sabato 25 aprile 2015

Lavoro e cultura nel ‘900 italiano 4 - (Donna e lavoro) - A cura di Claudio Di Scalzo


Lavoro e cultura nel ‘900 italiano 4 
Donna e lavoro  
a cura di Claudio Di Scalzo

LA DONNA E IL LAVORO. L’avanzamento della donna nella società è parallelo al progresso dell’intero corpo sociale; l’emancipazione della donna è infatti parte integrante dello sviluppo complessivo dell’umanità verso sempre migliori condizioni di vita. La nostra Costituzione repubblicana, riconoscendo nell’articolo 3, pari dignità e pari condizioni a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, mette su un piano di perfetta parità giuridica l’uomo e la donna.

Più che di parità tra uomo e donna, concetto astratto e generico, si preferisce oggi parlare di “pari opportunità”, volendo con ciò significare la messa in atto di concrete iniziative che possono rimuovere, nella vita quotidiana e familiare e nell’ambito del lavoro, tutti gli ostacoli che condizionano le donne e ne riducono la possibilità.

Le leggi che in Italia tutelano il lavoro delle donne

Il lavoro delle donne è tutelato dalle seguenti leggi: legge 02.04.1934 n. 53, legge 09.01.1963 n. 7, legge 30.09.1971 n. 1204.
Le donne non possono essere adibite a lavori pericolosi, insalubri o faticosi; in particolare, non possono essere adibite a lavori sotterranei (in cave, miniere, gallerie) o notturni (tranne qualche caso: si pensi ai turni di notte delle infermiere negli ospedali).
Vige il divieto di licenziamento delle donne per causa di matrimonio (dal giorno della richiesta di pubblicazioni fino a un anno dopo la celebrazione) o per causa di maternità.
La legge tutela in particolar modo la maternità della donna lavoratrice (tutela delle lavoratrici madre), unitamente alla salute del bambino. Infatti la lavoratrice madre è tenuta ad osservare l’astensione obbligatoria dal lavoro nei due mesi precedenti al parto e nei tre successivi. In tali periodi ha diritto a percepire un’indennità giornaliera di maternità pari ad almeno il 50% circa della retribuzione. E’ prevista anche una astensione facoltativa di sei mesi entro il primo anno di vita del bambino; in tale periodo l’indennità giornaliera è pari almeno al 30% circa della retribuzione. Inoltre per tutto il primo anno di vita del bambino la lavoratrice madre ha diritto a due periodi di riposo giornalieri di un’ora ciascuno (permessi retribuiti che si vuol definire “per allattamento” e spettano comunque, anche se il bambino è allattato artificialmente).
In caso di malattia del bambino entro i primi tre anni di vita, la lavoratrice può astenersi dal lavoro per il periodo indispensabile, senza alcun diritto a percepire indennità. La legge n. 1044 del 1971 ha istituito un servizio di assistenza alla prima infanzia su scala nazionale (asili nido per bambini fino all’età di tre anni).
Sono qui riportate alcune leggi che ho ritenuto più importanti da citare in riguardo alla tutela della donna nell’ambito lavorativo:

Lavoro notturno:

Legge comunitaria del 1998 per il divieto assoluto delle donne al lavoro notturno durante la maternità sino al compimento di un anno di vita del bambino e il non obbligo fino a che il bambino ha 3 anni, nel caso di genitore unico, fino a 12 anni. Con la legge 903 del '77 il lavoro notturno era vietato alle sole dipendenti delle imprese manifatturiere. Con la legge varata nel '98, si regolamenta il lavoro notturno per tutti i settori pubblici e privati.
Imprenditoria femminile: L. 215 del 1992; l'imprenditoria femminile è in forte sviluppo: il 35% delle nuove imprese giovanili sono guidate da donne. Questa legge (promuove l'uguaglianza sostanziale, pari opportunità economiche e imprenditoriali) favorisce la nascita di imprese composte per il 60% da donne, società di capitali gestiti per almeno 2/3 da donne e imprese individuali, aumentano ogni anno. Le imprese sono tenute a mantenere la prevalenza femminile nella società per almeno cinque anni.

