Decadentismo: Corrente letteraria
europea che ebbe origine in Francia e si sviluppò in Europa, tra gli anni
ottanta dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento.
In questo periodo nuovi atteggiamenti intellettuali e scelte di
gusto stravolgono i valori del Positivismo e i modelli letterari del Realismo.
L’idea che si possa giungere a una visione oggettiva e assoluta della realtà
entra in crisi e viene sostituita dal sentimento di una profonda inquietudine
psicologica ed esistenziale. Il termine "Decadentismo" nacque con
l'accezione negativa di "decadenza", sentita come il declino non
soltanto letterario ma di un'intera civiltà, e ancora prima di diventare il
titolo di una rivista letteraria francese era stato utilizzato dalla critica
per definire l'opera di quegli scrittori che manifestavano un'insubordinazione
al gusto e alla morale della borghesia, divenuta classe egemone e garante dello
status quo dopo l'esaurirsi della spinta rivoluzionaria del 1848. La
letteratura del Decadentismo propone anche in Italia numerose esperienze, nel
simbolismo di Giovanni Pascoli e nell’estetismo di Gabriele D’annunzio, fino
alle prove più mature del romanzo psicologico di Luigi Pirandello e Italo
Svevo.
INDICE
Introduzione
La Visione del Mondo Decadente
La Poetica sul Decadentismo
Coordinate storiche del
Decadentismo
I personaggi
Arthur Schopenhauer
Friedrich
Nietzsche,
La nascita della poesia
moderna
Charles Baudelaire
GustaveFlaubert
INTRODUZIONE
Il Decadentismo appare come la
somma di manifestazioni anche molto differenti tra loro: al suo interno
tuttavia si possono individuare dei denominatori comuni che consentono di usare
una formula unica e onnicomprensiva.
Nel 1886 venne pubblicato il
manifesto Le Symbolisme (Il Simbolismo) e questo termine soppiantò l’altro,
infatti, nell’ambito delle aree culturali nazionali, in particolare inglese e
francese, il termine “decadentismo” non venne molto usato, fu quindi soppiantato,
in Francia, appunto dal termine “Simbolismo”. In Inghilterra venne usato il
termine Estetismo riguardo ai Preraffaeliti a Wilde, Yeats, Pater e Ruskin.
LA VISIONE DEL MONDO DECADENTE
La visione del mondo decadente è
un irrazionalismo che riprende ed esaspera posizioni già fortemente presenti
nella cultura romantica della prima metà dell’800.
Viene radicalmente rifiutata la
visione positivista, che costituisce il sostrato dell’opinione corrente
borghese e sostiene che la realtà è un complesso di fenomeni regolati da ferme
leggi della natura; individuate le quali, è possibile avere una conoscenza
oggettiva e totale della realtà e, attraverso di essa, il dominio dell’uomo sul
mondo, il progresso, il trionfo sui mali che affliggono l’umanità.
Il decadentismo ed il positivismo
hanno due significati opposti. Mentre nel positivismo, in cui si aveva una
grande fiducia nella realtà che veniva osservata attraverso metodi scientifici,
l’uomo poteva verificare i mali e quindi intervenire per sanarli, con il
decadentismo si afferma, al contrario, la sfiducia nella realtà concreta.
Il “decadente” ritiene che la
ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza della realtà, perché
l’essenza di essa è al di là delle cose, per questo, solo rinunciando alla
razionalità si può attingere all’ignoto, al mistero, all’inconoscibile.
Egli, inoltre, è convinto che al
di là degli aspetti oggettivi dei singoli elementi della realtà, tutti gli
aspetti dell’essere sono legati tra loro da arcane analogie e corrispondenze,
in cui ogni cosa è simbolo di qualcosa di più profondo che sta al di là di essa
ed è collegata con infinite altre realtà che solo la percezione di alcuni
esseri privilegiati può individuare.
