giovedì 23 aprile 2015

Il Decadentismo. I protagonisti. Le opere fondamentali. A cura di Claudio Di Scalzo


Decadentismo: Corrente letteraria europea che ebbe origine in Francia e si sviluppò in Europa, tra gli anni ottanta dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento.
 In questo periodo  nuovi atteggiamenti intellettuali e scelte di gusto stravolgono i valori del Positivismo e i modelli letterari del Realismo. L’idea che si possa giungere a una visione oggettiva e assoluta della realtà entra in crisi e viene sostituita dal sentimento di una profonda inquietudine psicologica ed esistenziale. Il termine "Decadentismo" nacque con l'accezione negativa di "decadenza", sentita come il declino non soltanto letterario ma di un'intera civiltà, e ancora prima di diventare il titolo di una rivista letteraria francese era stato utilizzato dalla critica per definire l'opera di quegli scrittori che manifestavano un'insubordinazione al gusto e alla morale della borghesia, divenuta classe egemone e garante dello status quo dopo l'esaurirsi della spinta rivoluzionaria del 1848. La letteratura del Decadentismo propone anche in Italia numerose esperienze, nel simbolismo di Giovanni Pascoli e nell’estetismo di Gabriele D’annunzio, fino alle prove più mature del romanzo psicologico di Luigi Pirandello e Italo Svevo.


INDICE

Introduzione
La Visione del Mondo Decadente
La Poetica sul Decadentismo
Coordinate storiche del Decadentismo
I personaggi   
Arthur Schopenhauer 
 Friedrich  Nietzsche,
La nascita della poesia moderna          
Charles Baudelaire   
GustaveFlaubert         


INTRODUZIONE

Il Decadentismo appare come la somma di manifestazioni anche molto differenti tra loro: al suo interno tuttavia si possono individuare dei denominatori comuni che consentono di usare una formula unica e onnicomprensiva.
Nel 1886 venne pubblicato il manifesto Le Symbolisme (Il Simbolismo) e questo termine soppiantò l’altro, infatti, nell’ambito delle aree culturali nazionali, in particolare inglese e francese, il termine “decadentismo” non venne molto usato, fu quindi soppiantato, in Francia, appunto dal termine “Simbolismo”. In Inghilterra venne usato il termine Estetismo riguardo ai Preraffaeliti a Wilde, Yeats, Pater e  Ruskin.