Parità salariale:

Art. 37 della Cost., regolato da una legge solo nel ’57 in applicazione di una convenzione internazionale del BIT. Con un accordo interconfederale del 1960 si decide l'eliminazione dai contratti collettivi nazionali di lavoro delle tabelle remunerative differenti per uomini e donne. Viene così sancita la parità formale e sostanziale tra uomini e donne nel mondo del lavoro. Le clausole di nubilato vengono definitivamente vietate con la legge n. 7 del '63.

 Maternità:

L. 1204 del 1971; viene estesa la tutela della maternità alle lavoratrici dipendenti. Amplia ed estende i diritti introdotti dalla prima legge (L. 860 varata nel 1950) sui diritti e le tutele delle lavoratrici, che definisce per la prima volta le assenze per maternità, ore di allattamento e divieto di licenziamento entro il primo anno di vita del bambino.
Asili nido:

L. 1044 del 1971; l'obiettivo di questa legge è realizzare un servizio a supporto delle famiglie e soprattutto delle donne, onde favorirne la permanenza nel mondo del lavoro anche dopo la nascita dei figli. Inoltre si è voluto affermare il diritto del bambino alla socializzazione e allo sviluppo armonico della sua personalità.

Legge di parità (in materia di lavoro):

L. 903 del 1977; ha rappresentato la più importante svolta culturale nei confronti delle donne. Si passa dal concetto di tutela per la donna lavoratrice al principio del diritto di parità nel campo del lavoro. Vengono introdotte norme più avanzate in materia di maternità e primi elementi di condivisione fra i genitori nella cura dei figli. Nel marzo 2000 con la legge 53 sui "congedi parentali" questa legge ha recepito i nuovi diritti di partner
Imprenditoria femminile:
L. 215 del 1992; l'imprenditoria femminile è in forte sviluppo: il 35% delle nuove imprese giovanili sono guidate da donne. Questa legge (promuove l'uguaglianza sostanziale, pari opportunità economiche e imprenditoriali) favorisce la nascita di imprese composte per il 60% da donne, società di capitali gestiti per almeno 2/3 da donne e imprese individuali, aumentano ogni anno. Le imprese sono tenute a mantenere la prevalenza femminile nella società per almeno cinque anni.

Divieto di licenziamento per le lavoratrici madri e puerpere; 1950, 7 dicembre, Legge n. 1630; Conservazione del posto di lavoro alle lavoratrici madri, 1951, 23 maggio, Legge n.394; Partecipazione delle donne all’amministrazione della giustizia nelle Corti di assise e nei Tribunali dei minorenni, 1956, 27 dicembre, Legge n. 1441; Per la tutela del rapporto del lavoro domestico, 1958, 20 febbraio, Legge n.75; Ammissione della donna ai pubblici uffici e alle professioni, 1963, 9 gennaio, Legge n.7.
 
Donne in ufficio, le cifre della disparità

Le donne e la politica. Su 150 494 consiglieri comunali solo 9 750 sono donne: il 6.5 per cento. E solo il 5.6 per cento degli assessori è di sesso femminile, mentre i sindaci in gonnella sono solo il 2.2 per cento.
Le donne e la burocrazia. Nei ministeri c’erano nel 1986 (ultimi dati disponibili) 6 mila dirigenti uomini contro 496 donne: meno dell’otto per cento.
Le donne e l’industria. Nel 1988 la Confederazione dei dirigenti d’azienda del Lazio vantava 1063 donne manager, contro le 1762 della Lombardia. In tutta Italia la percentuale era attorno al 3.3 per cento. L’Enel ha 32 donne ai posti di comando, l’1,6 per cento dei quadri dirigenti, La Fiat l’1,8 per cento.
Le donne e il lavoro. All’ufficio di collocamento di Napoli, su 12 mila chiamate, solo 2 mila interessano donne. Analoga la situazione nel resto dl paese.
Le donne e la ricerca scientifica. Nei laboratori sparsi per il paese un ricrcatore su tre è donna, ma negli uffici diventa uno su dieci.