In contrapposizione alla fiducia
che i positivisti avevano nella realtà e nel metodo scientifico, che era lo
strumento per studiare la realtà, i decadenti sostengono che: “LA REALTA’ CHE
NOI VEDIAMO E’ APPARENZA; LA VERA REALTA’ E’ QUELLA CHE STA DIETRO ALLE
APPARENZE”. Ma per “VERA REALTA’” intendiamo tutte quelle realtà, nascoste
dietro a ciò che noi percepiamo concretamente, che sono legate tra loro,
formandone così una unica; però c’è da dire che solo gli spiriti privilegiati
riescono a scorgere questa vera realtà, poiché riescono ad intuire cosa c’è
dietro alle normali apparenze. C’è quindi da notare che non tutti gli uomini
sono uguali, perché solamente alcuni, vale a dire quelli dotati di forte
sensibilità, riescono a carpire ciò che sta dietro all’apparenza.
Tale tesi dell’unità del tutto
era già stata espressa da Baudelaire (In Corrispondence dei Fiori del male).
Questi era un poeta francese che visse prima del Decadentismo, però già aveva
avuto delle intuizioni: “LA REALTA’ E’ UN TUTT’UNICO”.
La visione decadente propone
quindi una sostanziale identità tra l’io e il mondo; una rete profonda li
unisce al di là degli stati superficiali delle realtà, in una zona in cui
l’individualità scompare e si fonde con il tutto.
La scoperta dell’inconscio è il
dato fondamentale della cultura decadente, senza di essa non sarebbe possibile
capire niente dei prodotti artistici e della concezione propria del
decadentismo.
Freud nel 1899 darà sistemazione
scientifica a queste conoscenze nella “Interpretazione dei sogni”, al fine di
dominare l’inconscio e porlo sotto il controllo dell’io.
Il Decadentismo risente dei
fenomeni storici in cui si sviluppa. I positivisti cominciano a capire che la
realtà in cui credono non dà la conoscenza assoluta e Freud lo conferma
attraverso una spiegazione scientifica.
“TUTTA LA REALTA’ CHE STA INTORNO
A NOI È CONTROLLABILE”, poiché un individuo ha una sfera di conscio (la quale
ci consente di capire le cose che, poi, noi possiamo volontariamente richiamare
alla nostra mente) e una sfera di inconscio (una vita che ci appartiene ma di
cui noi non abbiamo la consapevolezza, per esempio le esperienze vissute nel
grembo materno che noi non conosciamo).
Quindi la scoperta
dell’inconscio, come realtà effettiva, rende i decadenti ancora più consapevoli
che ciò che noi percepiamo concretamente è fenomenico.
I decadenti rifiutano tale
posizione scientifica e si abbandonano nel vortice tenebroso che distrugge ogni
legame razionale alla ricerca di una realtà più vera.
I decadenti contestano Freud
perché dicono: “NOI, COME ESSERI UMANI, POSSIAMO SOLO, OGNI TANTO, RUBARE,
CAPIRE UN PEZZO DI REALTA’”.
Poiché la scienza non può
consentire la scoperta della realtà, gli strumenti privilegiati per cogliere il
vero sono gli stati abnormi e irrazionali dell’esistere: la malattia, la
follia, il delirio, la nevrosi, il sogno, l’incubo, l’allucinazione. Questi
stati di alterazione, sottraendoci al controllo della ragione, permettono,
magari confusamente, di vedere il mistero che sta dietro alle cose.
Gli stati di alterazione possono
essere prodotti anche artificialmente, attraverso l’uso di alcool, oppio,
hashish, ecc… Infatti, la cultura della droga ha origine nell’area del
Romantico-Decadente, in cui si cercano stimoli per entrare in contatto con
l’assoluto, per fornire ispirazione artistica. Per carpire qualcosa di assoluto,
l’uomo deve abbandonare la sua sfera razionale entrando così in quella della
droga e dell’alcool che alterano le nostre facoltà razionali facendoci perdere
il controllo di noi stessi. Molti poeti, soprattutto francesi, moriranno
intossicati da queste sostanze.
