Lavoro e cultura nel ‘900
italiano 4
Donna e lavoro
a cura di Claudio Di Scalzo
LA DONNA E IL LAVORO.
L’avanzamento della donna nella società è parallelo al progresso dell’intero
corpo sociale; l’emancipazione della donna è infatti parte integrante dello
sviluppo complessivo dell’umanità verso sempre migliori condizioni di vita. La
nostra Costituzione repubblicana, riconoscendo nell’articolo 3, pari dignità e
pari condizioni a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinione politica, mette su un piano di perfetta
parità giuridica l’uomo e la donna.
Più che di parità tra uomo e
donna, concetto astratto e generico, si preferisce oggi parlare di “pari
opportunità”, volendo con ciò significare la messa in atto di concrete
iniziative che possono rimuovere, nella vita quotidiana e familiare e
nell’ambito del lavoro, tutti gli ostacoli che condizionano le donne e ne
riducono la possibilità.
Le leggi che in Italia tutelano
il lavoro delle donne
Il lavoro delle donne è tutelato
dalle seguenti leggi: legge 02.04.1934 n. 53, legge 09.01.1963 n. 7, legge 30.09.1971
n. 1204.
Le donne non possono essere
adibite a lavori pericolosi, insalubri o faticosi; in particolare, non possono
essere adibite a lavori sotterranei (in cave, miniere, gallerie) o notturni
(tranne qualche caso: si pensi ai turni di notte delle infermiere negli
ospedali).
Vige il divieto di licenziamento
delle donne per causa di matrimonio (dal giorno della richiesta di
pubblicazioni fino a un anno dopo la celebrazione) o per causa di maternità.
La legge tutela in particolar
modo la maternità della donna lavoratrice (tutela delle lavoratrici madre),
unitamente alla salute del bambino. Infatti la lavoratrice madre è tenuta ad
osservare l’astensione obbligatoria dal lavoro nei due mesi precedenti al parto
e nei tre successivi. In tali periodi ha diritto a percepire un’indennità
giornaliera di maternità pari ad almeno il 50% circa della retribuzione. E’
prevista anche una astensione facoltativa di sei mesi entro il primo anno di
vita del bambino; in tale periodo l’indennità giornaliera è pari almeno al 30%
circa della retribuzione. Inoltre per tutto il primo anno di vita del bambino
la lavoratrice madre ha diritto a due periodi di riposo giornalieri di un’ora
ciascuno (permessi retribuiti che si vuol definire “per allattamento” e
spettano comunque, anche se il bambino è allattato artificialmente).
In caso di malattia del bambino
entro i primi tre anni di vita, la lavoratrice può astenersi dal lavoro per il
periodo indispensabile, senza alcun diritto a percepire indennità. La legge n.
1044 del 1971 ha istituito un servizio di assistenza alla prima infanzia su
scala nazionale (asili nido per bambini fino all’età di tre anni).
Sono qui riportate alcune leggi
che ho ritenuto più importanti da citare in riguardo alla tutela della donna
nell’ambito lavorativo:
Lavoro notturno:
Legge comunitaria del 1998 per il
divieto assoluto delle donne al lavoro notturno durante la maternità sino al
compimento di un anno di vita del bambino e il non obbligo fino a che il
bambino ha 3 anni, nel caso di genitore unico, fino a 12 anni. Con la legge 903
del '77 il lavoro notturno era vietato alle sole dipendenti delle imprese
manifatturiere. Con la legge varata nel '98, si regolamenta il lavoro notturno
per tutti i settori pubblici e privati.
Imprenditoria femminile: L. 215
del 1992; l'imprenditoria femminile è in forte sviluppo: il 35% delle nuove
imprese giovanili sono guidate da donne. Questa legge (promuove l'uguaglianza
sostanziale, pari opportunità economiche e imprenditoriali) favorisce la
nascita di imprese composte per il 60% da donne, società di capitali gestiti
per almeno 2/3 da donne e imprese individuali, aumentano ogni anno. Le imprese
sono tenute a mantenere la prevalenza femminile nella società per almeno cinque
anni.