Le donne e la pubblica amministrazione

Al comune di Roma, su 52 dirigenti, solo 3 donne: il direttore di una ripartizione di tributi, un direttore tecnico dell’ufficio ambiente, l’amministratore del giardino geologico.
Ecco, la legge “ sulle pari opportunità” nasce da qui. Da queste cifre buttate un po’ a acso, spesso nemmeno aggiornate. Numeri, percentuali che sono lo specchio di un predominio maschile nel mondo del lavoro che dura da secoli. Non è bastata la rivoluzione del femminismo. I paradossi della condizione femminile sin annidano nel cuore della società.


IL RUOLO DELLA DONNA NEL MONDO DEL LAVORO

Malgrado ci siano indicatori economici che testimoniano la vitalità nel mondo del lavoro da parte delle donne, il nostro paese registra ancora ritardi per lo sviluppo delle pari opportunità. Nel mercato del lavoro, la crescita della presenza femminile è un fenomeno ormai consolidato e costante. Le donne rappresentano ancora oggi poco più di 1/3 degli occupati italiani. (36% di fronte a una media europea del 42%). Ma sono le protagoniste della nuova occupazione; sui 228 mila occupati in più registrati tra il 1998 e il 1999, le donne rappresentano il 67%, con un volume complessivo di occupate cresciuto del 2% in un anno, mentre quello maschile è incrementato dello 0,6%. La vitalità femminile è particolarmente evidente nel lavoro autonomo, in 4 anni, tra il 1994n e il 1998, le donne imprenditrici sono cresciute del 56,6%, gli uomini del 25%), e nella libera professione, dove nell’arco degli stessi 4 anni, le donne sono aumentate del 51%: Ma l’Italia rimane in Europa il paese con il più basso tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro (pari al 44% nella fascia d’età dai 15 ai 65 anni, a fronte di una media  europea del 58%), con una partecipazione particolarmente ridotta tra le donne coniugate (tasso di attività pari al 36%). Una nuova via d’accesso al mercato sembra quella offerta dagli strumenti di flessibilità introdotti di recente. Rispetto al lavoro standard, le donne rappresentano il 34% degli occupati, ma questa percentuale sale sensibilmente nelle forme di lavoro atipico, arrivano al 43% nel lavoro interinale e parasubordinato. Nel lavoro dipendente le donne in posizioni medio-alte (quadri e dirigenti) sono arrivate nel 1998 a rappresentare il 33% del totale con una crescita del 26% in 4 anni. Anche nella libera professione le donne occupano settori un tempo prevalentemente maschili. Tra gli avvocati con meno di 30 anni, le giovani donne superano ormai la metà del totale. Ma non mancano segnali di profonda diversità: il reddito medio delle avvocatesse, ad esempio è meno della metà rispetto a quello degli avvocati uomini. In ambito universitario, le donne sono il 35% dei professori ordinari nelle facoltà umanistiche (le facol6tà “da donne”), ma la percentuale scende all’11%se si considera l’insieme di tutti i corsi di laurea. Le stesse potenzialità offerte da Internet ripropongono le differenze tra uomini e donne, se è vero che rimane intorno al 70% la percentuale di internauti  di sesso maschile , anche se va sottolineato come nella rete cresca costantemente la presenza di siti rivolti all’utenza femminile.