Ci sono poi altre forme di estasi
che consentono l’intuizione dell’ignoto e dell’assoluto: il PANISMO, che
consente all’uomo di confondersi nella natura e diventare parte integrante di
essa (es. D’Annunzio) e le EPIFANIE, rivelazioni improvvise dell’assoluto,
anche in realtà apparentemente comuni ed insignificanti.
LA POETICA SUL DECADENTISMO
L’arte è il mezzo privilegiato
per conoscere la realtà. Gli artisti non solo sono abili artefici capaci di
adoperare magicamente la parola, la nota, il colore, ma possono essere
considerati dei “veggenti” capaci di vedere al di là delle apparenze, dove
l’uomo comune non vede nulla; essi sono in grado di esplorare dimensioni nuove
dell’essere, di rivelare l’assoluto.
Gli artisti sono esseri con una
sensibilità privilegiata e più profonda dell’uomo comune e riescono a vedere la verità assoluta che sta al di là
delle apparenze e a tradurla attraverso una nota, una parola, un colore, ecc…
L’arte è dunque il prodotto di
un’illuminazione suprema (“Illuminazioni” è una raccolta di prose liriche di
Rimbaud).
L’arte è quindi il valore più
assoluto che riesce ad assorbire in sé tutti gli altri valori.
Questo culto dell’arte ha dato
origine al fenomeno dell’Estetismo.
L’esteta è colui che assume come
principio regolatore della sua vita non i valori morali, bensì il bello. La sua
vita viene trasformata in un’opera d’arte; egli va alla ricerca di sensazioni
nuove, si circonda di oggetti vari, prova orrore per le banalità e la gente
comune (Wilde, D’Annunzio, Huysmans, Ruskin, ecc. Wilde: ”Ho messo l’arte nella mia vita, nelle
mie opere solo il talento”).
L’artista si rifiuta di farsi
banditore di ideali morali e civili, rifiuta di rappresentare la realtà storica
e sociale e di avere intenti pratici ed utilitaristici. Diviene arte pura,
poesia pura.
Il linguaggio poetico viene
rivoluzionato, diventa vago, indefinito, capace di evocare e di suggerire
realtà profonde e misteriose. La parola esaurisce la sua funzione comunicativa
e recupera quella ancestrale (antica) di formula magica, capace di rivelare
l’ignoto. Tale parola diventa inevitabilmente oscura, accessibile a pochi
iniziati, dando all’arte decadente un carattere estremamente aristocratico.
Per esprimere una realtà
nascosta, non si può usare una lingua tradizionale, ma bensì dei simboli,
parole che esprimono immediatezza, velocità.
Deve essere, quindi, una lingua
vaga, indefinita, ricca di simboli e analogie.
L’artista si rifiuta di
rivolgersi ad un pubblico di massa, si chiude in una torre d’avorio, si esprime
con un linguaggio cifrato.
L’artista ottiene gli effetti di
suggestione profonda ed indefinita attraverso vari mezzi: la musicalità, che
dai decadenti è considerata la suprema delle arti, perché è indefinita,
stimolata da ogni significato logico e referenziale, dotata di facoltà
suggestive, crea comunicazione mistica con l’assoluto; il linguaggio metaforico
ed analogico che presuppone una visione simbolica del mondo, una rete di
relazioni che uniscono le cose in un sistema di analogie universali per cui le
cose più comuni e banali si caricano di significati ulteriori, profondi, al di
là del reale apparente (es. Pascoli).
La metafora decadente diventa
analogia, perché non è regolata da un rapporto di similarità tra due oggetti,
ma istituisce legami impensati tra realtà fra loro apparentemente remote. Non è
più l’allegoria medievale, dove il confronto è razionale, ma il simbolo
allusivo, polisenico, a volte ineffabile.
La metafora è costituita da un
rapporto tra due elementi che hanno, tra loro, una certa affinità logica, ma in
questo caso non oggettiva, bensì soggettiva: è per questo che la metafora
diventa analogia.