Parità salariale:
Art. 37 della Cost., regolato da
una legge solo nel ’57 in applicazione di una convenzione internazionale del
BIT. Con un accordo interconfederale del 1960 si decide l'eliminazione dai
contratti collettivi nazionali di lavoro delle tabelle remunerative differenti
per uomini e donne. Viene così sancita la parità formale e sostanziale tra
uomini e donne nel mondo del lavoro. Le clausole di nubilato vengono
definitivamente vietate con la legge n. 7 del '63.
Maternità:
L. 1204 del 1971; viene estesa la
tutela della maternità alle lavoratrici dipendenti. Amplia ed estende i diritti
introdotti dalla prima legge (L. 860 varata nel 1950) sui diritti e le tutele
delle lavoratrici, che definisce per la prima volta le assenze per maternità,
ore di allattamento e divieto di licenziamento entro il primo anno di vita del
bambino.
Asili nido:
L. 1044 del 1971; l'obiettivo di
questa legge è realizzare un servizio a supporto delle famiglie e soprattutto
delle donne, onde favorirne la permanenza nel mondo del lavoro anche dopo la
nascita dei figli. Inoltre si è voluto affermare il diritto del bambino alla
socializzazione e allo sviluppo armonico della sua personalità.
Legge di parità (in materia di
lavoro):
L. 903 del 1977; ha rappresentato
la più importante svolta culturale nei confronti delle donne. Si passa dal
concetto di tutela per la donna lavoratrice al principio del diritto di parità
nel campo del lavoro. Vengono introdotte norme più avanzate in materia di
maternità e primi elementi di condivisione fra i genitori nella cura dei figli.
Nel marzo 2000 con la legge 53 sui "congedi parentali" questa legge
ha recepito i nuovi diritti di partner
Imprenditoria femminile:
L. 215 del 1992; l'imprenditoria
femminile è in forte sviluppo: il 35% delle nuove imprese giovanili sono
guidate da donne. Questa legge (promuove l'uguaglianza sostanziale, pari
opportunità economiche e imprenditoriali) favorisce la nascita di imprese
composte per il 60% da donne, società di capitali gestiti per almeno 2/3 da
donne e imprese individuali, aumentano ogni anno. Le imprese sono tenute a
mantenere la prevalenza femminile nella società per almeno cinque anni.
Divieto di licenziamento per le
lavoratrici madri e puerpere; 1950, 7 dicembre, Legge n. 1630; Conservazione
del posto di lavoro alle lavoratrici madri, 1951, 23 maggio, Legge n.394;
Partecipazione delle donne all’amministrazione della giustizia nelle Corti di
assise e nei Tribunali dei minorenni, 1956, 27 dicembre, Legge n. 1441; Per la
tutela del rapporto del lavoro domestico, 1958, 20 febbraio, Legge n.75;
Ammissione della donna ai pubblici uffici e alle professioni, 1963, 9 gennaio,
Legge n.7.
Donne in ufficio, le cifre della
disparità
Le donne e la politica. Su 150 494
consiglieri comunali solo 9 750 sono donne: il 6.5 per cento. E solo il 5.6 per
cento degli assessori è di sesso femminile, mentre i sindaci in gonnella sono
solo il 2.2 per cento.
Le donne e la burocrazia. Nei
ministeri c’erano nel 1986 (ultimi dati disponibili) 6 mila dirigenti uomini
contro 496 donne: meno dell’otto per cento.
Le donne e l’industria. Nel 1988
la Confederazione dei dirigenti d’azienda del Lazio vantava 1063 donne manager,
contro le 1762 della Lombardia. In tutta Italia la percentuale era attorno al
3.3 per cento. L’Enel ha 32 donne ai posti di comando, l’1,6 per cento dei
quadri dirigenti, La Fiat l’1,8 per cento.
Le donne e il lavoro. All’ufficio
di collocamento di Napoli, su 12 mila chiamate, solo 2 mila interessano donne.
Analoga la situazione nel resto dl paese.
Le donne e la ricerca
scientifica. Nei laboratori sparsi per il paese un ricrcatore su tre è donna,
ma negli uffici diventa uno su dieci.
Le donne e la pubblica
amministrazione
Al comune di Roma, su 52
dirigenti, solo 3 donne: il direttore di una ripartizione di tributi, un
direttore tecnico dell’ufficio ambiente, l’amministratore del giardino
geologico.
