Vittorini e Calvino. Riassunti dei loro romanzi più importanti
a cura di Claudio Di Scalzo
La struttura di Uomini e noè piuttosto complessa: si svolge su due piani resi tipograficamente con la distinzione tra capitoli in tondo e capitoli in corsivo. I primi hanno come protagonista Enne 2, i secondi un fantomatico Io che incarna l'autore, il partigiano Enne 2, l'Uomo e noi pensiamo - scrive Vittorini - a chi cade, a chi è perduto, a chi piange e ha fame, a chi ha freddo, a chi è malato, e a chi è perseguitato, a chi viene ucciso. Pensiamo all'offesa che gli è fatta, e la dignità di lui. Anche a tutto quello che in lui è offeso, e ch'era, in lui, per renderlo felice. Questo è l'uomo. (E. Vittorini, Uomini e no, Milano, Oscar Mondadori, 1996)
I capitoli in tondo portano avanti il racconto mentre i capitoli in corsivo propongono la sua trasposizione lirica. Pochissime sono le descrizioni presenti nel libro, quasi interamente occupato dal dialogo, ripetitivo, monotono, a tratti ossessivo.
La narrazione non riguarda tanto gli episodi di lotta resistenziale per le strade di Milano durante l'inverno del 1944, quanto la storia di un grande amore, come direbbe Giacomo Noventa, quello fra Enne 2 e Berta. È la storia della cosa che c'è da dieci anni tra una donna e lui (Enne 2), e appena sono solo nella mia camera, - spiega Vittorini - steso sul mio letto, il mio pensiero va a lui, e mi tocca alzarmi e correre da lui. (Ivi, p. 26) Ma è necessario procedere per gradi e chiarire, per primo, il problema del protagonista: Falaschi sostiene che il narratore si insinua nel romanzo fino a confondersi con il protagonista (Cfr.La Resistenza armata nella narrativa italiana, cit.), mentre Noventa parla di uomo vecchio e uomo nuovo che Vittorini vuole conciliare affinché non rivelino i loro tratti così discordanti da risultare incompatibili. Perciò Enne 2 e Io scrivono ognuno i loro pensieri nel quaderno dell'altro: li stampano ognuno nel carattere di stampa riservato all'altro: assumono ognuno il nome dell'altro: e - sostiene Noventa - un nuovo personaggio e un nuovo scrittore, si fa strada nel libro, che è poi quello che scriverà la nota finale del libro, che noi credevamo l'autore, e che sotto il nome di E. V. non parteggerà per Enne 2 né per Io. (Cfr. G. Noventa,Il grande amore in Uomini e no" di Elio Vittorini e in altri uomini e libri, Milano, All'insegna del Pesce d'Oro, 1969, p. 25. La Nota dell'Autore cui si riferisce Noventa compariva nella prima e nella seconda edizione del romanzo, ma con la terza edizione è stata definitivamente soppressa.)
