La figura femminile nel secondo
dopoguerra
Questo breve viaggio abbraccia
l’arco di tempo trascorso dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi e
che quindi ci porterà verso l’incerta linea di confine che separa la storia
dalla cronaca. Negli anni fra le due guerre vengono ripresi e approfonditi
molti dei temi culturali che erano balenati nella complessa ricerca del primo
900. La nostra letteratura si svolge, in questo periodo, nell'atmosfera oscurantistica
e oppressiva del Fascismo. Vi furono intellettuali che tradirono la loro
missione per piegarsi all'adulazione servile e alle esigenze della propaganda,
ma la maggioranza dei nostri scrittori più vivi (ad esempio Eugenio Montale e
Cesare Pavese) furono scrittori d'opposizione.
Durante gli anni ‘60 i mutamenti
demografici, economici e sociali portarono in tutto l’Occidente a una nuova
ondata di femminismo. La diminuzione del tasso di mortalità infantile,
l’aumento generalizzato della speranza di vita e la diffusione della pillola
contraccettiva alleviarono il carico di responsabilità e lavoro delle donne
relativamente alla cura dei figli. Questi mutamenti, combinati da una parte con
l’inflazione (che comportò per molte famiglie la necessità del doppio
stipendio) e dall’altra con l’aumentato numero di casi di divorzio, indussero
un numero crescente di donne a entrare nel mondo del lavoro. Il movimento
femminista in quegli anni mise in discussione le istituzioni sociali e i valori
dominanti, fondando le proprie critiche su studi che dimostravano l’origine
culturale e non biologica delle supposte differenze tra uomo e donna.
Il primo documento del femminismo
italiano porta la data del 1° dicembre 1966 e si intitola “Manifesto
programmatico del gruppo Demau”. Demau era l’abbreviazione di Demistificazione
dell’autoritarismo patriarcale. In realtà né il gruppo né il suo manifesto
avevano molto a che fare con la demistificazione dell’autoritarismo. Il tema
centrale del manifesto, come dei testi che gli faranno seguito nel ‘67 (“Alcuni
problemi sulla questione femminile”) e nel ‘68 (“Il maschile come valore
dominante”), è la contraddizione tra donne e società.
Il principale bersaglio polemico
del Demau è la politica di “integrazione della donna nell’attuale società”. La
polemica è indirizzata specialmente alle numerose associazioni e movimenti
femminili che si interessano della donna e della sua emancipazione.
Coerentemente, le autrici
attaccano i trattamenti di favore, leggi o altri provvedimenti, riservati alle
sole donne perché queste, volendo o dovendo inserirsi nel mondo del lavoro,
possano continuare ad assolvere il tradizionale ruolo femminile. Nella società
in cui si inserisce la donna scopre inevitabilmente che il femminile è “privo
di qualsiasi valore sociale”. Avviene di conseguenza che la singola, trovandosi
confrontata con la sfera del maschile, abbia la sola alternativa di
“mascolinizzarsi” o rifugiarsi nel vecchio ruolo femminile. In ogni caso la
sostanza del potere maschile e della società che su di esso si basa rimane
immutata.
A metà degli anni ‘60 negli USA
gli studenti delle università incominciarono un movimento di contestazione, che
si allargò velocemente, a macchia d’olio. Gli studenti avevano iniziato a
protestare contro il governo degli USA perché aveva partecipato alla guerra tra
il Vietnam del Nord e il Vietnam del Sud, a fianco di quest’ultimo. I ragazzi
non erano d’accordo con la guerra. Il loro pacifismo trovò come forma di
protesta la disobbedienza civile. Scelsero cioè di disobbedire a quelle leggi
dello stato, che andavano contro la loro coscienza, rischiando per questo di
frequente la prigione. Da forma di protesta contro il governo, il movimento
degli studenti divenne ben presto qualche cosa di più e di molto più esteso. Si
incominciò a discutere che significato avesse la politica. Che cosa fosse
pubblico e che cosa privato. Si andò formando un movimento liberatorio. Le
donne contribuirono a questo movimento in modo originale. Scelsero una strada
autonoma, in quanto, pur partendo anche loro dalla contestazione nei confronti
delle gerarchie, misero in evidenza che quelle gerarchie erano composte in
genere e per la maggior parte di uomini e che dunque i principi e le norme che
regolavano la società erano scelti e sostenuti più dagli uomini che dalle
donne. Esisteva, secondo loro, un intreccio molto stretto tra dominio sociale e
sessualità maschile. Per questo la pratica che queste donne scelsero fu quella
di separarsi con un gesto chiaro anche dal movimento politico degli studenti: anche
i capi di questo movimento erano uomini.