Ecco, la legge “ sulle pari
opportunità” nasce da qui. Da queste cifre buttate un po’ a acso, spesso
nemmeno aggiornate. Numeri, percentuali che sono lo specchio di un predominio
maschile nel mondo del lavoro che dura da secoli. Non è bastata la rivoluzione
del femminismo. I paradossi della condizione femminile sin annidano nel cuore
della società.
IL RUOLO DELLA DONNA NEL MONDO
DEL LAVORO
Malgrado ci siano indicatori
economici che testimoniano la vitalità nel mondo del lavoro da parte delle
donne, il nostro paese registra ancora ritardi per lo sviluppo delle pari
opportunità. Nel mercato del lavoro, la crescita della presenza femminile è un
fenomeno ormai consolidato e costante. Le donne rappresentano ancora oggi poco
più di 1/3 degli occupati italiani. (36% di fronte a una media europea del
42%). Ma sono le protagoniste della nuova occupazione; sui 228 mila occupati in
più registrati tra il 1998 e il 1999, le donne rappresentano il 67%, con un
volume complessivo di occupate cresciuto del 2% in un anno, mentre quello
maschile è incrementato dello 0,6%. La vitalità femminile è particolarmente
evidente nel lavoro autonomo, in 4 anni, tra il 1994n e il 1998, le donne
imprenditrici sono cresciute del 56,6%, gli uomini del 25%), e nella libera
professione, dove nell’arco degli stessi 4 anni, le donne sono aumentate del
51%: Ma l’Italia rimane in Europa il paese con il più basso tasso di
partecipazione femminile al mercato del lavoro (pari al 44% nella fascia d’età
dai 15 ai 65 anni, a fronte di una media
europea del 58%), con una partecipazione particolarmente ridotta tra le
donne coniugate (tasso di attività pari al 36%). Una nuova via d’accesso al
mercato sembra quella offerta dagli strumenti di flessibilità introdotti di
recente. Rispetto al lavoro standard, le donne rappresentano il 34% degli
occupati, ma questa percentuale sale sensibilmente nelle forme di lavoro
atipico, arrivano al 43% nel lavoro interinale e parasubordinato. Nel lavoro
dipendente le donne in posizioni medio-alte (quadri e dirigenti) sono arrivate
nel 1998 a rappresentare il 33% del totale con una crescita del 26% in 4 anni.
Anche nella libera professione le donne occupano settori un tempo
prevalentemente maschili. Tra gli avvocati con meno di 30 anni, le giovani
donne superano ormai la metà del totale. Ma non mancano segnali di profonda
diversità: il reddito medio delle avvocatesse, ad esempio è meno della metà
rispetto a quello degli avvocati uomini. In ambito universitario, le donne sono
il 35% dei professori ordinari nelle facoltà umanistiche (le facol6tà “da
donne”), ma la percentuale scende all’11%se si considera l’insieme di tutti i
corsi di laurea. Le stesse potenzialità offerte da Internet ripropongono le
differenze tra uomini e donne, se è vero che rimane intorno al 70% la
percentuale di internauti di sesso
maschile , anche se va sottolineato come nella rete cresca costantemente la
presenza di siti rivolti all’utenza femminile.