Entrambe le analisi sono piuttosto interessanti: quella di Falaschi è più facilmente condivisibile, quella di Noventa più fantasiosa e in qualche modo forzata. Servono comunque a chiarire i diversi livelli sui quali la narrazione si sviluppa. Da una parte c'è il tempo normale degli eventi di guerra che si consumano lungo le vie di Milano, i cui nomi tornano in modo ricorrente e quasi ossessivo: corso Sempione, piazza delle Cinque Giornate, Largo Augusto. Dall'altra parte ci sono il tempo interiorizzato e i luoghi irreali dove si sviluppa il rapporto fra Enne 2 e Berta: non è importante che Berta sia appena scesa dal tram e salga sulla canna della bicicletta di Enne 2, che corrano per le vie di Milano o siano nella stanza di lui, insieme devono combattere una guerra interiore contro le loro volontà, i loro desideri. Cercano di rifugiarsi in un tempo immaginario che superi la loro differenza d'età, e la loro diversa condizione: Enne 2 è libero, mentre Berta ha un marito. Non posso stare con te - dice Berta - e poi essere anche di quell'uomo (Uomini e no, cit. p. 17), in questa semplice frase si consuma il loro dramma, nell'onestà di lei che vorrebbe parlare al marito, ma non riesce a farlo e per questo non può stare con Enne 2, di cui si è innamorata dopo il matrimonio. Questa serietà della vita ( F. Fortini, Rileggendo Uomini e no", Berta, Enne due e Giacomo Noventa in Il Ponte", 31 luglio - 31 agosto 1973, p. 984) di Berta impedisce ai due di essere felici e in qualche modo vanifica gli sforzi compiuti durante la lotta: Presuntuosi siete voi. - sostiene la vecchia Selva - Volete lavorare per la felicità della gente, e non sapete che cosa occorre alla gente per essere felici. Potete lavorare senza essere felici? (Cfr. Uomini e no, cit. p. 15)
L'attentato al tribunale, l'uccisione di un ufficiale tedesco, i morti nel Parco, il giovane fatto sbranare dai cani, ogni azione acquista e insieme perde senso, per Enne 2 che, non potendo vivere l'amore con Berta, si lascia uccidere. Berta non è l'unica donna del romanzo, a lei si contrappone Lorena, che appaga fuggevolmente il desiderio di Enne 2, ma non rappresenta che uno sfogo, mentre la vecchia Selva che accudisce la casa sembra essere la voce della saggezza. Allo stesso modo, accanto al Grande Amore fra Enne 2 e Berta, Vittorini accenna ad altri amori, come quello di Coriolano, o quello di Orazio che ha una ragazza e la vorrebbe sposare. È così ancora più evidente la potenza dell'amore come ricerca di una sfera privata, intima nella quale trovare la forza per affrontare la dura realtà degli eventi.
In questo complesso romanzo la realtà è affiancata, secondo Falaschi, a momenti di non-realtà, che si identificano nel mancato possesso dei fenomeni (fatto simbolizzato dal vestito di Berta lasciato appeso nella stanza di Enne 2) o che si personificano nei fascisti, simbolo di non-realtà ideologica, mentre i gappisti incarnano la verità ideologica. Fascisti e gappisti si confrontano per le vie di Milano dando vita a uno spazio che - secondo Falaschi - consiste in relazioni tra corpi. I fascisti sono legati alle immagini della città distrutta, deserta, dove si muovono senza meta, mentre i partigiani, capaci di sfidare il coprifuoco per ricostruire la società divisa, rappresentano l'immagine positiva della città che cerca di rinascere. Vittorini non analizza l'organizzazione dei gappisti fra loro, ma lascia intendere che esiste una legge, un qualche principio astratto al quale fanno riferimento e questo giustifica la promessa: Imparerò meglio (Ivi, p. 219) fatta da un giovane operaio che non riesce ad uccidere un nemico. Il romanzo termina con queste parole, che rappresentano l'iniziazione di un giovane antifascista alla lotta, e non con la morte di Enne 2. Il finale è in linea con le idee maturate dagli intellettuali durante la Resistenza e cioè la convinzione della necessaria fine dell'intellettuale separato e quella- scrive Falaschi - di un corso precipitoso e inarrestabile degli eventi sul binario giusto (Cfr. La Resistenza armata nella narrativa italiana).