Separarsi politicamente
significava organizzare incontri di riflessione solo fra donne, escludendo
decisamente qualsiasi presenza maschile. Nel discutere tra loro le donne si
esponevano personalmente in tutte le sfaccettature della loro esperienza. Non
si trattava infatti soltanto di contestare una legge dello stato, una
gerarchia, ma di saper vedere anche nella propria vita di ogni giorno i segni
del predominio maschile. Significava perciò analizzare insieme alle altre gli
amori, le fantasie, i legami affettivi nella famiglia e nelle amicizie. Se il
dominio era un dominio maschile, esso attraversava non solo la vita pubblica ma
anche quella privata.
Alla fine degli anni ‘60 il
movimento degli studenti si diffuse in tutta l’Europa, sia quella democratica
che quella comunista. In Italia, in Francia, in Germania questo movimento
antigerarchico e di contestazione delle leggi si mescolò con i diversi
movimenti comunisti, che si opponevano anch’essi alle leggi e alle gerarchie,
ma con lo scopo ben preciso di costruire una nuova forma di comunismo. Il
maggio del ‘68 a Parigi fu il momento dell’esplosione della contestazione in
Francia e fu come un segnale per il resto d’Europa.
Agli inizi degli anni ‘70, le
donne europee ripresero le pratiche già sperimentate dalle donne statunitensi:
fecero propria sia la critica alle gerarchie come generalmente maschili sia il
separarsi dagli uomini per ragionare tra donne di sé e di quello che stavano
vivendo.
In Italia si riconosce
generalmente a Carla Lonzi non solo di aver fatto conoscere le scelte delle
americane ma soprattutto di aver ragionato a fondo sulla pratica della
conoscenza di sé nei gruppi di donne.
Nel 1970 l’uguaglianza non era
ancora raggiunta e già si doveva sopportare, oltre alla perdurante
discriminazione, il peso nuovo di un inserimento sociale alla pari con l’uomo.
Era troppo e quasi bruscamente la prospettiva di portarsi alla pari con l’altro
sesso perse le sue attrattive. Alcune, molte, le voltarono le spalle per
aprirsi una strada tutta diversa, quella del separatismo femminile. Da sempre,
si può dire, le donne hanno l’abitudine di trovarsi fra loro per parlare delle
loro cose al riparo dall’orecchio maschile.
Dal femminismo viene la proposta
entusiasmante di abbattere strutture e assunzioni inaccettabili, per lasciare
fluire i veri pensieri e i sentimenti. Le donne non devono più adeguarsi alle
opinioni altrui, “abbiamo finalmente trovato la libertà di pensare, dire, fare
ed essere ciò che noi decidiamo. Compresa la libertà di sbagliare”, che per
alcune è stata la cosa più liberatoria.
Fino al 1975 circa i gruppi
autonomi di donne sono stati gruppi la cui attività principale consisteva nel
parlare. Intorno al 1975 cominciarono a costituirsi gruppi che si dedicarono
alla realizzazione di qualcosa, come librerie, biblioteche, case editrici,
luoghi di ritrovo. Nasce la cosiddetta pratica del fare tra donne. Nell’ottobre
del 1975 si apri a Milano la “Libreria delle donne”, dopo dieci mesi circa di
preparazione.
La Libreria sarà dunque un
“centro di raccolta e di vendita di opere delle donne”.
La scelta di tenere e vendere
soltanto opere di donne viene motivata con l’importanza che ha avuto e ha per
noi il conoscere ciò che altre hanno pensato prima di noi e con il proposito di
privilegiare i prodotti del pensiero femminile contro il misconoscimento
sociale del loro valore.
In quello stesso anno, a Milano,
nasce la casa editrice La Tartaruga, dedicata alla letteratura femminile. Primo
titolo del catalogo, Le tre ghinee di Virginia Woolf. Si cominciò con la scelta
delle scrittrici e dei romanzi da leggere. Le preferite risultarono essere Jane
Austen, Emily Brontë, Charlotte Brontë,Elsa Morante e Virginia Woolf.