IMPRENDITORIA FEMMINILE
Imprenditoria femminile, si
cambia. Il nuovo regolamento per la concessione dei contributi a quelle donne
che vogliono fare impresa innova profondamente rispetto al passato. Vediamo
perché. La legge 215 del 1992 che regola questa materia ha adesso a disposizione
una cifra ben più elevata rispetto al passato per le agevolazioni: oltre 300
miliardi. Difatti d’ora in poi sarà possibile ottenere un contributo sia per
una nuova iniziativa che per l’acquisto di un’attività preesistente. La domanda
deve essere presentata o da una ditta individuale composta da una donna, o da una società di
persone cooperative dove il numero delle componenti di sesso femminile
rappresenti almeno il 60% della compagine, o infine, da società pe razioni
nelle quali i due terzi delle quote siano detenuti dal gentil sesso. I settori
agevolabili variano dall’industria all’agricoltura, passando per il turismo e i
servizi. Tra le spese non finanziabili ci sono, però, quelle per l’acquisto di
terreni e fabbricati. La condizione è che si tratti di imprese minori in base
alla normativa comunitaria, il che significa avere meno di 50 dipendenti e un
fatturato annuo inferiore a sette milioni di euro. Almeno un quarto
dell’investimento deve essere realizzato con capitali propri. L’incentivo viene
erogato in conto capitale e, in base alle regole dell’Unione europea, si
esprime in “equivalente sovvenzione”, sia essa netta o lorda. Tale contributo
può coprire al massimo fino al 65% dell’intero investimento, ma solo nel
Mezzogiorno, questo tetto può essere innalzato fino al 75%. La prima tranche
dell’agevolazione è pari al 30% ed è pagata quando è stato realizzato un terzo
dell’investimento. La restante parte, invece si eroga alla fine, quando
l’investimento è completato e sono state presentate le relative fatture. Salvo
un 10% che viene liquidato successivamente, dopo il controllo della
documentazione di spesa. Una grande novità è costituita dal fatto che d’ora in
poi sarà più semplice presentare le domande per accedere ai contributi, in
quanto scompare l’obbligo di avere una perizia giuriata, basta che la richiesta
sia fatta dal rappresentate legale della società. La finalità della legge
sull’imprenditoria femminile è quella non solo di promuovere nuove attività
imprenditoriali, ma anche di qualificare la professionalità delle imprenditrici
e di promuovere la formazione e lo sviluppo delle capacità manageriali. Per
comprendere meglio le intenzioni del legislatore, ed orientarsi sulle novità
nel modo delle imprese al femminile, il testo integrale della norma vi farà da
guida. Tutto ciò che volete sapere sui soggetti beneficiari, sui finanziamenti
agevolati, e sul campo di applicazione della normativa in oggetto, lo troverete
scorrendo i 13 articoli della seguente legge.
CELEBRAZIONI E LAVORO
Il Primo maggio: storia e
significato di una ricorrenza
Il 1° maggio nasce il 20 luglio
1889, a Parigi. A lanciare l'idea è il congresso della Seconda Internazionale,
riunito in quei giorni nella capitale francese :
"Una grande manifestazione
sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i
paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle
pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di
mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi".
Poi, quando si passa a decidere
sulla data, la scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima
infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a
Chicago, era stata repressa nel sangue.
Man mano che ci si avvicina al 1
maggio 1890 le organizzazioni dei lavoratori intensificano l'opera di
sensibilizzazione sul significato di quell'appuntamento.
"Lavoratori - si legge in un
volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il 1 maggio di far
festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti,
lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la
differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti
concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli
oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva
l'Internazionale!".
Monta intanto un clima di
tensione, alimentato da voci allarmistiche: la stampa conservatrice interpreta
le paure della borghesia, consiglia a tutti di starsene tappati in casa, di
fare provviste, perché non si sa quali gravi sconvolgimenti potranno accadere.
Da parte loro i governi, più o
meno liberali o autoritari, allertano gli apparati repressivi.
In Italia il governo di Francesco
Crispi usa la mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e vietando
qualsiasi manifestazione pubblica sia per la giornata del 1 maggio che per la
domenica successiva, 4 maggio.
In diverse località, per incoraggiare
la partecipazione del maggior numero di lavoratori, si è infatti deciso di far
slittare la manifestazione alla giornata festiva.
Del resto si tratta di una
scommessa dall'esito quanto mai incerto: la mancanza di un unico centro
coordinatore a livello nazionale - il Partito socialista e la Confederazione
generale del lavoro sono di là da venire - rappresenta un grave handicap dal
punto di vista organizzativo. Non si sa poi in che misura i lavoratori saranno
disposti a scendere in piazza per rivendicare un obiettivo, quello delle otto
ore, considerato prematuro da gran parte dei dirigenti del movimento operaio
italiano o per testimoniare semplicemente una solidarietà internazionale di
classe.
Proprio per questo la riuscita
del 1 maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità del
movimento dei lavoratori, che per la prima volta dà vita ad una mobilitazione
su scala nazionale, per di più collegata ad un'iniziativa di carattere
internazionale.
In numerosi centri, grandi e
piccoli, si svolgono manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una
vasta partecipazione di lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera,
dove gli operai, costretti a recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa.