LA VISIONE DEL MONDO DECADENTE

La visione del mondo decadente è un irrazionalismo che riprende ed esaspera posizioni già fortemente presenti nella cultura romantica della prima metà dell’800.
Viene radicalmente rifiutata la visione positivista, che costituisce il sostrato dell’opinione corrente borghese e sostiene che la realtà è un complesso di fenomeni regolati da ferme leggi della natura; individuate le quali, è possibile avere una conoscenza oggettiva e totale della realtà e, attraverso di essa, il dominio dell’uomo sul mondo, il progresso, il trionfo sui mali che affliggono l’umanità.
Il decadentismo ed il positivismo hanno due significati opposti. Mentre nel positivismo, in cui si aveva una grande fiducia nella realtà che veniva osservata attraverso metodi scientifici, l’uomo poteva verificare i mali e quindi intervenire per sanarli, con il decadentismo si afferma, al contrario, la sfiducia nella realtà concreta.
Il “decadente” ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza della realtà, perché l’essenza di essa è al di là delle cose, per questo, solo rinunciando alla razionalità si può attingere all’ignoto, al mistero, all’inconoscibile.
Egli, inoltre, è convinto che al di là degli aspetti oggettivi dei singoli elementi della realtà, tutti gli aspetti dell’essere sono legati tra loro da arcane analogie e corrispondenze, in cui ogni cosa è simbolo di qualcosa di più profondo che sta al di là di essa ed è collegata con infinite altre realtà che solo la percezione di alcuni esseri privilegiati può individuare.
In contrapposizione alla fiducia che i positivisti avevano nella realtà e nel metodo scientifico, che era lo strumento per studiare la realtà, i decadenti sostengono che: “LA REALTA’ CHE NOI VEDIAMO E’ APPARENZA; LA VERA REALTA’ E’ QUELLA CHE STA DIETRO ALLE APPARENZE”. Ma per “VERA REALTA’” intendiamo tutte quelle realtà, nascoste dietro a ciò che noi percepiamo concretamente, che sono legate tra loro, formandone così una unica; però c’è da dire che solo gli spiriti privilegiati riescono a scorgere questa vera realtà, poiché riescono ad intuire cosa c’è dietro alle normali apparenze. C’è quindi da notare che non tutti gli uomini sono uguali, perché solamente alcuni, vale a dire quelli dotati di forte sensibilità, riescono a carpire ciò che sta dietro all’apparenza.
Tale tesi dell’unità del tutto era già stata espressa da Baudelaire (In Corrispondence dei Fiori del male). Questi era un poeta francese che visse prima del Decadentismo, però già aveva avuto delle intuizioni: “LA REALTA’ E’ UN TUTT’UNICO”.
La visione decadente propone quindi una sostanziale identità tra l’io e il mondo; una rete profonda li unisce al di là degli stati superficiali delle realtà, in una zona in cui l’individualità scompare e si fonde con il tutto.
La scoperta dell’inconscio è il dato fondamentale della cultura decadente, senza di essa non sarebbe possibile capire niente dei prodotti artistici e della concezione propria del decadentismo.
Freud nel 1899 darà sistemazione scientifica a queste conoscenze nella “Interpretazione dei sogni”, al fine di dominare l’inconscio e porlo sotto il controllo dell’io.
Il Decadentismo risente dei fenomeni storici in cui si sviluppa. I positivisti cominciano a capire che la realtà in cui credono non dà la conoscenza assoluta e Freud lo conferma attraverso una spiegazione scientifica.
“TUTTA LA REALTA’ CHE STA INTORNO A NOI È CONTROLLABILE”, poiché un individuo ha una sfera di conscio (la quale ci consente di capire le cose che, poi, noi possiamo volontariamente richiamare alla nostra mente) e una sfera di inconscio (una vita che ci appartiene ma di cui noi non abbiamo la consapevolezza, per esempio le esperienze vissute nel grembo materno che noi non conosciamo).
Quindi la scoperta dell’inconscio, come realtà effettiva, rende i decadenti ancora più consapevoli che ciò che noi percepiamo concretamente è fenomenico.
I decadenti rifiutano tale posizione scientifica e si abbandonano nel vortice tenebroso che distrugge ogni legame razionale alla ricerca di una realtà più vera.
I decadenti contestano Freud perché dicono: “NOI, COME ESSERI UMANI, POSSIAMO SOLO, OGNI TANTO, RUBARE, CAPIRE UN PEZZO DI REALTA’”.
Poiché la scienza non può consentire la scoperta della realtà, gli strumenti privilegiati per cogliere il vero sono gli stati abnormi e irrazionali dell’esistere: la malattia, la follia, il delirio, la nevrosi, il sogno, l’incubo, l’allucinazione. Questi stati di alterazione, sottraendoci al controllo della ragione, permettono, magari confusamente, di vedere il mistero che sta dietro alle cose.
Gli stati di alterazione possono essere prodotti anche artificialmente, attraverso l’uso di alcool, oppio, hashish, ecc… Infatti, la cultura della droga ha origine nell’area del Romantico-Decadente, in cui si cercano stimoli per entrare in contatto con l’assoluto, per fornire ispirazione artistica. Per carpire qualcosa di assoluto, l’uomo deve abbandonare la sua sfera razionale entrando così in quella della droga e dell’alcool che alterano le nostre facoltà razionali facendoci perdere il controllo di noi stessi. Molti poeti, soprattutto francesi, moriranno intossicati da queste sostanze.
Ci sono poi altre forme di estasi che consentono l’intuizione dell’ignoto e dell’assoluto: il PANISMO, che consente all’uomo di confondersi nella natura e diventare parte integrante di essa (es. D’Annunzio) e le EPIFANIE, rivelazioni improvvise dell’assoluto, anche in realtà apparentemente comuni ed insignificanti.