IMPRENDITORIA FEMMINILE

Imprenditoria femminile, si cambia. Il nuovo regolamento per la concessione dei contributi a quelle donne che vogliono fare impresa innova profondamente rispetto al passato. Vediamo perché. La legge 215 del 1992 che regola questa materia ha adesso a disposizione una cifra ben più elevata rispetto al passato per le agevolazioni: oltre 300 miliardi. Difatti d’ora in poi sarà possibile ottenere un contributo sia per una nuova iniziativa che per l’acquisto di un’attività preesistente. La domanda deve essere presentata o da una ditta individuale  composta da una donna, o da una società di persone cooperative dove il numero delle componenti di sesso femminile rappresenti almeno il 60% della compagine, o infine, da società pe razioni nelle quali i due terzi delle quote siano detenuti dal gentil sesso. I settori agevolabili variano dall’industria all’agricoltura, passando per il turismo e i servizi. Tra le spese non finanziabili ci sono, però, quelle per l’acquisto di terreni e fabbricati. La condizione è che si tratti di imprese minori in base alla normativa comunitaria, il che significa avere meno di 50 dipendenti e un fatturato annuo inferiore a sette milioni di euro. Almeno un quarto dell’investimento deve essere realizzato con capitali propri. L’incentivo viene erogato in conto capitale e, in base alle regole dell’Unione europea, si esprime in “equivalente sovvenzione”, sia essa netta o lorda. Tale contributo può coprire al massimo fino al 65% dell’intero investimento, ma solo nel Mezzogiorno, questo tetto può essere innalzato fino al 75%. La prima tranche dell’agevolazione è pari al 30% ed è pagata quando è stato realizzato un terzo dell’investimento. La restante parte, invece si eroga alla fine, quando l’investimento è completato e sono state presentate le relative fatture. Salvo un 10% che viene liquidato successivamente, dopo il controllo della documentazione di spesa. Una grande novità è costituita dal fatto che d’ora in poi sarà più semplice presentare le domande per accedere ai contributi, in quanto scompare l’obbligo di avere una perizia giuriata, basta che la richiesta sia fatta dal rappresentate legale della società. La finalità della legge sull’imprenditoria femminile è quella non solo di promuovere nuove attività imprenditoriali, ma anche di qualificare la professionalità delle imprenditrici e di promuovere la formazione e lo sviluppo delle capacità manageriali. Per comprendere meglio le intenzioni del legislatore, ed orientarsi sulle novità nel modo delle imprese al femminile, il testo integrale della norma vi farà da guida. Tutto ciò che volete sapere sui soggetti beneficiari, sui finanziamenti agevolati, e sul campo di applicazione della normativa in oggetto, lo troverete scorrendo i 13 articoli della seguente legge.



CELEBRAZIONI E LAVORO
 

Il Primo maggio: storia e significato di una ricorrenza

Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi. A lanciare l'idea è il congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni nella capitale francese :
"Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi".
Poi, quando si passa a decidere sulla data, la scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue.

Man mano che ci si avvicina al 1 maggio 1890 le organizzazioni dei lavoratori intensificano l'opera di sensibilizzazione sul significato di quell'appuntamento.

"Lavoratori - si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l'Internazionale!".
Monta intanto un clima di tensione, alimentato da voci allarmistiche: la stampa conservatrice interpreta le paure della borghesia, consiglia a tutti di starsene tappati in casa, di fare provviste, perché non si sa quali gravi sconvolgimenti potranno accadere.

Da parte loro i governi, più o meno liberali o autoritari, allertano gli apparati repressivi.
In Italia il governo di Francesco Crispi usa la mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e vietando qualsiasi manifestazione pubblica sia per la giornata del 1 maggio che per la domenica successiva, 4 maggio.

In diverse località, per incoraggiare la partecipazione del maggior numero di lavoratori, si è infatti deciso di far slittare la manifestazione alla giornata festiva.

Del resto si tratta di una scommessa dall'esito quanto mai incerto: la mancanza di un unico centro coordinatore a livello nazionale - il Partito socialista e la Confederazione generale del lavoro sono di là da venire - rappresenta un grave handicap dal punto di vista organizzativo. Non si sa poi in che misura i lavoratori saranno disposti a scendere in piazza per rivendicare un obiettivo, quello delle otto ore, considerato prematuro da gran parte dei dirigenti del movimento operaio italiano o per testimoniare semplicemente una solidarietà internazionale di classe.

Proprio per questo la riuscita del 1 maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità del movimento dei lavoratori, che per la prima volta dà vita ad una mobilitazione su scala nazionale, per di più collegata ad un'iniziativa di carattere internazionale.