L'accoglienza riservata a Uomini e no è densa di critiche a cominciare da quelle di Calvino, che rimprovera a Vittorini il non aver fatto d'Enne 2 autobiografia sincera, ossia distaccata e partecipe insieme, ma esaltazione romantica, con tutta la sua disperata (e libresca e decadente) corsa alla morte. (Cfr. I. Calvino, La letteratura italiana sulla Resistenza) Paoluzi ritiene il romanzo sbagliato per due ragioni: per risentire ancora, prima di tutto, l'urto della polemica immediata, poiché la Resistenza era finita pochi mesi prima, e per riecheggiare, in secondo luogo, modi stilistici propri di un Dos Passos o del primo Faulkner. Ma - aggiunge -la sua validità è tutta nel fervore umano che lo anima, nella sostanza della narrazione densa di pathos e di accorata partecipazione. (Cfr. A. Paoluzi, La letteratura della Resistenza, Firenze, Edizioni 5 Lune,1956)
Concludo con Asor Rosa che scrive: La Resistenza si presenta come la sempliceoccasione di un discorso, che ancora una volta trova le sue motivazioni al livello della cultura e della ricerca intellettuale. I motivi storici, politici e sociali del fenomeno restano in seconda linea. [...] Il fastidio nasce dalla constatazione che l'opera non è che un ibrido, approssimativo connubio di progressismo e di avanguardismo, di esclusivo, chiuso spirito borghese e di moralistiche aperture verso il popolo. [...] Di fronte a Uomini e no vien perfino voglia di difendere la Resistenza, nella sua matrice, qui tradita, genuinamente popolare.(Cfr. A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, Torino, Einaudi)
ITALO CALVINO. Il SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO
Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino ribalta completamente l'impostazione del romanzo vittoriniano sviluppandosi sul piano dell'oggettività. Nell'urgenza di raccontare l'esperienza partigiana, Calvino si rende conto che il punto di vista soggettivo non funziona, quindi decide di cambiare prospettiva, di affrontare il tema di scorcio e scopre il dono di scrivere oggettivo.
All'inizio non crede che il personaggio scelto, un ragazzetto partigiano conosciuto nelle bande, possa diventare il protagonista di un romanzo, ma presto si rende conto che Pin lo rappresenta quasi specularmente tanto che - spiega - il rapporto tra il personaggio del bambino Pin e la guerra partigiana corrispondeva simbolicamente al rapporto che con la guerra partigiana m'ero trovato ad avere io. (Cfr. Prefazione) Calvino, quando entra a far parte delle Brigate Garibaldi e si trasferisce sulle Alpi Marittime, è giovanissimo. Il suo antifascismo è legato piuttosto all'educazione ricevuta in famiglia che a una convinzione politica maturata personalmente e, anche se scrive Il sentiero dei nidi di ragno dopo aver militato nel partito comunista e collaborato a diverse testate giornalistiche, fra le quali "L'Unità", non può avere la stessa sofferta coscienza intellettuale di Vittorini o di Pavese, più maturi e, direi, più vissuti di lui. Questa è la tesi di Cristina Benussi nella suaIntroduzione a Calvino (Roma-Bari, Laterza, 1989), mentre Falaschi, in quel saggio fondamentale più volte citato, si dice convinto che la distanza creata dall'autore fra la propria coscienza e la storia derivi non tanto dal suo esser stato comunque un borghese fattosi partigiano, ma dall'aver vissuto soltanto un aspetto della Resistenza che nel romanzo si propone di rappresentare nella sua interezza. È il problema del rapporto tra scrittore e popolo che Calvino riesce a superare perché, anche se borghese, ha fatto la Resistenza in mezzo a proletari, sottoproletari e studenti, esperienza della quale deve piuttosto spiegare le motivazioni.