LA POETICA SUL DECADENTISMO

L’arte è il mezzo privilegiato per conoscere la realtà. Gli artisti non solo sono abili artefici capaci di adoperare magicamente la parola, la nota, il colore, ma possono essere considerati dei “veggenti” capaci di vedere al di là delle apparenze, dove l’uomo comune non vede nulla; essi sono in grado di esplorare dimensioni nuove dell’essere, di rivelare l’assoluto.
Gli artisti sono esseri con una sensibilità privilegiata e più profonda dell’uomo comune e riescono  a vedere la verità assoluta che sta al di là delle apparenze e a tradurla attraverso una nota, una parola, un colore, ecc…
L’arte è dunque il prodotto di un’illuminazione suprema (“Illuminazioni” è una raccolta di prose liriche di Rimbaud).
L’arte è quindi il valore più assoluto che riesce ad assorbire in sé tutti gli altri valori.
Questo culto dell’arte ha dato origine al fenomeno dell’Estetismo.
L’esteta è colui che assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali, bensì il bello. La sua vita viene trasformata in un’opera d’arte; egli va alla ricerca di sensazioni nuove, si circonda di oggetti vari, prova orrore per le banalità e la gente comune (Wilde, D’Annunzio, Huysmans, Ruskin, ecc.  Wilde: ”Ho messo l’arte nella mia vita, nelle mie opere solo il talento”).
L’artista si rifiuta di farsi banditore di ideali morali e civili, rifiuta di rappresentare la realtà storica e sociale e di avere intenti pratici ed utilitaristici. Diviene arte pura, poesia pura.
Il linguaggio poetico viene rivoluzionato, diventa vago, indefinito, capace di evocare e di suggerire realtà profonde e misteriose. La parola esaurisce la sua funzione comunicativa e recupera quella ancestrale (antica) di formula magica, capace di rivelare l’ignoto. Tale parola diventa inevitabilmente oscura, accessibile a pochi iniziati, dando all’arte decadente un carattere estremamente aristocratico.
Per esprimere una realtà nascosta, non si può usare una lingua tradizionale, ma bensì dei simboli, parole che esprimono immediatezza, velocità.
Deve essere, quindi, una lingua vaga, indefinita, ricca di simboli e analogie.
L’artista si rifiuta di rivolgersi ad un pubblico di massa, si chiude in una torre d’avorio, si esprime con un linguaggio cifrato.
L’artista ottiene gli effetti di suggestione profonda ed indefinita attraverso vari mezzi: la musicalità, che dai decadenti è considerata la suprema delle arti, perché è indefinita, stimolata da ogni significato logico e referenziale, dotata di facoltà suggestive, crea comunicazione mistica con l’assoluto; il linguaggio metaforico ed analogico che presuppone una visione simbolica del mondo, una rete di relazioni che uniscono le cose in un sistema di analogie universali per cui le cose più comuni e banali si caricano di significati ulteriori, profondi, al di là del reale apparente (es. Pascoli).
La metafora decadente diventa analogia, perché non è regolata da un rapporto di similarità tra due oggetti, ma istituisce legami impensati tra realtà fra loro apparentemente remote. Non è più l’allegoria medievale, dove il confronto è razionale, ma il simbolo allusivo, polisenico, a volte ineffabile.
La metafora è costituita da un rapporto tra due elementi che hanno, tra loro, una certa affinità logica, ma in questo caso non oggettiva, bensì soggettiva: è per questo che la metafora diventa analogia.

La sinestesia [8]: espressioni che appartengono a una precisa sfera sensoriale, ma ne evocano altre relative ad alcuni sensi (es. fresche parole).
La fusione delle arti: tentativo di fondere diversi linguaggi artistici (es. Wagner che fonde le parole con la musica, con l’azione scenica).
 

COORDINATE STORICHE DEL DECADENTISMO


I temi e le suggestioni del Decadentismo trovano un precedente nella letteratura romantica tedesca e inglese. In entrambi c’è il rifiuto della realtà, la fuga in luoghi fantastici, l’aspirazione di infinito, la diversità della massa. Nel Romanticismo c’è però lo slancio idealistico di cui è totalmente privo il Decadentismo (ad eccezione di D’Annunzio).

Decadentismo e Naturalismo/Verismo
Sono contemporanei. Il “Piacere” di D’Annunzio e il “Mastro Don Gesualdo” vengono pubblicati nel 1899, con la differenza che il Verismo si esaurirà con la fine del secolo (quando si affermano gli imperialismi, i colonialismi, l’industrializzazione), il Decadentismo si protrarrà fino alla 1° guerra mondiale ed oltre.
In Francia i Decadenti e i Naturalisti rappresentano le due facce di una stessa realtà: i primi rifiutano il sistema e ne soffrono le contraddizioni; i secondi, anche se critici, vivono e sono inseriti in un tale sistema borghese costituito dal positivismo, dallo scientismo, dalla fiducia nel progresso.