Le donne nel femminismo
riprendono idee della psicoanalisi e del materialismo, ma in forma originale,
perché ciò che le guida è seguire la via che porta alla consapevolezza di ciò
che si è senza doversi inventare diverse da sé né migliorarsi per raggiungere
un altro modo di essere.
La cornice storica della fine
degli anni ‘60 e dell’inizio dei ‘70 ci serve per meglio comprendere il testo
che è al centro della filosofia di quegli anni:Speculum. L’altra donna di Luce
Irigaray. Guardando più specificatamente al panorama della produzione italiana
contemporanea, notiamo che è da sempre viva, nel nostro paese, una letteratura
scritta da donne per le donne: si tratta per lo più di opere narrative, che
soprattutto per le tematiche affrontate coinvolgono in modo praticamente
esclusivo l’universo femminile. La novità degli ultimi decenni in questo ambito
consiste soprattutto nell’innalzamento qualitativo di queste opere, che fa
seguito probabilmente alla maggiore preparazione culturale raggiunta dalle
donne, oltre che alla loro più cosciente maturità. Rientrano in questa
categoria, più o meno programmaticamente, tutti quei romanzi incentrati sulle
vicende biografico-sentimentali di eroine dei nostri giorni che tanto successo
ottengono in sede di premi letterari: si pensi, per un esempio significativo al
best-seller di Susanna Tamaro Va’ dove ti porta il cuore (1993).
Non possiamo risalire il corso
del tempo fino ad arrivare prima di quel momento in cui la nostra differenza
dall’uomo fu interpretata come un essere da meno. Non faremo dipendere la
libertà femminile, la nostra e quella delle nostre simili, dai progressi di una
cultura che da tempo immemore si è nutrita di disprezzo per il nostro sesso.
Faremo viceversa. Ci legheremo in un patto di libertà con le nostre simili
affinché la società si liberi dal disprezzo per il sesso femminile. Le donne
per sopravvivere si sono date e si danno un aiuto materiale e simbolico così
elementare che, se viene a mancare, non c'è garanzia sociale che possa
sostituirlo, né religione, né leggi, né galateo.
Eventi che hanno caratterizzato
l’emancipazione femminile
Nel secolo XIX cominciarono a
comparire in Inghilterra e negli Stati Uniti i primi movimenti e gruppi di
cosiddette “sufragette”. Erano le donne che prendevano coscienza dei propri
diritti e reclamavano la possibilità di votare. L'obiettivo era che il
suffragio fosse realmente universale, e non universale solo degli uomini. È
logico che tale movimento ebbe il suo sorgere negli stati in cui già da tempo
era in vigore l'esercizio della democrazia rappresentativa, anche perché spesso
in quella società persisteva un'oppressione puritana dalla quale le donne
volevano giustamente liberarsi (vedi La lettera scarlatta diNathaniel Hawtorne
e soprattutto i romanzi di Virginia Woolf). Queste idee si realizzarono
all'inizio del secolo XX, con le prime leggi che concedevano quel diritto
appunto in quegli stati.
E in Italia? Si dovette aspettare
il 2 giugno 1946 per vedere riconosciuto questo diritto, in verità più per la
presa di coscienza di alcuni uomini politici illuminati e di poche donne
politiche, come Nilde Jotti, che non per la presenza di un vero e proprio
movimento femminile nel nostro paese. Quest'ultimo si ebbe solo sull'onda delle
manifestazioni studentesche del 1968, con la nascita dei primi collettivi
femministi. Si passò in pochi anni da canzoni come “Non ho l'età” ad altre di
carattere opposto, come “Non sono una signora”. Molte più donne incominciarono
perfino a far politica, soprattutto nei ranghi del Partito Radicale, come Adele
Faccio e la giovane Emma Bonino, o dei partiti della sinistra, ma anche della
Democrazia Cristiana, come Tina Anselmi, che fu anche il primo ministro donna
della nostra repubblica. In questa fase il processo di emancipazione non
investì più solo il piano della rappresentanza politica, ma si spostò in tutti
i campi della società. Si arrivò allora a dichiarazioni “radicali”, del tipo:
«l'utero è mio e me lo gestisco io» a «l'uomo a casa e la donna al lavoro»,
ecc.