In numerosi centri, grandi e piccoli, si svolgono manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una vasta partecipazione di lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera, dove gli operai, costretti a recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa.
"La manifestazione del 1 maggio - commenta a caldo Antonio Labriola - ha in ogni caso superato di molto tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti. Ancora pochi giorni innanzi, la opinione di molti socialisti, che operano con la parola e con lo scritto, era alquanto pessimista".
Anche negli altri paesi il 1 maggio ha un'ottima riuscita:
"Il proletariato d'Europa e d'America - afferma compiaciuto Fiedrich Engels - passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai capitalisti".
Visto il successo di quella che avrebbe dovuto essere una rappresentazione unica, viene deciso di replicarla per l'anno successivo.
Il 1 maggio 1891 conferma la straordinaria presa di quell'appuntamento e induce la Seconda Internazionale a rendere permanente quella che, da lì in avanti, dovrà essere la "festa dei lavoratori di tutti i paesi".

Tra Ottocento e Novecento

Inizia così la tradizione del 1 maggio, un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza. L'obiettivo originario delle otto ore viene messo da parte e lascia il posto ad altre rivendicazioni politiche e sociali considerate più impellenti. La protesta per le condizioni di miseria delle masse lavoratrici anima le manifestazioni di fine Ottocento.

Il 1 maggio 1898 coincide con la fase più acuta dei "moti per il pane", che investono tutta Italia e hanno il loro tragico epilogo a Milano. Nei primi anni del Novecento il 1 maggio si caratterizza anche per la rivendicazione del suffraggio universale e poi per la protesta contro l'impresa libica e contro la partecipazione dell'Italia alla guerra mondiale.

Si discute intanto sul significato di questa ricorrenza: giorno di festa, di svago e di divertimento oppure di mobilitazione e di lotta ?

Un binomio, questo di festa e lotta, che accompagna la celebrazione del 1 maggio nella sua evoluzione più che secolare, dividendo i fautori dell'una e dell'altra caratterizzazione.

Qualcuno ha inteso conciliare gli opposti, definendola una "festa ribelle", ma nei fatti il 1 maggio è l'una e l'altra cosa insieme, a seconda delle circostanze più lotta o più festa.

Il 1 maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori possono festeggiare il conseguimento dell'obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore.

Il ventennio fascista

Nel volgere di due anni però la situazione muta radicalmente: Mussolini arriva al potere e proibisce la celebrazione del 1 maggio.

Durante il fascismo la festa del lavoro viene spostata al 21 aprile, giorno del cosiddetto Natale di Roma; così snaturata, essa non dice più niente ai lavoratori, mentre il 1 maggio assume una connotazione quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per esprimere in forme diverse - dal garofano rosso all'occhiello alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alle bevute in osteria - l'opposizione al regime.

Dal dopoguerra a oggi

All'indomani della Liberazione, il 1 maggio 1945, partigiani e lavoratori, anziani militanti e giovani che non hanno memoria della festa del lavoro, si ritrovano insieme nelle piazze d'Italia in un clima di entusiasmo.

Appena due anni dopo il 1 maggio è segnato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito Giuliano fanno fuoco contro i lavoratori che assistono al comizio.

Nel 1948 le piazze diventano lo scenario della profonda spaccatura che, di lì a poco, porterà alla scissione sindacale. Bisognerà attendere il 1970 per vedere di nuovo i lavoratori di ogni tendenza politica celebrare uniti la loro festa.

Le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si offrono altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione del 1 maggio.

Oggi un'unica grande manifestazione unitaria esaurisce il momento politico, mentre il concerto rock che da qualche anno Cgil, Cisl e Uil organizzano per i giovani sembra aderire perfettamente allo spirito del 1 maggio, come lo aveva colto nel lontano 1903 Ettore Ciccotti:
"Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l'interruzione volontaria del lavoro cerca la sua corrispondenza in una festa de'sensi; e un'accolta di gente, chiamata ad acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive dell'avvenire, naturalmente è portata a quell'esuberanza di sentimento e a quel bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa".



…CONTINUA



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