I PERSONAGGI

Arthur Schopenhauer
(Danzica 1788 - Francoforte sul Meno 1860)

Nel 1820 conseguì a Berlino la libera docenza: in quell'occasione entrò in contrasto con Hegel, cui tentò invano, nei semestri accademici successivi, di contendere la fama.
Rappresentazione e volontà
Nel pensiero di Schopenhauer confluiscono motivi eterogenei: da un lato la tradizione religiosa della mistica cristiana e la filosofia orientale, dall'altro alcune istanze dell'illuminismo e del romanticismo; ma soprattutto agivano nel suo pensiero le riletture di Platone e di Kant. Schopenhauer non condivideva le posizioni dell'idealismo del suo tempo e si oppose in particolare alle idee di Hegel, che identificava realtà e razionalità. Egli accettava invece, pur con alcune differenze, la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Su questa base Schopenhauer veniva a teorizzare una distinzione tra il mondo come rappresentazione, cioè come conoscenza dei fenomeni, e una realtà più profonda, che è il mondo come volontà. Schopenhauer sosteneva che, dal punto di vista della conoscenza, "il mondo è la mia rappresentazione", nel senso che esso costituisce un'immagine illusoria del soggetto. Alla sua base però c'è la volontà: essa costituisce la cosa in sé che Kant riteneva inconoscibile, ma che si rivela, secondo Schopenhauer, nell'esperienza che l'uomo ha di sé.
Tuttavia la volontà non riguarda l'azione consapevole; essa è volontà di vivere, cieca, irrazionale e inconscia, di cui l'uomo fa anzitutto esperienza in relazione al proprio corpo. Partendo da qui, Schopenhauer giungeva a fare della volontà l'unica essenza di tutta la realtà. Mentre il principio di causalità vale soltanto per il mondo dei fenomeni, che l'uomo si rappresenta attraverso le forme dell'intuizione (cioè lo spazio e il tempo), la volontà sfugge interamente a tale principio ed è pertanto priva di ogni causa e di ogni meta razionale: essa è unica, pur traducendosi in gradi diversi della realtà, che sono la natura inorganica, quella organica, le piante e gli animali, e infine l'uomo, in cui la volontà diventa consapevole di se stessa.
Pessimismo
Per Schopenhauer il tragico dell'esistenza scaturisce dalla caratteristica della volontà di vita di non potersi mai placare e di non trovare mai un appagamento, poiché la volontà è infinita e sempre rinnovantesi. Essa conduce pertanto l'individuo al dolore, alla sofferenza, alla morte e, per la sua natura conflittuale, alla distruzione di altri esseri viventi. Per questo aspetto la dottrina di Schopenhauer costituisce una metafisica a sfondo pessimistico e irrazionalistico. Per esempio l'amore è visto come un mezzo usato dalla natura per perpetuare se stessa.
L'ascesi
L'uomo è asservito, secondo Schopenhauer, alla volontà di vivere e alla sofferenza che essa incessantemente genera. Egli può però liberarsi da questa schiavitù anzitutto attraverso l'arte, sebbene il distacco contemplativo che essa comporta rispetto alla sua individualità e alla sfera degli interessi pratici sia solo temporaneo e parziale. E' nell'ascesi che l'uomo perviene a una liberazione totale, perché essa comporta una negazione totale del volere, quale si attua attraverso la castità, la rassegnazione, la povertà e il sacrificio.
L'influenza di Schopenhauer sulla cultura della seconda metà dell'Ottocento e del Novecento fu enorme. Si possono rintracciare le sue idee nelle prime opere del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, nei drammi musicali del compositore tedesco Richard Wagner, nell'opera letteraria di Thomas Mann e nella teoria di Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi.


Nietzsche, Friedrich Wilhelm
(Röcken 1844 - Weimar 1900)