La sinestesia [8]: espressioni
che appartengono a una precisa sfera sensoriale, ma ne evocano altre relative
ad alcuni sensi (es. fresche parole).
La fusione delle arti: tentativo
di fondere diversi linguaggi artistici (es. Wagner che fonde le parole con la
musica, con l’azione scenica).
COORDINATE STORICHE DEL
DECADENTISMO
I temi e le suggestioni del
Decadentismo trovano un precedente nella letteratura romantica tedesca e
inglese. In entrambi c’è il rifiuto della realtà, la fuga in luoghi fantastici,
l’aspirazione di infinito, la diversità della massa. Nel Romanticismo c’è però
lo slancio idealistico di cui è totalmente privo il Decadentismo (ad eccezione
di D’Annunzio).
Decadentismo e
Naturalismo/Verismo
Sono contemporanei. Il “Piacere”
di D’Annunzio e il “Mastro Don Gesualdo” vengono pubblicati nel 1899, con la
differenza che il Verismo si esaurirà con la fine del secolo (quando si
affermano gli imperialismi, i colonialismi, l’industrializzazione), il
Decadentismo si protrarrà fino alla 1° guerra mondiale ed oltre.
In Francia i Decadenti e i
Naturalisti rappresentano le due facce di una stessa realtà: i primi rifiutano
il sistema e ne soffrono le contraddizioni; i secondi, anche se critici, vivono
e sono inseriti in un tale sistema borghese costituito dal positivismo, dallo
scientismo, dalla fiducia nel progresso.
I PERSONAGGI
Arthur Schopenhauer
(Danzica 1788 - Francoforte sul
Meno 1860)
Nel 1820 conseguì a Berlino la
libera docenza: in quell'occasione entrò in contrasto con Hegel, cui tentò
invano, nei semestri accademici successivi, di contendere la fama.
Rappresentazione e volontà
Nel pensiero di Schopenhauer
confluiscono motivi eterogenei: da un lato la tradizione religiosa della
mistica cristiana e la filosofia orientale, dall'altro alcune istanze
dell'illuminismo e del romanticismo; ma soprattutto agivano nel suo pensiero le
riletture di Platone e di Kant. Schopenhauer non condivideva le posizioni
dell'idealismo del suo tempo e si oppose in particolare alle idee di Hegel, che
identificava realtà e razionalità. Egli accettava invece, pur con alcune differenze,
la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Su questa base Schopenhauer
veniva a teorizzare una distinzione tra il mondo come rappresentazione, cioè
come conoscenza dei fenomeni, e una realtà più profonda, che è il mondo come
volontà. Schopenhauer sosteneva che, dal punto di vista della conoscenza,
"il mondo è la mia rappresentazione", nel senso che esso costituisce
un'immagine illusoria del soggetto. Alla sua base però c'è la volontà: essa
costituisce la cosa in sé che Kant riteneva inconoscibile, ma che si rivela,
secondo Schopenhauer, nell'esperienza che l'uomo ha di sé.
Tuttavia la volontà non riguarda
l'azione consapevole; essa è volontà di vivere, cieca, irrazionale e inconscia,
di cui l'uomo fa anzitutto esperienza in relazione al proprio corpo. Partendo
da qui, Schopenhauer giungeva a fare della volontà l'unica essenza di tutta la
realtà. Mentre il principio di causalità vale soltanto per il mondo dei
fenomeni, che l'uomo si rappresenta attraverso le forme dell'intuizione (cioè
lo spazio e il tempo), la volontà sfugge interamente a tale principio ed è
pertanto priva di ogni causa e di ogni meta razionale: essa è unica, pur
traducendosi in gradi diversi della realtà, che sono la natura inorganica,
quella organica, le piante e gli animali, e infine l'uomo, in cui la volontà
diventa consapevole di se stessa.
