia del 25 luglio, il primo compromesso, per così dire la prima
'coabitazione forzata': i rivoluzionari accettarono il tentativo di accordo con
la monarchia, i moderati accettarono l'intervento popolare nel caso la
monarchia si fosse mostrata intransigente.
L'azione del re bruciò sul tempo
qualsiasi altra iniziativa dei partiti, i quali cominceranno a svolgere un
ruolo sempre più importante solo a partire dall'8 settembre. Poche ore dopo
l'annuncio dell'armistizio, infatti, fu fondato a Roma il Comitato di
Liberazione Nazionale (CLN) che con il suo primo messaggio chiamava gli
italiani alla lotta.
Ma questa lotta assunse forme ben
diverse al nord e al sud. Così, mentre
nell'Italia del nord e in Toscana la storia dei CLN [dei diversi Comitati di
Liberazione Nazionali] si intreccia con quella della lotta partigiana, quella
del CLN di Roma, di Napoli e di Bari, è soprattutto storia della lotta dei
partiti tra di loro, con la monarchia e il suo governo. La differenza di
esperienze, accentuata da quella di tradizioni, di mentalità e di cultura, e la
diversa età degli uomini - prevalendo nelle province meridionali figure legate
all'epoca prefascista e in quelle settentrionali uomini nuovi - si faranno
sentire fortemente quando,finita la guerra, nord e sud verranno a contatto dopo
quasi due anni di separazione.
Ecco dunque che il periodo
'43-'45 si rivela di importanza fondamentale per capire i problemi, le
contraddizioni, i contrasti che, al di là della tensione unitaria,
caratterizzano l'azione antifascista e influenzano poi la storia politica
dell'immediato dopoguerra.
All'indomani della Liberazione,
infatti, quando, sparito il nemico nazifascista, si posero i problemi della
ricostruzione economica e della conquista del potere politico, quei contrasti
che già durante la guerra erano sorti all'interno della 'coabitazione forzata'
diventarono aperto conflitto.
Due realtà diverse vennero a
confronto: la realtà dell'Italia del nord e quella dell'Italia del sud e
parzialmente del centro. Rivoluzionaria ed intransigente la prima, giacché nel
nord il clima della Resistenza aveva determinato una tensione ideale verso
mutamenti profondi nella struttura del paese; moderata ed accomodante, quella
del sud.
Il "vento del nord",
come fu chiamato lo spirito rivoluzionario resistenziale, riuscì ad imporre il
primo ed unico governo progressista dell'immediato dopoguerra: il governo di
Ferruccio Parri. Dirigente di spicco della Resistenza e del Partito d'azione,
Parri formò un governo con la partecipazione di tutti i partiti del CLN, ma gli
obiettivi di fondo del governo erano decisamente di sinistra.
Parri si proponeva di colpire la
grande industria privata e monopolistica, cercando di estendere l'epurazione
agli industriali che avevano sostenuto il fascismo e di imporre una tassa che
colpiva le grandi industrie. L'alta borghesia, che mirava a tutt'altro (voleva
una rapida ricostruzione degli impianti industriali e la riaffermazione del
potere padronale nelle fabbriche), fu naturalmente ostile al governo Parri. A
questo si aggiunse l'ostilità delle classi medie, "il cui tradizionale
controllo dell'amministrazione veniva fortemente minacciato dai processi di
epurazione e dai poteri assunti dai CLN", e l'ostilità degli Stati Uniti
d'America.
La situazione fu ulteriormente
complicata dalle rivendicazioni separatiste in Sardegna e in Sicilia. A causa
dei dissensi sorti su tali questioni i liberali e poi i democristiani
abbandonarono il governo, che cadde il 24 novembre 1945. Con la caduta del
governo Parri si chiude di fatto l'epoca della Resistenza: il 10 dicembre nasce
il primo governo a guida democristiana, il primo governo presieduto da Alcide
De Gasperi, "l'ultimo a realizzarsi con il consenso di tutti e sei i
partiti del CLN". (2009)
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