Il sentimento tragico della vita
Filosofo tedesco, studioso della cultura greca, Nietzsche attinse ispirazione anche dalle opere di Arthur Schopenhauer e dalla musica di Richard Wagner. Nella Nascita della tragedia Nietzsche ritrovò nella tragedie di Eschilo e di Sofocle l'espressione dello spirito "dionisiaco" (dal mitico dio Dioniso [9]). In opposizione complementare allo spirito "apollineo" (dal dio Apollo [10]), che simboleggia l'equilibrio perfetto delle forme nelle arti plastiche, lo spirito dionisiaco esprime la tendenza a una liberazione di impulsi vitali profondi e a un'adesione al contrasto primordiale di opposti (fra nascita e morte, generazione e corruzione, ascesa e decadenza), che contraddistinguono il divenire. Questo sentimento tragico della vita sarebbe poi stato soffocato, secondo Nietzsche, dall'avvento di un atteggiamento razionalistico, il cui primo interprete fu Socrate. Con Socrate comincerebbe la decadenza della cultura occidentale, il cui itinerario Nietzsche interpreta in maniera opposta alle ideologie del progresso tipiche dello storicismo idealistico di Hegel e del positivismo ottocentesco. Nega che l'accadere abbia un senso e quindi la validità dei concetti come fine, unità e verità. Di Schopenauer rifiuta il "pessimismo dei rinunciatari", egli non si considera infatti in rinunciatario, ma punta a trovare il "DIO" che è in lui.
La critica della morale, del "platonismo" e del cristianesimo
L'opera di Nietzsche presenta un carattere spiccatamente non sistematico: essa consiste perlopiù di frammenti e aforismi, talora anche molto lunghi, che istituiscono molteplici percorsi argomentativi, fra i quali risalta l'intenzione di smascherare l'origine "impura" dei valori più accreditati dell'etica. Ai valori tradizionali, propri di una "morale schiava", caratterizzata dalla debolezza dell'individuo e dal risentimento, Nietzsche oppone una "trasvalutazione" di tutti i valori e l'avvento di una figura capace di affermare positivamente i valori legati alla vita: si tratta del "superuomo" (Übermensch), nato per andare "oltre" l'uomo del presente.
La "morte di Dio" e il superuomo
Il superuomo fa seguito all'evento fondamentale della civiltà moderna: la morte di Dio. Con questa espressione Nietzsche intende affermare che nell'età presente i valori trascendenti della morale, le illusioni metafisiche e le credenze religiose hanno ormai perduto la loro efficacia, producendo un vuoto. L'annientamento dei fondamenti morali e religiosi della civiltà occidentale è, secondo Nietzsche, all'origine del nichilismo [11]. Consapevole del fatto che non è più possibile volgersi a valori trascendenti, il superuomo è colui che si caratterizza per la sua "fedeltà alla terra". Egli afferma la vita accettandone la sofferenza, il dolore e le contraddizioni che l'accompagnano con gioioso (dionisiaco) amore per l'esistenza; è un creatore di valori ed è per questo privo di valori fissi e immutabili, vivendo al di là del bene e del male.
L'eterno ritorno e la volontà di potenza
Il superuomo è soprattutto colui che vuole "l'eterno ritorno dell'uguale". Tale concetto comporta nel pensiero di Nietzsche non tanto una visione cosmologica e fatalistica per cui ogni evento ritorna eternamente, quanto una nuova prospettiva di adesione alla vita: quella per cui il superuomo vive l'attimo presente in modo tale da desiderare di riviverlo sempre.
Il superuomo si distingue inoltre perché accetta e dispiega la propria "volontà di potenza", anziché mascherarla come fa colui che è schiavo del risentimento morale. La volontà di potenza non va intesa semplicemente come volontà di dominio o di sopraffazione, ma come volontà che tende continuamente a potenziarsi e accrescersi, in un rapporto dinamico nei confronti della vita.
La fortuna
Il pensiero di Nietzsche è stato talvolta interpretato come paradigma di una società implicitamente aristocratica ed è stato ritenuto responsabile di alcune ideologie totalitarie, come quelle del fascismo e del nazionalsocialismo. Molti studiosi negano però queste connessioni, attribuendole a un fraintendimento dell'opera di Nietzsche.

Tra le sue opere si ricordano: La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1871), Considerazioni inattuali (1872-1874), La gaia scienza (1882), Così parlò Zarathustra (1883-1885), Al di là del bene e del male (1886).
  
LA NASCITA DELLA POESIA MODERNA

In ambito poetico, il movimento trova dei precursori nei parnassiani, fautori in Francia di un classicismo estetizzante e di un'arte fine a se stessa, ed ebbe alcuni maestri riconosciuti: oltre a Baudelaire, Stéphane Mallarmé, teorico di una poesia simbolista pura e astratta, "perfetta"; Paul Verlaine, che nel 1873 rivendicò in un sonetto il fatto di essere egli stesso "l'Impero alla fine della decadenza"; e Arthur Rimbaud, incarnazione del "poeta maledetto", che tradusse nelle sue forme più estreme l'opposizione alla società circostante. Due opere, in particolare, avevano suscitato grande scandalo in Francia a metà Ottocento: I fiori del male di Charles Baudelaire e Madame Bovary di Gustave Flaubert, entrambe del 1857.