Lasciandosi guidare da maestri quali Vittorini, Pavese, al quale fa leggere sempre ciò che scrive, e dagli autori stranieri sopra ricordati, Calvino racconta la storia di Pin. Si tratta di un bambino che vive il periodo della Resistenza, ma che deve confrontarsi prima con la Storia, con il mondo degli adulti: È triste essere come lui, un bambino nel mondo dei grandi, sempre un bambino - spiega Calvino nell'ultimo capitolo - trattato dai grandi come qualcosa di divertente e di noioso; e non poter usare quelle loro cose misteriose ed eccitanti, armi e donne, non potere mai far parte dei loro giochi. (Cfr. Sentiero, in I. Calvino, Romanzi e racconti, cit. p. 139) In queste parole sono sintetizzati tutti i temi affrontati nel romanzo: Pin spaesato dentro una realtà che non riesce a comprendere fino in fondo, ma che tente di avvicinare in modo spavaldo, cercando amici e compiendo azioni rischiose. Il furto della pistola P. 38 al tedesco che si intrattiene con la sorella, la Nera di Carrugio Lungo, è una sfida incosciente, compiuta per farsi accettare fra i grandi che lo deludono, costringendolo a rifugiarsi fra i suoi nidi di ragno. La pistola sarà, in qualche modo il filo conduttore della narrazione, come le donne, l'altra faccia del mondo dei grandi. Pin conosce fin troppo bene le donne (anche se non riesce a comprenderle) tanto che le utilizza come griglia per giudicare gli amici.
Emblematico è il finale del romanzo che riporta un dialogo fra Pin e Cugino, un partigiano che si rivela essere il Grande Amico. Chieste a Pin notizie della Nera di Carrugio Lungo, Cugino si dirige dalla donna, ma non si ferma con lei, anzi schifato ritorna dal bambino. Pin si fida ormai completamente e tiene la sua mano in quella soffice e calma del Cugino, in quella gran mano di pane (Ivi, p. 147) e insieme parlano della sola donna che è stata capace di infondere loro amore, la madre per Cugino, la mamma per Pin. Falaschi nota in questo la necessityà per Pin di vincere la sofferenza che la vita gli riserva proiettando le cose a distanza nel ricordo del passato e nella speranza per il futuro.
Calvino sviluppa la storia di Pin in tre momenti fondamentali: il furto della pistola, la breve permanenza in carcere, l'esperienza di vita non da partigiano, ma fra i partigiani. Pin effettivamente non capisce appieno quanto sta accadendo intorno a lui tanto che, parlando in carcere con Lupo Rosso, pensa: Un'altra parola misteriosa: sim! gap! Chissà quante parole così ci saranno: a Pin - spiega Calvino - piacerebbe saperle tutte. La Resistenza, qualcosa di misterioso che, per Pin si identifica con persone dai nomi strani: Lupo Rosso, Cugino, Dritto, Mancino, Giglia, Pelle. Questi personaggi, dei quali non viene scandagliata la psicolagia, ma vengono descritti rapidamente sfruttando qualche particolare caratterizzante, tratto comune a tutta la letteratura sulla Resistenza, non sono nuovi per Calvino, che li ha già utilizzati per tre racconti, scritti nel 1945, a caldo, ma che saranno pubblicati soltanto nel 1949, nella raccolta dal titolo Ultimo viene il corvo: La stessa cosa del sangue, Attesa della morte in albergo, Angoscia in caserma.
Alcuni personaggi vengono semplicemente riproposti, come il traditore Pelle che si chiamava Pelle di biscia, altri vengono rimaneggiati come il Dritto che, sempre capobanda, aveva un nome diverso, Giglio e - spiega Benussi - durante il bombardamento sulla città, sperava di veder uccisi soltanto i fascisti, mentre nel Sentiero il desiderio di morte è esteso a tutti.
La narrazione viene portata avanti attraverso racconti brevi, che rappresentano le tappe della Storia che Calvino vuole illustrare. È il lavoro di uno scrittore artigiano che cerca di saldare insieme epica e poema nazionale per proporre un'epica nuova che nasca dall'esperienza popolare, come spiega molto chiaramente Falaschi, dopo aver riletto i due articoli di Calvino, Anderson scrittore artigiano e Omero antimilitarista, apparsi su "L'Unità" rispettivamente il 30 novembre 1947 e il 15 novembre 1946.