Pessimismo
Per Schopenhauer il tragico
dell'esistenza scaturisce dalla caratteristica della volontà di vita di non
potersi mai placare e di non trovare mai un appagamento, poiché la volontà è
infinita e sempre rinnovantesi. Essa conduce pertanto l'individuo al dolore,
alla sofferenza, alla morte e, per la sua natura conflittuale, alla distruzione
di altri esseri viventi. Per questo aspetto la dottrina di Schopenhauer
costituisce una metafisica a sfondo pessimistico e irrazionalistico. Per
esempio l'amore è visto come un mezzo usato dalla natura per perpetuare se
stessa.
L'ascesi
L'uomo è asservito, secondo
Schopenhauer, alla volontà di vivere e alla sofferenza che essa incessantemente
genera. Egli può però liberarsi da questa schiavitù anzitutto attraverso
l'arte, sebbene il distacco contemplativo che essa comporta rispetto alla sua
individualità e alla sfera degli interessi pratici sia solo temporaneo e
parziale. E' nell'ascesi che l'uomo perviene a una liberazione totale, perché
essa comporta una negazione totale del volere, quale si attua attraverso la
castità, la rassegnazione, la povertà e il sacrificio.
L'influenza di Schopenhauer sulla
cultura della seconda metà dell'Ottocento e del Novecento fu enorme. Si possono
rintracciare le sue idee nelle prime opere del filosofo tedesco Friedrich
Nietzsche, nei drammi musicali del compositore tedesco Richard Wagner,
nell'opera letteraria di Thomas Mann e nella teoria di Sigmund Freud, il
fondatore della psicoanalisi.
Nietzsche, Friedrich Wilhelm
(Röcken 1844 - Weimar 1900)
Il sentimento tragico della vita
Filosofo tedesco, studioso della
cultura greca, Nietzsche attinse ispirazione anche dalle opere di Arthur
Schopenhauer e dalla musica di Richard Wagner. Nella Nascita della tragedia
Nietzsche ritrovò nella tragedie di Eschilo e di Sofocle l'espressione dello
spirito "dionisiaco" (dal mitico dio Dioniso [9]). In opposizione
complementare allo spirito "apollineo" (dal dio Apollo [10]), che
simboleggia l'equilibrio perfetto delle forme nelle arti plastiche, lo spirito
dionisiaco esprime la tendenza a una liberazione di impulsi vitali profondi e a
un'adesione al contrasto primordiale di opposti (fra nascita e morte,
generazione e corruzione, ascesa e decadenza), che contraddistinguono il
divenire. Questo sentimento tragico della vita sarebbe poi stato soffocato,
secondo Nietzsche, dall'avvento di un atteggiamento razionalistico, il cui
primo interprete fu Socrate. Con Socrate comincerebbe la decadenza della
cultura occidentale, il cui itinerario Nietzsche interpreta in maniera opposta
alle ideologie del progresso tipiche dello storicismo idealistico di Hegel e
del positivismo ottocentesco. Nega che l'accadere abbia un senso e quindi la
validità dei concetti come fine, unità e verità. Di Schopenauer rifiuta il
"pessimismo dei rinunciatari", egli non si considera infatti in
rinunciatario, ma punta a trovare il "DIO" che è in lui.
La critica della morale, del
"platonismo" e del cristianesimo
L'opera di Nietzsche presenta un
carattere spiccatamente non sistematico: essa consiste perlopiù di frammenti e
aforismi, talora anche molto lunghi, che istituiscono molteplici percorsi
argomentativi, fra i quali risalta l'intenzione di smascherare l'origine "impura"
dei valori più accreditati dell'etica. Ai valori tradizionali, propri di una
"morale schiava", caratterizzata dalla debolezza dell'individuo e dal
risentimento, Nietzsche oppone una "trasvalutazione" di tutti i
valori e l'avvento di una figura capace di affermare positivamente i valori
legati alla vita: si tratta del "superuomo" (Übermensch), nato per
andare "oltre" l'uomo del presente.