"La manifestazione del 1
maggio - commenta a caldo Antonio Labriola - ha in ogni caso superato di molto
tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti. Ancora
pochi giorni innanzi, la opinione di molti socialisti, che operano con la
parola e con lo scritto, era alquanto pessimista".
Anche negli altri paesi il 1
maggio ha un'ottima riuscita:
"Il proletariato d'Europa e
d'America - afferma compiaciuto Fiedrich Engels - passa in rivista le sue forze
mobilitate per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa
giornata aprirà gli occhi ai capitalisti".
Visto il successo di quella che
avrebbe dovuto essere una rappresentazione unica, viene deciso di replicarla
per l'anno successivo.
Il 1 maggio 1891 conferma la
straordinaria presa di quell'appuntamento e induce la Seconda Internazionale a
rendere permanente quella che, da lì in avanti, dovrà essere la "festa dei
lavoratori di tutti i paesi".
Tra Ottocento e Novecento
Inizia così la tradizione del 1
maggio, un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con
sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza. L'obiettivo originario
delle otto ore viene messo da parte e lascia il posto ad altre rivendicazioni
politiche e sociali considerate più impellenti. La protesta per le condizioni
di miseria delle masse lavoratrici anima le manifestazioni di fine Ottocento.
Il 1 maggio 1898 coincide con la
fase più acuta dei "moti per il pane", che investono tutta Italia e
hanno il loro tragico epilogo a Milano. Nei primi anni del Novecento il 1
maggio si caratterizza anche per la rivendicazione del suffraggio universale e
poi per la protesta contro l'impresa libica e contro la partecipazione
dell'Italia alla guerra mondiale.
Si discute intanto sul
significato di questa ricorrenza: giorno di festa, di svago e di divertimento
oppure di mobilitazione e di lotta ?
Un binomio, questo di festa e
lotta, che accompagna la celebrazione del 1 maggio nella sua evoluzione più che
secolare, dividendo i fautori dell'una e dell'altra caratterizzazione.
Qualcuno ha inteso conciliare gli
opposti, definendola una "festa ribelle", ma nei fatti il 1 maggio è
l'una e l'altra cosa insieme, a seconda delle circostanze più lotta o più
festa.
Il 1 maggio 1919 i metallurgici e
altre categorie di lavoratori possono festeggiare il conseguimento
dell'obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore.
Il ventennio fascista
Nel volgere di due anni però la
situazione muta radicalmente: Mussolini arriva al potere e proibisce la
celebrazione del 1 maggio.
Durante il fascismo la festa del
lavoro viene spostata al 21 aprile, giorno del cosiddetto Natale di Roma; così
snaturata, essa non dice più niente ai lavoratori, mentre il 1 maggio assume
una connotazione quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per
esprimere in forme diverse - dal garofano rosso all'occhiello alle scritte sui
muri, dalla diffusione di volantini alle bevute in osteria - l'opposizione al
regime.
Dal dopoguerra a oggi
All'indomani della Liberazione,
il 1 maggio 1945, partigiani e lavoratori, anziani militanti e giovani che non
hanno memoria della festa del lavoro, si ritrovano insieme nelle piazze
d'Italia in un clima di entusiasmo.
Appena due anni dopo il 1 maggio
è segnato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito
Giuliano fanno fuoco contro i lavoratori che assistono al comizio.
Nel 1948 le piazze diventano lo
scenario della profonda spaccatura che, di lì a poco, porterà alla scissione
sindacale. Bisognerà attendere il 1970 per vedere di nuovo i lavoratori di ogni
tendenza politica celebrare uniti la loro festa.
Le trasformazioni sociali, il
mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si
offrono altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al
progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione del 1 maggio.
Oggi un'unica grande
manifestazione unitaria esaurisce il momento politico, mentre il concerto rock
che da qualche anno Cgil, Cisl e Uil organizzano per i giovani sembra aderire
perfettamente allo spirito del 1 maggio, come lo aveva colto nel lontano 1903
Ettore Ciccotti:
"Un giorno di riposo diventa
naturalmente un giorno di festa, l'interruzione volontaria del lavoro cerca la
sua corrispondenza in una festa de'sensi; e un'accolta di gente, chiamata ad
acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive
dell'avvenire, naturalmente è portata a quell'esuberanza di sentimento e a quel
bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa".
…CONTINUA
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