Un'altra notazione interessante è che il Sentiero, propone continuamente l'azione che - sostiene Benussi - viene piuttosto raccontata che vissuta, ad esempio nel momento in cui Pin si dirige all'osteria, subito dopo aver rubato la pistola, e pensa al modo più efficace e sorprendente per dare la notizia. Tante azioni che si susseguono, legate insieme dalla figura di Pin che si muove sullo sfondo di un paesaggio che deve diventare secondario rispetto a qualcos'altro: a delle persone a delle storie. La Resistenza - scrive Calvino - rappresentò la fusione tra paesaggio e cose. (Prefazione) C'è, nel Sentiero, il paesaggio della Riviera di Ponente, quello dei vicoli della Città vecchia, quello dei vigneti e degli oliveti sulle terrazze coi muri a secco, quello delle mulattiere che portano ai boschi, quello che va dal mare alle valli tortuose delle Prealpi liguri, non descritto in sé ma con e attraverso gli uomini che vi sono immersi: è - come dice Falaschi - un paesaggio antropizzato. Basti, come esempio, l'incipit del capitolo VI: Per terra, sotto gli alberi del bosco, ci sono prati ispidi di ricci e stagni secchi pieni di foglie dure. A sera lame di nebbia si infiltrano tra i tronchi dei castagni e ne ammuffiscono i dorsi con le barbe rossicce dei muschi e i disegni celesti dei licheni. L'accampamento s'indovina prima d'arrivare, per il fumo che si leva sulle cime dei rami e il cantare d'un coro basso che cresce approfondendosi nel bosco. (Sentiero, cit)
La lingua utilizzata da Calvino è una lingua - dialetto [...] scrittura ineguale che ora quasi s'impreziosisce ora corre giù come vien viene badando solo alla resa immediata; un repertorio documentaristico (modi di dire popolari, canzoni) che arriva quasi al folklore...(Cfr. Prefazione, cit.) Simili esempi di commistione fra italiano e dialetto sono presenti anche negli altri autori presi in considerazione, tutti preoccupati dell'immediatezza e della verosimiglianza della narrazione.
In mezzo alle numerose azioni che racconta, Calvino propone anche un momento di riflessione, il capitolo IX, dove si svolge - secondo Guagnini - un dibattito ideologico. Le due posizioni messe a confronto sono quelle del comandante Ferriera, un operaio nato in montagna, sempre freddo e limpido (Ivi, p.98) e del commissario Kim, uno studente che ha un desiderio enorme di logica, di sicurezza sulle cause e gli effetti, eppure la sua mente s'affolla a ogni istante d'interrogativi irrisolti. (Ibidem) Le due figure incarnano l'unol'immagine dell'operaio concreto, del rivoluzionario motivato da ragioni di classe e tutto d'un pezzo l'altro - spiega Guagnini - la lucidità intellettuale, l'esigenza di chiarezza, la necessità di una spiegazione della realtà in cui tout se tien anche se nella realtà restano poi degli spazi, delle zone, che richiedono una spiegazione più complessa. (Cfr. E.Guagnini,Letteratura, memorie e rappresentazione della Resistenza italiana nella letteratura, in Tra totalitarismo e democrazia Italia e Ungheria 1943-1995 Storia e letteratura, Budapest, 1995) Quindi, attraverso Ferriera e Kim, Calvino cerca di spiegare la frattura tra la chiarezza con cui si presentato gli obiettivi di lotta agli operai e ai contadini e la necessità, invece, per gli intellettuali - scrive ancora Guagnini - di educarsi alla realtà, di dare un senso e un significato preciso alle loro idee.l'anello debole della catena, cioè il sottoproletariato animato da un furore di riscatto che, se esasperato, potrebbe far perdere l'obiettivo principe della lotta. (Ibidem) Guagnini vede ancora, in questo capitolo nodale, la sottolineatura di quello che è
Questa l'opera compiuta da Calvino che era partito dall'idea di combattere contemporaneamente su due fronti, lanciare una sfida ai detrattori della Resistenza e nello stesso tempo ai sacerdoti d'una Resistenza agiografica ed edulcorata. (Prefazione)
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