Sembrava che la donna, per
liberarsi, dovesse abbandonare il ruolo di madre e tutta la sua femminilità. In
fondo anche questa poteva diventare una vittoria dell'uomo, che riusciva a
rendere “maschile” anche l'altro sesso. Molti film insistono ancora oggi su una
immagine virile della donna, che diventa poliziotto, soldato, e supera l'uomo
in un campo che non è il suo (la violenza e la sopraffazione). In altri film
commerciali la donna torna ad essere oggetto stupido e inconsapevole nelle mani
dell'uomo gaudente (vedi le varie serie diVacanze di Natale e simili). Forse
sono le donne-registe come Jane Campionle uniche che riescono a descrivere
l’universo femminile con intensità senza cadere negli slogan. Dal punto di
vista politico, qualche anno fa è nato il ministero delle pari opportunità,
proprio perché talvolta le affermazioni di diritto non coincidono con quelle di
fatto, e le donne faticano ancora oggi ad occupare tutti i posti che sono
ricoperti dagli uomini. Il cammino, a quanto pare, è ancora lungo.
La Donna e l’Islam
La tragedia americana dell’11 settembre,
con le migliaia di vittime del terrorismo islamico, ha riproposto
drammaticamente il tema dei rapporti tra Oriente e Occidente e richiamato
l’attenzione sulla situazione della vita all’interno di paesi di religione
musulmana.
La curiosità e gli interrogativi
maggiori di noi europei, riguardano il ruolo della donna nei paesi dell’Islam.
Le donne che vediamo in televisione o nelle fotografie dei giornali,
interamente coperte dalle loro vesti e con il velo che copre i loro visi ci
fanno immaginare una realtà contemporanea diversa dalla nostra, con un mondo
femminile completamente sottomesso a quello maschile. C’è stata, sicuramente,
una certa evoluzione negli ultimi anni e le donne hanno assunto ruoli pubblici
e professionali proibiti in passato, ma la tradizione vuole una donna
considerata inferiore all’uomo resiste tuttora. Rimane un retaggio di un mondo
passato anche se si aprono particolarmente in alcuni paesi prospettive di
cambiamento, mentre in altri si devono fare i conti con regimi repressivi dove
alle donne è vietato uscire dalle case senza autorizzazione e sono in pratica
sepolte sotto i burqua, quelle vesti che coprono anche gli occhi.
In altri paesi la situazione è
molto differente e la presenza femminile è ormai simile a quella che si riscontra
nel resto del mondo, ma ci sono settori rimasti inaccessibili alla
partecipazione femminile, quali l’esercito, la burocrazia, la giustizia.
L’obbligo del velo nella maggior parte dei paesi islamici è tuttavia ancora
presente, e di questa imposizione si è occupato anche Amnesty International in
un rapporto sulla donna nel 1995. Nella società occidentale il velo delle donne
islamiche viene interpretato come simbolo dell’oppressione e allo stesso tempo
dell’arretratezza della società di quei paesi che l’impongono.
Un altro problema è quello della
dignità matrimoniale: la donna spesso viene assegnata ad un giovane. Il
matrimonio è combinato dai genitori e i figli devono sottostare senza
possibilità di dissenso. L’idea della donna, nei paesi dell’Islam, sia considerata
un essere inferiore e debole è assai diffuso anche nella letteratura.
Già nel 1859 Gustav Flaubert in
una lettera alla sua amica Louis Colet così scriveva: «La donna orientale è una
macchina e niente più; non trova differenza tra un uomo e un altro uomo».
Tappe storiche dell'emancipazione
femminile in Italia
1678 Lucrezia Cornaro, giovane di vastissima cultura (parla
correntemente 6 lingue ed è studiosa di teologia e filosofia), diventa, per
incarico della Repubblica di Venezia, la prima professoressa universitaria.
1758 La bolognese Anna Morandi, occupa la cattedra di anatomia
all'Università di Firenze.
Nei moti carbonari del 1821 si
distingueranno le donne chiamate in codice “giardiniere”, ma si tratta soltanto
di casi isolati, in generale, nelle donne si continua a vedere solo qualcuno da
destinare alla cura della casa e dei figli, da tenere lontano dalle attività
politiche e sociali.
1889 Viene fondato a Varese il primo sindacato femminile che difende
i diritti delle tessitrici.
1907 Entra in vigore la prima legge sulla tutela del lavoro
femminile e minorile. La prima donna italiana, la torinese Ernestina Prola,
ottiene la patente per la guida automobilistica.