La "morte di Dio" e il
superuomo
Il superuomo fa seguito
all'evento fondamentale della civiltà moderna: la morte di Dio. Con questa
espressione Nietzsche intende affermare che nell'età presente i valori
trascendenti della morale, le illusioni metafisiche e le credenze religiose
hanno ormai perduto la loro efficacia, producendo un vuoto. L'annientamento dei
fondamenti morali e religiosi della civiltà occidentale è, secondo Nietzsche,
all'origine del nichilismo [11]. Consapevole del fatto che non è più possibile
volgersi a valori trascendenti, il superuomo è colui che si caratterizza per la
sua "fedeltà alla terra". Egli afferma la vita accettandone la
sofferenza, il dolore e le contraddizioni che l'accompagnano con gioioso
(dionisiaco) amore per l'esistenza; è un creatore di valori ed è per questo
privo di valori fissi e immutabili, vivendo al di là del bene e del male.
L'eterno ritorno e la volontà di
potenza
Il superuomo è soprattutto colui
che vuole "l'eterno ritorno dell'uguale". Tale concetto comporta nel
pensiero di Nietzsche non tanto una visione cosmologica e fatalistica per cui
ogni evento ritorna eternamente, quanto una nuova prospettiva di adesione alla
vita: quella per cui il superuomo vive l'attimo presente in modo tale da
desiderare di riviverlo sempre.
Il superuomo si distingue inoltre
perché accetta e dispiega la propria "volontà di potenza", anziché
mascherarla come fa colui che è schiavo del risentimento morale. La volontà di
potenza non va intesa semplicemente come volontà di dominio o di sopraffazione,
ma come volontà che tende continuamente a potenziarsi e accrescersi, in un
rapporto dinamico nei confronti della vita.
La fortuna
Il pensiero di Nietzsche è stato
talvolta interpretato come paradigma di una società implicitamente
aristocratica ed è stato ritenuto responsabile di alcune ideologie totalitarie,
come quelle del fascismo e del nazionalsocialismo. Molti studiosi negano però
queste connessioni, attribuendole a un fraintendimento dell'opera di Nietzsche.
Tra le sue opere si ricordano: La
nascita della tragedia dallo spirito della musica (1871), Considerazioni
inattuali (1872-1874), La gaia scienza (1882), Così parlò Zarathustra
(1883-1885), Al di là del bene e del male (1886).
LA NASCITA DELLA POESIA MODERNA
In ambito poetico, il movimento
trova dei precursori nei parnassiani, fautori in Francia di un classicismo
estetizzante e di un'arte fine a se stessa, ed ebbe alcuni maestri
riconosciuti: oltre a Baudelaire, Stéphane Mallarmé, teorico di una poesia
simbolista pura e astratta, "perfetta"; Paul Verlaine, che nel 1873
rivendicò in un sonetto il fatto di essere egli stesso "l'Impero alla fine
della decadenza"; e Arthur Rimbaud, incarnazione del "poeta
maledetto", che tradusse nelle sue forme più estreme l'opposizione alla
società circostante. Due opere, in particolare, avevano suscitato grande
scandalo in Francia a metà Ottocento: I fiori del male di Charles Baudelaire e
Madame Bovary di Gustave Flaubert, entrambe del 1857.
Charles Baudelaire
(Parigi 1821-1867)
Poeta e critico francese,
sperimentò i "paradisi artificiali" dell'hashish, dell'oppio e
dell'alcol, procurandosi fama di eccentrico e immorale. Questo periodo di
libertà assoluta e di ricerca del piacere coincise con una fase creativa estremamente
feconda, da cui nacquero le sue poesie più celebrate.
I fiori del male
Fece pubblicare la raccolta I
fiori del male, un'opera che, attraverso un linguaggio simbolico,
metaforizzante e ricco di corrispondenze, mostrava esaltazioni interne sollecitate
dall'esterno. Capolavoro di Baudelaire, la raccolta poetica reca fin dal titolo
il segno di un'estetica nuova, "moderna", in cui, grazie alla poesia,
le realtà più banali o volgari della natura e della carne (il "male")
possono acquistare bellezza ed elevarsi al sublime (i "fiori").