Charles Baudelaire
(Parigi 1821-1867)
  
Poeta e critico francese, sperimentò i "paradisi artificiali" dell'hashish, dell'oppio e dell'alcol, procurandosi fama di eccentrico e immorale. Questo periodo di libertà assoluta e di ricerca del piacere coincise con una fase creativa estremamente feconda, da cui nacquero le sue poesie più celebrate.
I fiori del male
Fece pubblicare la raccolta I fiori del male, un'opera che, attraverso un linguaggio simbolico, metaforizzante e ricco di corrispondenze, mostrava esaltazioni interne sollecitate dall'esterno. Capolavoro di Baudelaire, la raccolta poetica reca fin dal titolo il segno di un'estetica nuova, "moderna", in cui, grazie alla poesia, le realtà più banali o volgari della natura e della carne (il "male") possono acquistare bellezza ed elevarsi al sublime (i "fiori"). Applicando a questo materiale "basso" di ispirazione un meticoloso lavoro sul linguaggio poetico, con l'utilizzo di forme metriche tradizionali quali il sonetto e il verso alessandrino, Baudelaire rivoluzionò l'universo estetico non soltanto superando l'idea tradizionale che l'arte sia tanto più riuscita quanto più la materia è nobile, ma soprattutto realizzando una sintesi tra due scelte estetiche fino ad allora inconciliabili: il lirismo romantico e il formalismo.
Nella versione definitiva mette in scena l'angoscia metafisica di cui soffre il poeta, e la sua aspirazione a un "ideale", infinito sublime dove regna la pienezza dell'essere.
Soltanto il poeta, grazie alla sua immaginazione capace di creare immagini e di cogliere corrispondenze tra le cose, può conferire ordine a un universo che all'uomo comune appare confuso, disgregato, indecifrabile.
L'opera fu però sequestrata e all'autore fu intentato un processo per oltraggio alla morale pubblica. Pochi mesi prima, la stessa sorte era toccata a Madame Bovary di Gustave Flaubert, ma, al contrario di quanto avvenne per il romanzo flaubertiano, lo scandalo segnò negativamente la fortuna dei Fiori del male.



Gustave Flaubert
(Rouen 1821 - Croisset 1880)

Tra romanticismo e realismo
Sebbene sia stato spesso considerato – anche dai suoi contemporanei – il caposcuola del realismo, Flaubert stesso rifiutò tale titolo, che riteneva ingombrante e riduttivo. In effetti ci sono, nella poetica e nelle modalità di scrittura flaubertiana, importanti elementi ascrivibili ai principi del realismo: la volontà di raccogliere una documentazione quanto più precisa e scrupolosa sull'oggetto da rappresentare al fine di "mostrare la natura così com'è"; l'accento posto sulla riflessione, sull'elaborazione consapevole e tenace in contrapposizione ai concetti romantici di ispirazione e genio; la teorizzazione dell'impassibilità, del distacco dello scrittore-osservatore rispetto alla materia narrata. Quest'ultimo punto, di fondamentale importanza, rientra nella cosiddetta "teoria dell'impersonalità": l'autore, rinunciando a giudizi e commenti diretti, deve ritirarsi e lasciar parlare i fatti, "essere come Dio nella Creazione, invisibile e onnipotente". Tuttavia emerge in tutte le opere di Flaubert, anche quelle che descrivono la banalità del quotidiano, una tensione riconducibile a una sensibilità romantica mai del tutto repressa, che si esprime nella trasfigurazione e nella metaforizzazione della realtà, quando non nel gusto per l'esotismo e i contrasti violenti, o in vere e proprie incursioni nel fantastico.
Le opere
I grandi romanzi di Flaubert si svilupparono da una parte con le evocazioni della potenza delle passioni umane e dall'altra con i romanzi che, in una più precisa tensione verso il realismo, insistono sul grigiore e la mediocrità del presente.

A quest'ultimo filone appartiene l'opera più conosciuta di Flaubert, Madame Bovary che divenne addirittura un caso giudiziario, quando autore ed editore furono accusati di immoralità. Madame Bovary, che porta il sottotitolo Costumi di provincia, è la storia di Emma, figlia di un piccolo proprietario terriero e moglie di un medico condotto. Donna insoddisfatta, insofferente della monotonia della vita domestica e sprezzante nei confronti del marito privo di ambizioni, aspira al grande amore, alla vita eccitante della città, al lusso dell'aristocrazia, alle travolgenti passioni descritte nei romanzi. Spinta da questi desideri impossibili, ha una relazione amorosa con un uomo, che ben presto si stanca di lei. Abbandonata anche dal secondo amante, sentendosi stretta nella morsa dei debiti, Emma finisce col togliersi la vita.

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