Maria Montessori fonda, nel
quartiere popolare di S. Lorenzo, a Roma, la prima “casa del bambino”.
1908 Anno di fondazione dell'Unione Donne di Azione Cattolica
(UDACI), che cerca di opporsi alla laicizzazione della scuola e di promuovere
la cultura femminile.
1912 Sulla scia della Lega Socialista, nata agli inizi del secolo,
si costituisce l'Unione nazionale delle donne socialiste. Da qualche tempo esule
in Italia, Anna Michailovna Kuliscioff, a fianco di Filippo Turati, lavora per
inserire la donna nella vita politica e affinché lo Stato riconosca i suoi
diritti. Nel “Primo Congresso delle Donne Italiane”, al quale parteciparono
tanto le donne cattoliche quanto le socialiste, le ideologie e le mete, però,
differiscono troppo fra loro e ciascun gruppo intraprende strade differenti,
perseguendo obbiettivi diversi.
1918 Nasce la Gioventù Cattolica, destinata a formare le giovani
dall'infanzia fino ai 30 anni alla vita religiosa e sociale.
1931 Il Fascismo abolisce tutte le associazioni cattoliche e solo
dopo la ferma presa di posizione di Pio XI, permetterà loro di vivere a
condizione che esse abbiano solo uno scopo religioso.
Tuttavia la seconda guerra mondiale,
assai più della prima, porterà la donna, ad occupare anche posti di grande
responsabilità civile considerati fino a quel momento soltanto “maschili”
ottenendo non di rado risultati anche migliori. L'apporto dato dalla donna alla
Resistenza è stato spesso insostituibile.
1945 Nascono il Centro Femminile Italiano (CIF) che si propone di
ottenere la ricostruzione della Patria, devastata dalla guerra e impoverita già
precedentemente dalla politica ambiziosa di Mussolini, attraverso la giusta
valorizzazione delle risorse femminili, e l'Unione Donne Italiane (UDI),
propaggine del Partito Comunista, che si propone di coinvolgere attivamente le
donne nella vita del Paese.
Anche in Italia (1946) dopo
Svezia (1866), Finlandia (1906), Norvegia (1909), Danimarca (1915), U.R.S.S.
(1917), Inghilterra (1918), Stati Uniti (1920) e Francia (1945) fu riconosciuto
alle donne il diritto di voto.
1950 Viene emanata la prima legge che garantisce la conservazione
del posto di lavoro per la lavoratrice madre.
1951 Angela Cingolani, democristiana, è la prima donna
sottosegretario d'Italia.
1958 È approvata dal Parlamento, una legge, proposta dalla senatrice
Lina Merlin (socialista), in cui si sancisce la chiusura dei bordelli, la legge
che aveva lo scopo di eliminare dal Paese la piaga della prostituzione, mostra
subito i suoi limiti, infatti la prostituzione dalle famose “case chiuse”, si
riversa nelle strade, non diminuendo affatto il giro di affari.
1959 Nasce il Corpo di Polizia femminile.
1961 Le donne possono intraprendere senza più ostacoli la carriera
della magistratura e della diplomazia.
1963 Alle casalinghe viene riconosciuto il diritto alla pensione di
invalidità e vecchiaia.
1975 Entra in vigore il nuovo Diritto di famiglia.
1976 Per la prima volta in Italia una donna, la democristiana Tina
Anselmi, assume la carica di Ministro di un settore piuttosto difficile: quello
del Lavoro.
1979 Leonilde Jotti (comunista) è eletta presidente della Camera dei
Deputati italiana. La francese Simone Weil, è eletta presidente del Parlamento
Europeo.
Le tappe dell'emancipazione
femminile in Italia, da questo momento in poi, si susseguono una dietro l'altra
con un ritmo incalzante.
Il ruolo della donna, nonostante
ci sia ancora tanta strada da percorrere, è giunto ad avere un pieno riconoscimento
in tutte le società occidentali.
Non dobbiamo dimenticare, però,
che molto è stato fatto e che parecchi obiettivi sono stati raggiunti, grazie
soprattutto al lavoro e all'impegno di molte donne, che hanno contribuito
lavorando senza raggiungere la fama, nell'ombra, con il loro quotidiano impegno,
a volte con sacrificio, affinché ci fosse uguaglianza effettiva e non soltanto
a parole fra i sessi.
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