Applicando a questo materiale "basso" di ispirazione un meticoloso
lavoro sul linguaggio poetico, con l'utilizzo di forme metriche tradizionali
quali il sonetto e il verso alessandrino, Baudelaire rivoluzionò l'universo
estetico non soltanto superando l'idea tradizionale che l'arte sia tanto più
riuscita quanto più la materia è nobile, ma soprattutto realizzando una sintesi
tra due scelte estetiche fino ad allora inconciliabili: il lirismo romantico e
il formalismo.
Nella versione definitiva mette
in scena l'angoscia metafisica di cui soffre il poeta, e la sua aspirazione a
un "ideale", infinito sublime dove regna la pienezza dell'essere.
Soltanto il poeta, grazie alla
sua immaginazione capace di creare immagini e di cogliere corrispondenze tra le
cose, può conferire ordine a un universo che all'uomo comune appare confuso,
disgregato, indecifrabile.
L'opera fu però sequestrata e
all'autore fu intentato un processo per oltraggio alla morale pubblica. Pochi
mesi prima, la stessa sorte era toccata a Madame Bovary di Gustave Flaubert,
ma, al contrario di quanto avvenne per il romanzo flaubertiano, lo scandalo
segnò negativamente la fortuna dei Fiori del male.
Gustave Flaubert
(Rouen 1821 - Croisset 1880)
Tra romanticismo e realismo
Sebbene sia stato spesso
considerato – anche dai suoi contemporanei – il caposcuola del realismo,
Flaubert stesso rifiutò tale titolo, che riteneva ingombrante e riduttivo. In
effetti ci sono, nella poetica e nelle modalità di scrittura flaubertiana,
importanti elementi ascrivibili ai principi del realismo: la volontà di
raccogliere una documentazione quanto più precisa e scrupolosa sull'oggetto da
rappresentare al fine di "mostrare la natura così com'è"; l'accento
posto sulla riflessione, sull'elaborazione consapevole e tenace in
contrapposizione ai concetti romantici di ispirazione e genio; la teorizzazione
dell'impassibilità, del distacco dello scrittore-osservatore rispetto alla
materia narrata. Quest'ultimo punto, di fondamentale importanza, rientra nella
cosiddetta "teoria dell'impersonalità": l'autore, rinunciando a
giudizi e commenti diretti, deve ritirarsi e lasciar parlare i fatti,
"essere come Dio nella Creazione, invisibile e onnipotente". Tuttavia
emerge in tutte le opere di Flaubert, anche quelle che descrivono la banalità
del quotidiano, una tensione riconducibile a una sensibilità romantica mai del
tutto repressa, che si esprime nella trasfigurazione e nella metaforizzazione
della realtà, quando non nel gusto per l'esotismo e i contrasti violenti, o in
vere e proprie incursioni nel fantastico.
Le opere
I grandi romanzi di Flaubert si
svilupparono da una parte con le evocazioni della potenza delle passioni umane
e dall'altra con i romanzi che, in una più precisa tensione verso il realismo,
insistono sul grigiore e la mediocrità del presente.
A quest'ultimo filone appartiene
l'opera più conosciuta di Flaubert, Madame Bovary che divenne addirittura un
caso giudiziario, quando autore ed editore furono accusati di immoralità.
Madame Bovary, che porta il sottotitolo Costumi di provincia, è la storia di
Emma, figlia di un piccolo proprietario terriero e moglie di un medico
condotto. Donna insoddisfatta, insofferente della monotonia della vita
domestica e sprezzante nei confronti del marito privo di ambizioni, aspira al
grande amore, alla vita eccitante della città, al lusso dell'aristocrazia, alle
travolgenti passioni descritte nei romanzi. Spinta da questi desideri
impossibili, ha una relazione amorosa con un uomo, che ben presto si stanca di
lei. Abbandonata anche dal secondo amante, sentendosi stretta nella morsa dei
debiti, Emma finisce col togliersi la vita.
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